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Retrofit, come trasformare la vecchia auto in elettrica

Retrofit, come trasformare la vecchia auto in elettrica

L’acquisto di un’auto «moderna» sembra ormai obbligatorio. E se trasformassimo in elettrica quella che già possediamo? Una sfida (ecologica ed economica) possibile grazie a un kit.


Dapprima ci ha pensato qualche appassionato, poi i car-designer, quindi alcune officine e quasi un anno fa, ma anche il mese scorso, lo ha ribadito Akio Toyoda, presidente del gigante automobilistico Toyota, un manager da sempre scettico riguardo la corsa verso una conversione troppo rapida del settore verso i mezzi elettrici a batteria. Le sue parole: «Molte case automobilistiche puntano a un passaggio del 100 per cento ai veicoli elettrici a batteria in un periodo compreso tra il 2030 e il 2040, ma la realtà è che non possiamo raggiungere la neutralità entro il 2050 semplicemente spostando le vendite di auto nuove verso i veicoli elettrici. (…) Creare vetture aggiornabili permetterà ai proprietari di veicoli termici di trasformarle in mezzi ecologici riducendo l’utilizzo di risorse fisiche ed economiche per produrre nuovi veicoli». Non serve quindi rottamare e sostituire l’auto per renderla meno inquinante, si può invece trasformarla in elettrica.

Purtroppo, in Italia ci sono voluti 14 anni per ottenere il primo provvedimento legislativo in materia, e tra i primi car-designer che hanno creduto in questa possibilità c’è stato Massimo Biancone, che nel 2001 presentò al ministero dei Trasporti il primo kit di conversione. Ricorda: «Durante una presentazione della Fiat Stilo presentai un prototipo elettrico, una Smart Fortwo 450 alimentata a benzina e convertita in elettrica con la batteria estraibile brevettata. Scelsi quel modello perché convinto che la mobilità elettrica sia efficace per gli spostamenti in città. Altri fattori che presi in considerazione» continua Biancone «erano l’approvvigionamento delle materie prime, lo smaltimento dei veicoli esistenti, eccetera. Il primo decreto retrofit apparve sulla Gazzetta Ufficiale nel dicembre del 2015 ed era entrato in vigore il 26 gennaio 2016, ma la sua revisione fu pubblicata solo il 26 luglio 2022. In entrambi i casi non si parlò di batteria estraibile per quelle più piccole, che oggi risulta essere a mio avviso un’enorme opportunità».

L’idea, in realtà, è stata valutata da diversi costruttori: Ford ci aveva pensato qualche anno prima realizzando il kit Eluminator, presentato nel 2021 e destinato ai marchi d’alta gamma del gruppo, però non ha avuto grande seguito a causa dei numeri ridotti. Ma è certo che se quella del retrofit fosse una pratica diffusa si tratterebbe di una rivoluzione per il mercato, le case dovrebbero produrre piattaforme con attacchi dei propulsori standardizzati e pensare a metodi rapidi per eseguire le sostituzioni; il valore dell’usato sarebbe proporzionato alle reali condizioni tecnologiche del mezzo, oltre che al suo effettivo stato di mantenimento. E pensando alla rapida evoluzione degli accumulatori (più rapida che sui veicoli di serie), una stessa vettura potrebbe nel giro di pochi anni veder aumentare la sua autonomia (che, a oggi, varia da 60 a 200 chilometri a seconda della grandezza offerta dai kit).

Sul tema abbiamo sentito il parere di Roberto Scarabel, presidente di Asconauto (l’associazione dei concessionari auto): «In prospettiva ha perfettamente senso; nel presente i costi sono ancora alti e si rischia di installare componenti nuovi su mezzi il cui stato manutentivo sarebbe da verificare con attenzione, ma certo è una delle soluzioni intermedie efficaci per arrivare al 2035». Un esempio di fornitore italiano di kit è Newtron Group (Messina, Monza, Roma e altre sedi in apertura), il cui direttore Nicola Venuto spiega: «Dal 2015 abbiamo fornito oltre duemila kit, quest’anno circa 800, il 90 per cento dei quali è stato installato su veicoli industriali o commerciali, e il restante 10 per cento su vetture private. Su queste ultime ha senso se ci sono particolari usi oppure se si desidera un “restomod” (aggiornare modelli di auto del passato, ndr) di stile su un mezzo per il quale si ha passione o affetto, ma nella maggioranza dei casi è conveniente per i mezzi commerciali. E li installiamo ancora prima dell’immatricolazione».

In Italia, pochi giorni prima della fine del governo Draghi, il ministero oggi guidato da Matteo Salvini aveva reso pubblico il decreto attuativo del Bonus retrofit 2022, uscito il 19 luglio e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 14 settembre dello stesso anno. Per l’intera misura erano disponibili 14 milioni di euro, ma poi, nel passaggio di consegne al governo Meloni, il percorso della norma si era interrotto per poi essere ripreso nel febbraio scorso. Per invogliare gli automobilisti, nel 2022 il governo aveva previsto a titolo sperimentale degli incentivi che coprivano fino al 60 per cento dei costi sostenuti, con un tetto massimo a 3.500 euro, purché il lavoro fosse effettuato entro il 31 dicembre. E per il 2023, dalla metà di febbraio in poi, era possibile inoltrare l’istanza per fruire del bonus per chi aveva concluso la pratica con l’officina, la Motorizzazione e il Pubblico registro automobilistico, tra il 10 novembre 2021 e il 31 dicembre 2022. Non molto propagandata, la norma prevedeva anche la conversione di veicoli leggeri con uno sconto del 60 per cento sull’imposta di bollo e la nuova iscrizione al Pubblico registro.

Non tutte le officine automobilistiche possono però eseguire i lavori, soltanto quelle accreditate dai costruttori dei kit i quali, autorizzati a loro volta al ministero dei Trasporti, garantiscono la produzione dell’apparecchiatura in modo controllato. In altre parole, chi produce i kit deve omologarli e poi fornire alle officine le istruzioni, la formazione e le norme per l’installazione. Nel caso di un costruttore di automobili, l’azienda omologherebbe i sistemi di conversione a monte e li fornirebbe alla propria rete di officine autorizzate. Nella sostanza i lavori che devono essere fatti comprendono lo smontaggio del vecchio motore, del serbatoio, dell’impianto di raffreddamento e scarico, del cambio e di ogni sistema che non ha più ragione di essere presente a bordo. E al termine della nuova installazione sarà necessario superare il collaudo presso la Motorizzazione civile. Risultato: se oggi una vettura di dieci anni costata 25 mila euro ne vale ormai un quarto, e la sua conversione comporta un costo di 5 mila-10 mila euro (meno i 3.500 dell’incentivo) secondo il modello, il vantaggio di andare avanti a utilizzarla c’è eccome, soprattutto per chi ne fa un uso particolare o saltuario.

Più di recente è arrivata Stellantis, che ora proporrà le conversioni proprio sui veicoli commerciali. E per chi pensasse che per i costruttori sia un problema, c’è un fatto innegabile a loro vantaggio: le parti utilizzate dal sistema elettrico sono molto meno numerose di quelle termiche ma vengono vendute con margini finanziari maggiori. Oggi offrono retrofit Jaguar e Mini, ma la stessa possibilità è stata annunciata da Peugeot per il modello E-Lion puntando all’economia circolare che prevede retrofit, riparazione, rigenerazione di parti usate, riutilizzo, ricondizionamento e riciclaggio. E in teoria – bisogna sperimentare su numeri alti – si potrebbe risparmiare la metà dell’energia e l’80 per cento delle materie prime rispetto a una nuova produzione.

Renault nel 2020 annunciò il progetto Re-Factory per trasformare lo stabilimento di Flins nel primo in Europa a economia circolare per raggiungere l’azzeramento della CO2 entro il 2030. Uno dei quattro centri della fabbrica, battezzato Re-Trofit, si occupa di prolungare la durata della vita operativa dei veicoli ricondizionandoli e applicando kit di conversione elettrici. Renault voleva conquistare anche i proprietari delle iconiche utilitarie Renault annunciando la commercializzazione di retrofit per le R4, R5 e Twingo. I kit, realizzati da R-Fit, fruiscono di sovvenzioni governative il cui importo varia in base al reddito fiscale delle persone o delle società che lo ricevono, e anche permessi per la circolazione nelle zone a traffico limitato. A oggi oltre 30 Paesi hanno una legislazione favorevole al retrofit, tra questi Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Francia, Germania e Belgio.

La normativa francese, per esempio, consente di convertire in elettrico un veicolo che ha più di 5 anni, purché si tratti di un kit di retrofit debitamente approvato la cui installazione viene eseguita da specialisti autorizzati. Intanto però anche in Italia dal 2015 a oggi (altrove esistono da più tempo), sono nate decine di imprese per i retrofit, alcune legate a officine esistenti, altre sorte come startup e poi affermate per essere riuscite a specializzarsi in alcuni tipi di vetture molto amate. Chi è diventato un’autorità nella trasformazione della Citroen 2CV, chi della Panda, eccetera. Naturalmente ciò raccoglie il biasimo dei collezionisti e degli amanti del vintage, ma a fare la differenza è l’uso che si fa del mezzo e soprattutto la ritrovata libertà di poter scegliere se trasformare l’auto oppure fruire delle facilitazioni riservate alle auto di interesse storico, che però sono differenti da comune a comune, e da regione a regione. Un vecchio detto in voga nelle scuole tecniche recitava: la sicurezza arriva dall’affidabilità e l’affidabilità dal tempo. La tecnologia, come abbiamo visto, l’abbiamo e possiamo migliorarla giorno dopo giorno, serve però mantenere la lungimiranza politica affinché trasformare auto ancora ottime in mezzi senza emissioni resti possibile, semplice e, magari, anche più conveniente.

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