Home » Viaggio dove il nasce il «nettare» delle Ande

Viaggio dove il nasce il «nettare» delle Ande

Viaggio dove il nasce il «nettare» delle Ande

L’enologo francese Hervé Birnie-Scott è andato in Argentina per superare il senso del limite: ha coltivato vitigni ad alta quota, sfidando il clima rigido, in una regione in cui ci si accontentava di altopiani assolati. Così sono nati i vini di Terrazas de los Andes, che arrivano da terreni irrigati con l’acqua purissima dei ghiacciai dell’imponente catena sudamericana.


Seduto sul divanetto di un hotel di montagna dagli arredi di legno, il francese pazzo sorseggia un caffè accompagnato da un piccolo piatto di frutta. Sarebbe stato più coerente trovarlo in compagnia di un bicchiere di vino, ma la tarda mattinata è un incentivo alla ragionevolezza anche per lui. Il pazzo francese, o meglio «el loco francés», è l’enologo Hervé Birnie-Scott. Si è guadagnato questo soprannome non proprio lusinghiero in Argentina per aver tentato, e infine centrato, l’azzardo di coltivare vigneti tra le alture estreme delle Ande. Lassù dove ancora nessuno osava per il clima troppo rigido e il terreno difficile, a rischio di gelare da un momento all’altro. «Probabilmente mi hanno chiamato il pazzo perché il mio nome era troppo difficile da pronunciare» minimizza lui, per smorzare i toni di quella che suona come un’impresa coraggiosa, se non epica: sono gli inizi degli anni Novanta, Hervé atterra a Mendoza, il fulcro del Paese sudamericano celebre per il Malbec. Anziché fermarsi sugli altipiani assolati come facevano tutti, insegue la sua intuizione: salire, e parecchio, di quota. Non subito: «Faceva più freddo di quanto mi aspettassi. Per prima cosa ho dovuto comprare dei vestiti caldi».

Il resto dell’attrezzatura, invece, era più che appropriata: munito di un altimetro risalente alla Prima guerra mondiale («Glielo assicuro, funzionava benissimo») e di mappe militari («Sa com’è, il Gps non c’era ancora»), si mette a bussare di casa in casa, chiede ai campesinos, i contadini locali, di poter dare un’occhiata in giro per decifrare il linguaggio dei campi. Era accolto con curiosità, la stessa che si riserverebbe a qualunque avventore innocuo e strampalato: «Sono andato avanti per mesi, mi sono preso tutto il tempo necessario. Avevo il privilegio di poter aspettare perché non avevo niente da perdere. Volevo superare quello che era il senso del limite». Di cancello in cancello, è arrivato a far crescere uva fino a 1.650 metri. E domani, chissà, più oltre. La fiducia e la competenza gli vengono dal curriculum: originario della Valle della Loira, è diventato esperto di vinificazione in climi rigidi vagando per il pianeta tra l’Europa, l’australiana Tasmania, la costa settentrionale della California. «Per fare del buon vino, a volte è questione di longitudine o latitudine, altre di essere vicini ai venti dell’oceano, altre di pura altitudine».

A Mendoza, a vincere è quest’ultima: individuati i terreni adatti, decide di nutrirli con il bene più prezioso del luogo, l’acqua incontaminata e purissima che sgorga dai ghiacciai. Applicando principi di agricoltura rigenerativa e biologica, quando la sostenibilità non era né una moda né una necessità. Con una deferenza maniacale per i vitigni, che devono sopportare un surplus di fragilità dovuto a posizione e temperature. L’azienda vinicola Terrazas de los Andes è nata così, stringendo nel nome le terrazze affacciate su un panorama vertiginoso vicinissimo al cielo. Hervé Birnie-Scott aveva ragione, non era pazzo, anche se a guardarne il profilo Instagram qualche dubbio resta. Pubblica foto di ragni giganti e altre creature terrorizzanti. Sono le prove della naturaleza, del trionfo della natura selvaggia di un luogo in cui l’uomo è ospite rispettoso, non intruso. Dove l’estremo si può ammansire, mai dominare.

La sfida finale dell’agronomo era tradurre queste sensazioni in un nettare che fosse all’altezza del suo retaggio: il Malbec di Terrazas de los Andes, disponibile anche in Italia, è corposo, ma elegantemente aromatico e vivace. «In una nostra bottiglia c’è il sapore di un sogno che si è avverato, il gusto fresco delle Ande». All’azienda, che fa parte del gruppo Moët Hennessy e oggi è riconosciuta a livello internazionale, fanno riferimento oltre 200 terrazze di viti in alta quota. La ricerca continua («mi dico sempre che l’annata migliore sarà la prossima»), mentre l’impresa di un singolo è diventata un’impresa plurale, dai riflessi etici: la tenuta porta avanti varie iniziative di educazione per le comunità locali, inclusi programmi dedicati ai figli dei contadini. «Che così non vagano per strada, hanno la possibilità di costruirsi un futuro. Se tu cresci e l’ambiente attorno a te s’impoverisce, tu cosa fai? Costruisci un muro ogni volta più alto oppure lo rompi? Io preferisco abbattere le barriere» dice Hervé sporgendosi in avanti sul divanetto, completando l’ennesimo ricordo che non gli ha fatto sfiorare né la frutta né il caffè.

Panorama lo incontra a Loen, in Norvegia, durante un evento tra i fiordi che, fra picchi e specchi d’acqua, richiamano le bellezze verticali delle Ande. Tra i momenti chiave, un’escursione su sentieri ripidi, scivolosi e fangosi, per sentire nelle gambe, nel battito accelerato del cuore, in un’ubriacatura d’adrenalina, le difficoltà e le emozioni provate da Birnie-Scott al principio della sua avventura. In Argentina, l’agronomo esploratore si sente ormai a casa, nonostante a volte avverta la nostalgia dei paesaggi dell’infanzia francese. «Mendoza mi ha insegnato molto anche dal punto di vista sociale e comportamentale». Persino oggi, in una terra strozzata dall’inflazione, dalla corsa al rialzo dei prezzi: «Come azienda dobbiamo essere bravi a pianificare il minimo dettaglio, perché non possiamo permetterci nessun passo falso sul piano della qualità. Come persona, ho imparato a vivere l’oggi, a godermi il momento senza stare troppo a ragionare sul futuro». Un carpe diem coscienziosamente pazzo, che scorre come un fluido di vita pigiato nei colori liquidi di un bicchiere.

© Riproduzione Riservata