Quasi venticinque anni fa, nelle sale cinematografiche, usciva il film “My Big Fat Greek Wedding”, “Il mio grosso grasso matrimonio greco” di Joel Zwick, che vedeva l’attrice greca Nia Vardalos nei panni della protagonista. Non solo ricopriva il ruolo principale, ma ne era stata anche la sceneggiatrice, ispirandosi a una vicenda personalissima: da figlia di immigrati greci, aveva infranto la regola di sposare un uomo della stessa etnia, preferendone uno americano.
Chiunque abbia visto il film, non può non ricordare l’originalità, l’allegria e l’eccessiva bizzarria del matrimonio. Se si dovesse pensare che la pellicola abbia leggermente accentuato una tradizione ellenica, beh, si è sulla strada sbagliata, perché in Grecia, la stragrande maggioranza dei matrimoni, è proprio così.
Nella caratteristica isola di Santorini, dove il bianco e l’azzurro regalano un tocco ancora più chic ad un isola già di per sé elegante e con dei tramonti da favola, c’è un teatro, in realtà più simile a un’abitazione, dove ogni sera, viene inscenato un vero e proprio matrimonio greco.

Un evento memorabile per la famiglia Papadopoulos, che coinvolgerà gli spettatori in un’esperienza interattiva, in diversi punti del patio della loro dimora. La prima a entrare in scena, o meglio, la prima a scendere le scale di casa sua, è la mamma della futura maritata. Da autentica donna greca, presenterà i membri della famiglia, fino all’arrivo della giovane sposa, che sarà accompagnata da una scia di parenti (e di invitati) al banchetto nuziale.
Uno sposalizio dal vivace gusto greco, arricchito da scenografie ad hoc, ricco di balli, musica suonata da bouzouki, lyre e tamburelli, risate e piatti rotti.
L’ingresso non è decisamente economico e il banchetto offerto è abbastanza scarno (nulla di lontanamente paragonabile ai reali matrimoni), ma si compensa con il divertimento, il ballo, per chiunque gradisse sperimentare danze tipiche, e soprattutto – e chi scrive può confermarlo per esperienza diretta – il rito della rottura dei piatti. Rompere i piatti, nelle feste e in particolare nei matrimoni, è una tradizione che risale all’antica Grecia. Ridurre in briciole le terraglie con entusiasmo e passione, significa augurare un nuovo inizio agli sposi pieno di felicità e abbondanza, esprimendo uno stato d’animo di gioia e riconoscenza per la vita, sentimento che i greci definiscono “kefi”. Nessuna tipologia di “invitato” ne è immune, nemmeno in questa degna rappresentazione: ragazzi giovani, coppie di turisti più o meno maturi, bambini, donne eleganti. Se per gli spettatori di questo matrimonio fittizio, l’idea non è certo quella di augurare buona vita a nessuno sposo, si scatena qui il senso di libertà, scaraventando con più o meno ardore, i piatti sul pavimento. E c’è da ammettere, che la soddisfazione che regala questo gesto, va ben oltre al prezzo del biglietto pagato, specialmente, sapendo poi, che non saranno loro a dover pulire!
