Nelle profondità oceaniche corrono centinaia di migliaia di chilometri di reti in fibra ottica, che sono la vera infrastruttura delle telecomunicazioni mondiali. E l’Italia – la Sicilia soprattutto – è al centro di questa ragnatela globale. Che ingolosisce anche i giganti di internet.
Nel 2013 esplode lo scandalo Datagate ed Edward Snowden, informatico ex tecnico della Cia, svela al mondo l’esistenza di una guerra di spionaggio che non si svolge con i tradizionali 007 ma tramite «cimici» calate negli abissi marini. L’opinione pubblica viene a sapere che le profondità degli oceani sono percorse da un reticolo di cavi a fibra ottica dove viaggiano miliardi di dati e informazioni, di privati cittadini, aziende e governi, ma anche dati sensibili e segreti di Stato. Un tesoro adagiato sui fondali al quale non è nemmeno difficile accedere. Snowden rivela anche che il luogo, dove la «pesca» di informazioni è più ricca, è la Sicilia. E l’intelligence inglese, secondo Snowden, era riuscita a penetrare nei cavi a Mazara Del Vallo, intercettando 600 milioni di telefonate al giorno.
Nella guerra digitale dei mari, l’Italia ha un ruolo strategico. Sui nostri fondali passano i cavi a fibra ottica che collegano Europa, Africa, Medio Oriente, Asia e America. Lo sviluppo della telefonia cellulare ha indotto a pensare che le informazioni viaggino preferibilmente via etere, tramite i satelliti, ma questi hanno una funzione marginale. Il 95 per cento dei dati, come ha calcolato l’Information Technology & Innovation fundation, corre nelle profondità marine in una rete di oltre 400 cavi che si dirama per 1,2 milioni di chilometri tra tutti i continenti. Queste infrastrutture stanno aumentando in modo esponenziale. Solo nel 2017 la domanda è cresciuta del 57 per cento ed entro il 2021 arriveranno altri 50 progetti. I cavi sono sempre stati di proprietà di compagnie private, di solito telefoniche, che affittavano l’utilizzo alle società internet. Finché Google, Microsoft, Facebook e Amazon hanno capito che era più vantaggioso posarli per proprio conto. Google ne ha più di 100 mila chilometri, Facebook 91 mila, Amazon 30 mila e Microsoft 6 mila.
La digitalizzazione e lo sviluppo delle reti di quinta generazione produrranno sempre più dati che dipenderanno dai cavi per essere veicolati in modo veloce. Di qui l’interesse delle potenze mondiali e dei colossi del web. Il mercato dei cablaggi sottomarini dovrebbe raggiungere nel 2026 i 30,8 miliardi di dollari di valore contro i 10,3 miliardi del 2017. La Cina, con la supremazia nel 5G, sta attuando una politica sempre più aggressiva nel settore. La guerra con gli Stati Uniti è solo in parte combattuta a colpi di dazi. La vera sfida si gioca negli abissi e i cavi rappresentano il potere vero. Oltre a strumento di spionaggio possono diventare un’arma di sabotaggio. Manomettere uno degli snodi del cablaggio sottomarino significa impossessarsi di dati sensibili, ma anche poter determinare il blackout informatico di un intero Paese.
Ma qual è il ruolo del Vecchio continente? «L’Europa è in una situazione di fragilità perché non ha un’azione unitaria» dice a Panorama Federico Protto, amministratore delegato di Retelit, uno dei principali operatori italiani di servizi digitali. Nonostante questo «l’Italia ha un ruolo di preminenza sia per la posizione geografica sia per una serie di progetti ad alta tecnologia». Non c’è da stupirsi quindi se la Cina vuole una Via della seta anche digitale. La cinese Huawei marine è uno dei protagonisti del Pakistan & East Africa connecting Europe, il progetto di cavo sottomarino che partendo dal Pakistan e passando in Kenya, Gibuti ed Egitto, tramite il Canale di Suez entrerebbe nel Mediterraneo per arrivare a Marsiglia.
L’80 per cento del traffico voce e dati che dal Mediterraneo va in America transita per l’Italia. La Sicilia è l’hub più importante. Con le cinque stazioni gestite da Telecom Italia Sparkle, primo operatore dell’area del Mediterraneo, è l’approdo di 18 cavi sottomarini e il crocevia delle tlc mondiali. A Palermo arrivano il Flag Europe-Asia e il SeaMeWe4 che collegano l’Europa con l’Asia. Il Flag è un cavo lungo 28 mila chilometri che dal Giappone sbocca nel Regno Unito, attraversando l’oceano Indiano, canale di Suez e Mediterraneo e tocca appunto, la Sicilia.
L’hub di Palermo è anche un punto di interconnessione con altre reti per il traffico diretto a Francoforte, Amburgo e Monaco, Dusserdolf, New York, Marsiglia e Istanbul, grazie alla posizione centrale tra il Nord Africa e il Medio Oriente. A Mazara del Vallo, infatti, arriva il SeaMeWe3, uno dei cavi sottomarini più lunghi – 39 mila chilometri, pari quasi alla circonferenza terrestre – che collega la Germania all’Australia passando per Italia, Egitto, Indonesia, Filippine, Grecia, India, Vietnam, Cina, Gibuti, Taiwan, Emirati Arabi, Regno Unito e Arabia Saudita. È facile comprendere il carattere strategico dei terminali italiani di questa ragnatela digitale. Fa scalo a Catania anche il SeaMeWe5, che si estende per circa 22 mila chilometri dal Sud Est asiatico all’Europa. «Con la rete di Sparkle e i poli di Palermo e Catania, la Sicilia conferma la sua vocazione come hub del Mediterraneo, cuore dell’innovazione tecnologica e snodo dei traffici internet da e per l’Europa per Africa, Medioriente e Asia» afferma Elisabetta Romano, amministratore delegato di Sparkle.
Altro snodo strategico è Genova da dove partirà BlueMed che collegherà la Liguria alla Sicilia, inserendola nelle autostrade digitali verso l’India. Genova è anche connessa al polo digitale di Milano. La posa del cavo sottomarino comincerà nel 2021 e a quel punto la città ligure farà concorrenza a Marsiglia, uno dei più importanti hub digitali del Mediterraneo. Il primato della città francese è insidiato anche da Bari da dove si snoda l’unico cavo al mondo con una rotta diretta tra Thailandia ed Egitto. L’anno scorso è stato potenziato per aumentare la velocità e l’aggregazione di più dati, con un progetto al quale ha partecipato l’italiana Retelit.
Passa per Genova anche la super fibra ad alta velocità del progetto Quantum Cable, l’innovativo vettore, che entrerà in funzione a breve e si estenderà da Cipro a Bilbao, toccando Grecia, Italia, Marsiglia e Gibilterra per poi unirsi a un altro cavo che arriva in Virginia. È in grado di gestire il 60 per cento del traffico internet mondiale, decine di milioni di teleconferenze ad alta definizione ed è 40 volte più veloce dei cavi esistenti nel Mediterraneo. Da questo circuito tra Medio Oriente, Sud Europa e Usa resta però fuori la Turchia, altro competitor del settore, mossa poco gradita al premier turco Erdogan.
La concorrenza è spietata. E Protto sottolinea due rischi: che il capitale delle società italiane che gestiscono i cavi cada in mani straniere, e i sabotaggi. «I cavi andrebbero considerati come infrastrutture critiche e sorvegliati al pari degli aeroporti». La guerra digitale degli abissi è solo all’inizio. n
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