Durante i recenti tour in Arabia Saudita e Qatar, in scia all’approccio disinvolto e muscolare della Casa Bianca, Elon Musk ha usato una tecnica consolidata per «presentare» Optimus, il prototipo di robot con cui ha intenzione di invadere i mercati nel prossimo futuro. La tecnica è quella di annunci clamorosi, in equilibrio instabile tra la sparata impossibile e l’anticipazione futurizzante ma prossima. Optimus, che vedete in pagina, è stato presentato come protagonista imminente sulla scena del mondo, forse in modo eccessivamente baldanzoso. È un modello in cui convergono le visioni di Musk, intese sia come idea del futuro sia come concezione del ruolo della tecnologia nella salvezza del genere umano.
I video dell’automa, facilmente reperibili su Youtube, sono inquietanti nel loro fascino: i prototipi ballano, ondeggiano, camminano, afferrano oggetti, aprono cassetti, sollevano pesi, mescolano ingredienti in una pentola. Hanno uno schermo sul viso e il loro antropomorfismo eccede la somiglianza con alcune caratteristiche del corpo umano. «Musk era interessato ai robot umanoidi per lo stesso misto di attrazione e timore che gli suscitava l’Intelligenza artificiale», spiega Walter Isaacson nella più accurata delle biografie del fondatore di Tesla tradotta da Mondadori: «L’idea che qualcuno potesse creare, intenzionalmente o inavvertitamente, un’Ia capace di recare danno agli esseri umani lo aveva indotto a fondare OpenAi nel 2014. E anche ad avviare iniziative correlate come le auto a guida autonoma, un supercomputer di nome “Dojo” che addestrasse reti neurali artificiali a simulare il funzionamento encefalico e i microchip di Neuralink da impiantare nel cervello per produrre una relazione di stretta simbiosi tra uomini e macchine. La massima espressione di un’Ia priva di rischi sarebbe stata la creazione di un robot umanoide in grado di elaborare input visivi e imparare a eseguire compiti senza violare la legge di Asimov che vieta a un robot di nuocere all’umanità o a un singolo essere umano».
È Optimus: antropomorfo nell’apprendimento, non solo nelle fattezze. L’ossessione «katechontica», che deve cioè trattenere la diabolica forza tecnologica dal dominare l’uomo, per il genio sudafricano si realizza facendo «imparare» reti neurali e macchine per imitazione degli umani. Optimus deve «vedere» con visori e telecamere, imitare movimenti e gesti appresi dalla visione di movimenti e gesti di persone fisiche. «Optimus, disse, avrebbe imparato a eseguire compiti senza bisogno di istruzioni riga per riga. Come un essere umano, avrebbe appreso tramite la semplice osservazione. Questo, concluse, avrebbe rivoluzionato non solo l’economia, ma anche il modo di vivere dell’umanità», riferisce ancora Isaacson. Questo principio è per Musk pilastro irrinunciabile di qualunque proiezione tecnologica sotto il suo controllo (e non sono poche). Si potrebbe dire che la sua furia progettuale e produttiva si scatena quando si senta investito della missione di sorpassare altri innovatori (l’ex sodale Sam Altman, ma non solo) privi di questa preoccupazione di arginare lo strapotere delle macchine.
Resta una domanda necessaria: perché fare robot? La ricerca esclusiva di profitto non è la risposta giusta per avvicinarsi alla dimensione ideologica di Musk. Ovviamente egli spera di costruire un modello redditizio, ma il suo tecno-ottimismo lo spinge anzitutto alla ricerca di dispositivi che migliorino la vita, ne aumentino il potenziale e tutelino quella che definisce la coscienza del genere umano dalla minaccia di un’Intelligenza artificiale che potrebbe presto considerare gli uomini entità inferiori da eliminare (è lo stesso motivo per cui ritiene indispensabile portare l’uomo stabilmente su Marte). Nello specifico, Optimus è pensato come «operaio» nelle fabbriche Tesla «entro la fine di quest’anno» (così ha detto in Qatar). Poi sarà aumentata la sua scala di produzione a livello di milioni ogni anno entro il 2030: «La domanda diverrà insaziabile, tutti ne vorranno uno». Per fare cosa? Lavori pesanti, ripetitivi, potenzialmente qualsiasi attività che emuli fisicamente quella umana.
Rispetto alle idee e ai progetti di qualunque altro genio con capitali, Elon Musk ha alcune cose che non autorizzano a trascurare ciò che ha in mente, e non si tratta solo di più denaro. La prima cosa sono gli alleati, Trump a parte. il patron di X ha dialogato di recente di queste faccende con Satya Nadella, capo di Microsoft con cui ha annunciato una partnership strutturale; e condivide la centralità dei robot con Jensen Huang, il leggendario ceo di Nvidia: «Sta lavorando proprio alle cose giuste», ha detto Huang parlando di Musk e del suo progetto Optimus. Secondo il leader del colosso mondiale dei chip, infatti, i prodotti di Elon sono gli unici che, per scala e futura diffusione, possono trainare gli investimenti e la produzione di chip sempre più efficienti e veloci. La seconda cosa è il curriculum. Qualunque cosa si possa pensare di Musk, è complesso negare che non abbia rivoluzionato auto elettriche, satelliti, razzi e comunicazioni: più o meno tutti i settori in cui ha spremuto menti e corpi di migliaia di ingegneri. La terza cosa è la capacità di stimare gli impatti delle sue invenzioni. In un mondo in cui tra pochi anni con 30.000 dollari (questa la stima di Musk) ci si procura un «operaio» in grado di svolgere compiti avanzati, chi lavora? «A quel punto, bisognerà forse istituire un reddito minimo universale. E lavorare potrebbe diventare una libera scelta», spiegò ai suoi tecnici. Sarebbe molto interessante, su questo e non solo, un incontro con Leone XIV.
