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Venite con me negli abissi

Venite con me negli abissi

Viaggio nelle mente «fluida» di Giovanni Vetere, uno dei più talentuosi giovani artisti italiani. Con performance e ceramiche ispirate al mare e con video installazioni sommerse ha già conquistato critica e pubblico. A Panorama rivela: «Aspiro a una nuova specie umana che viva in un mondo più anfibio».


Tra i casermoni della periferia romana di Boccea, si apre un prato: alberi, cicale, un po’ di rumenta varia. Nel vento di un pomeriggio di nuvole grigie Giovanni Vetere, 24 anni, sta in piedi sulla strada sterrata con calzini a pois gialli, capelli biondi stinti nascosti sotto un cappellino di stoffa a righe. Sembra uno dei ragazzi smarriti dei film di Gus Van Sant. Invece è tra i più talentuosi giovani artisti italiani, che con le sue performance «marine», video dove in apnea interpreta una misteriosa creatura degli abissi, ha già conquistato critica e pubblico. Qui, nel suo studio, sembra di entrare in un arcadia liquida: enormi alghe colorate, cappelli di ceramica da cui spuntano i tentacoli di un polipo. Del suo lavoro il celebre artista Luigi Ontani ha detto: «È un miraggio, che non solo usa la terra, ma viene dalla Terra». Vetere, sulle mani un tatuaggio di una piccola àncora, racconta come il suo più grande desiderio sia diventare tutt’uno con l’acqua.

«Ogni volta che mi butto in mare la prima cosa che apprezzo è il silenzio. L’atmosfera ovattata che ti estranea e catapulta in un’altra dimensione. È come tornare al liquido amniotico. Mentre si sente il costante rumore del battito del cuore. Perché il silenzio non esiste, come già aveva sperimentato John Cage. Neanche sott’acqua. Lì ci sono suoni che mi riportano alle nostre origini. Percepisco una distanza dal mondo quotidiano che mi piace molto.

Chi le ha trasmesso questa passione?

Mio padre. È un architetto, ma da sempre voleva fuggire. E c’è riuscito. Ha fatto lo skipper per 20 anni. Mio fratello e io siamo cresciuti in barca. Ho imparato prima i nomi dei pesci che quelli degli scrittori. Fin da piccolo facevo le immersioni. Il mio luogo mitico era Palmarola, accanto a Portovenere: un’isola deserta, con un’enorme villa e il santuario di San Silverio.

La sua arte sembra nascere da un’ossessione.

Il mio rapporto con il mare è lo specchio della relazione che ho con papà. Una presenza vicina. Odio e amore. Per lui è un elemento da sfidare, per me è da coabitare. Ne ho paura, non lo controllo, non ho una relazione di potere, come lui che è un marinaio. Per me è un luogo di sperimentazione.

Come si svolge la sua ricerca?

Per capire i miei timori, mi sono tuffato. E ho iniziato così le performance. L’acqua per me ha sempre avuto a che fare con la placenta, la nascita. I miei genitori mi hanno raccontato che era come se non volessi nascere, non volessi abbandonare l’utero.

Tuffo dopo tuffo alla fine ha capito i suoi timori?

Sto iniziando a capire. Fin dall’inizio è stato un elemento dinamico, sensuale, estremo, che rispondeva alle mie emozioni.

Il mondo sommerso l’affascina?

Mi hanno colpito le teorie dell’oceanografo francese Jacques Cousteau sull’homo aquaticus. Sosteneva che l’uomo nel futuro si sarebbe sviluppato tecnologicamente fino a poter vivere l’ottanta per cento delle sue azioni sott’acqua.

Non è andata proprio così.

Già, allora venne deriso. Ma lui credeva in questa specie umana futura. Anche il mio lavoro corre lungo una linea sottile tra finzione e scienza e mitologia del mondo acquatico. Quando sono in barca con la mia famiglia appena viene calata l’ancora mi tuffo e resto giù abbracciato alla catena tutto il tempo possibile. La mia generazione non ha il desiderio di controllare la natura, abbiamo capito che è lei a dominarci.

Chi l’ha ispirata in questo pensiero?

Donna Haraway, figura centrale del movimento dell’ecofemminismo. Io mi sento affine perché non rispecchiandomi in un genere, considerando la mia identità fluida, mi percepisco più come una creatura che un essere umano.

Per questo ama un elemento fluido come l’acqua?

Sì, si trasforma continuamente. Come una specie di salamandra che durante lo sviluppo da creatura acquatica diventa anfibia. Sarà protagonista del mio prossimo progetto, a Londra.

Quando lo vedremo?

A dicembre sono stato invitato a fare una residenza d’artista in una piscina pubblica vuota. Voglio raccontare la nascita di questa nuova entità: da embrione allo stadio prenatale fino alla creatura formata, che è rappresentata da me. Aspiro a una nuova specie umana.

Come l’immagina?

Capace di adattarsi ai cambiamenti climatici, a un mondo più anfibio. Ci stiamo evolvendo e abbiamo bisogno di nuovi punti di riferimento. Immagino creature tentacolari, come il polpo, il calamaro, la seppia, che sanno muoversi ed espandersi in diverse direzioni allo stesso tempo. Avanzare e affrontare il mondo in maniera multiforme. Più fluida in tutti i sensi.

Anche dal punto di vista sessuale?

Non mi sento femmina o maschio, piuttosto neutro. Dopo il liceo a Roma, mia madre mi iscrisse all’università, Storia dei beni culturali, ma io ero depresso. Stavo scoprendo la mia omosessualità. La vedevo come una debolezza, avevo paura di non essere accettato dagli altri. Pensavo che sarei stato escluso dal mondo. I miei mi hanno capito e mi hanno mandato a Londra.

E lì ha cominciato la sua carriera di artista e performer?

All’inizio facevo foto. Ricercavo un’immaginaria figura femminile. Il doppio che mi completava. Ho frequentato la Camberwell College of Art, una scuola all’avanguardia. Nel 2018 feci la tesi su una nave della Seconda guerra mondiale naufragata davanti a Ponza, nel 1942. Scendere sott’acqua a esplorare il relitto è stata una catarsi.

Ha fatto spettacolari performance immerso nell’acqua, ma tutto questo ha bisogno del pubblico. Come cambierà l’arte al tempo del Covid?

Inevitabilmente diventerà più digitale. Avevo una performance a Londra durante il lockdown. Mi sono trovato davanti a due scelte: o presentarla a giugno a dieci persone o riprendere tutto in 360 gradi. E ho optato per la realtà virtuale. Ma continuo a essere convinto che abbia bisogno del pubblico. È come il teatro. Non so cosa succederà, ma sono certo che avremo sempre più bisogno di arte.

Perché ha scelto la ceramica?

È il materiale che mi ha dato più soddisfazioni. È un elemento organico, vivo, che si adatta al corpo. Avevo appena iniziato a lavorare con la ceramica quando incontrai Ontani. Mi invitò a prendere un tè allo studio. Entrare nella mitologia costruita intorno alla sua figura mi ha emozionato. Le sue ceramiche mi hanno segnato profondamente.

Anche il team di Gucci ha assistito ai suoi opening e l’ha portata sulle passerelle. Come è successo?

Sono venuti ad Ansedonia dove avevo ricreato un acquario verticale. È stato il mio lavoro più difficile. Respirare era molto faticoso. Qualche tempo dopo Alessandro Michele, il direttore creativo di Gucci, mi ha contattato, chiedendomi di sfilare per loro come artista. È stato molto divertente. Allora avevo i capelli blu e un look da scolaretto.

E ora come si sente?

Continuo a immergermi. Realizzo video dove interpreto questo nuovo homo aquaticus. Sento il mio corpo che cambia, si trasforma. Vorrei diventare un sirenetto. Perché io mi sento una creatura anfibia.

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