Dalle imprese private alla pubblica amministrazione, il fabbisogno è di almeno 400 mila esperti in gestione digitale e cyber-sicurezza. Anche i progetti di rilancio del Paese sono a rischio. Chi ha queste competenze è dunque richiestissimo sul mercato del lavoro. E pagato di conseguenza.
La digitalizzazione dell’economia procede a grande velocità ma con un paradosso: non c’è personale a sufficienza per gestire questa macchina in corsa. Il gruppo Scai, società che opera nel settore dell’Ict (le tecnologie dell’informazione e della comunicazione) con 115 milioni di euro di fatturato, non riesce a trovare professionisti informatici e assume tra i rifugiati. Ogni anno, come dice l’amministratore delegato, Massimiliano Cipolletta, ci sono tra le 150 e le 200 posizioni aperte e per colmare questi vuoti, la società partecipa anche a un programma internazionale a cui hanno già preso parte 6 mila rifugiati, provenienti da Paesi quali Afghanistan, Sierra Leone, Nigeria, Siria, Ucraina, Liberia, Camerun, India, Eritrea.
Che cosa sta succedendo? Da una parte l’alto tasso di disoccupazione giovanile, dall’altra un fabbisogno di esperti informatici che supera la soglia delle 400 mila unità. I laureati Stem, che sta per Science, technology, engineering e mathematics, cioè che escono dalle facoltà di ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico, non tengono il passo di questi numeri. Un problema molto serio che sta ostacolando gli investimenti. Come ha testimoniato il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri quando ha detto che ci sono «parecchie risorse a disposizione ma la capacità di attuare gli investimenti è sub ottimale perché mancano tecnici ed esperti». La Capitale dovrebbe spendere 300 milioni per la crescita economica ma riesce a investirne solo cento.
Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, usa l’espressione calzante di «un granello di sabbia negli ingranaggi del Pnrr» per indicare i danni che la mancanza di professionisti delle tecnologie digitali, può provocare per l’attuazione del Piano di ripresa e resilienza. Questo prevede circa 40 miliardi di euro per la transizione digitale che è la seconda voce di spesa più consistente di tutto il piano. Di questi, sette sono destinati in modo specifico al capitale umano. Ed è qui che il meccanismo si inceppa.
Dall’analisi di Unioncamere emerge che oggi il 68 per cento delle aziende fa fatica a trovare tecnici informatici. A gennaio scorso risultavano mancare quasi 460 mila persone con competenze digitali. Da qui al 2026 il deficit sarà di circa 50-60 mila laureati all’anno e soprattutto quelli provenienti dalle facoltà Stem. Secondo Tripoli la causa non è solo il numero scarso di giovani che escono dalle università ma anche la fuga dei cervelli all’estero. E qui si apre il capitolo delle politiche di gestione del personale. La pubblica amministrazione punta molto sulla digitalizzazione dei servizi ma non è di grande appeal per un laureato in materie scientifiche e informatiche. La certezza del posto fisso non compensa la scarsa attrattiva della retribuzione. Lo stipendio di partenza per uno sviluppatore è di circa 35 mila euro mentre in un Paese dell’Europa occidentale può superare i 55 mila euro. Gli esperti di settori come la cybersecurity o i big data, sono rari, molto ricercati e strapagati e ciò li allontana dagli enti pubblici. Eppure questa ne ha un grande bisogno considerato l’aumento dei casi di hackeraggio.
C’è poi un fattore culturale. L’ultimo rapporto Desi, Digital economy and society index, pone l’Italia all’ultimo posto per competenze digitali. Nel 2020 il 17 per cento della popolazione dichiarava di non aver mai navigato in rete contro una media europea del 9 per cento. Inoltre, secondo i dati Eurostat, circa il 48 per cento dei lavoratori non possiede competenze digitali almeno di livello base e solo il 15 per cento delle imprese ha offerto occasioni di formazione per le competenze Ict ai propri dipendenti. La situazione non è migliore tra i giovani. Il Primo rapporto di monitoraggio del piano operativo per la strategia nazionale per le competenze digitali segnala che il numero di studenti iscritti a percorsi di istruzione terziaria a ciclo breve nell’ambito Stem, è pari all’1,3 per cento dei diplomati contro l’8,3 nella Ue. Tra il 2019 e il 2020, la quota di studenti che uscendo dalla scuola secondaria hanno scelto facoltà universitarie informatiche o ingegneristiche, è stata l’1,28 per cento mentre la media Ue è del 3,13 per cento.
Mancando una cultura informatica, c’è anche scarsa considerazione dal punto di vista economico, del lavoro svolto dagli informatici in istituzioni pubbliche anche se le numerose attività trasferite su piattaforme digitali e la grande mole di dati dal valore sempre maggiore, hanno reso queste figure strategiche, non solo per l’applicazione delle tecnologie (intelligenza artificiale, Cloud) ma anche per la sicurezza nel trattamento dei dati e delle transazioni digitali. Secondo il Rapporto Clusit 2022, nel primo semestre di quest’anno si è registrato un incremento degli attacchi informatici dell’8,7 per cento rispetto al primo semestre del 2021. Nel report stilato dall’Osservatorio cybersecurity di Exprivia, emerge che quello finanziario è il settore privilegiato dagli hacker digitali, con un aumento nel secondo trimestre dell’anno del 14 per cento rispetto ai primi tre mesi del 2022, rappresentando il 43 per cento del totale degli attacchi.
È un fenomeno mondiale e le aziende si contendono gli esperti. Spiega Pierluigi Paganini, esperto di cyber security e ceo di Cybhorus: «C’è una grande richiesta a livello internazionale e gli italiani sono molto preparati e competitivi. La sicurezza informatica è urgente e le società sono a caccia dei professionisti. Aziende americane e israeliane sono disposte pagare anche il 70 per cento in più di quello che offrono le società italiane per accaparrarsi i profili migliori e con maggiore esperienza, con l’ulteriore vantaggio che i contratti non prevedono alcun spostamento e si può lavorare da casa». Il tema economico nel settore diventa decisivo. «Ho visto colleghi passare da un’impresa all’altra e raddoppiare i compensi» aggiunge Paganini. «Gli atenei italiani, quali La Sapienza di Roma, il Politecnico di Milano, l’Università di Torino, la Federico II di Napoli e le università di Trento, Benevento e Salerno sono molto quotate e i giovani prima ancora di laurearsi ricevono offerte straordinarie». La realtà digitale è una scommessa anche per il mercato del lavoro.
