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Nile Rodgers: il genio “chic” dell’arte di far ballare il mondo

Nile Rodgers: il genio “chic” dell’arte di far ballare il mondo

Da Madonna a David Bowie, passando per INXS e Daft Punk: ritratto di un hitmaker che non sbaglia un colpo

«Gira il tuo culo dall’altra parte e allontanati. Tu non sei sulla lista». Non se lo immaginava Nile Rodgers che essere respinti malamente all’ingresso dello Studio 54 di New York la notte dell’ultimo dell’anno sarebbe stata la scintilla per diventare un musicista produttore multimilionario. 

Non era solo Mister Rodgers quella sera di metà anni Settanta sul marciapiede del tempio della disco music. Con lui c’era Bernard Edwards, amico e complice musicale negli Chic, la band che da lì a poco avrebbe regalato a entrambi la vetta delle classifiche mondiali. Allo Studio 54 li aveva invitati una diva dell’epoca, nota come Grace Jones, ma per qualche disguido i loro nomi erano spariti dalla guest list più ambita della Grande Mela. Delusi e furiosi al tempo stesso, i due si rifugiano nell’appartamento di un deejay di Manhattan, svuotano la sua scorta di Dom Pérignon e iniziano a strimpellare la chitarra inventando un un giro funky e intonando come ritornello “Fuck off, Fuck Studio 54, Fuck off. Un refrain adatto all’umore del momento, ma non per passare in radio. Così, in pochi minuti l’invettiva si trasforma in: “Freak out! Le freak c’est chic”. Nasce così Le Freak, l’inno della disco music, una hit senza tempo che conquista il primo posto per sette settimane consecutive negli Stati Uniti e che ancora oggi accende i concerti di Nile Rodgers in giro per il mondo, insieme ad altri pezzi storici come Good times, Everybody dance o Forbidden lover.  

Il primo passo per diventare il Re Mida della musica mondiale: Rodgers non è famoso come Paul McCartney, ma se mettiamo in fila le copie vendute dagli album e delle canzoni da lui composte e prodotte, il totale, circa 500 milioni di copie, non è molto distante dalle vette dei Beatles. È andata così a Mister Rodgers sopravvissuto nella Lower East Side di New York a una famiglia (non solo i genitori) di eroinomani e alcolisti. Non gente da strada, ma persone inserite nel mondo reale, anche con lavori ben retribuiti.Tutti però divorati dalla dark side della dipendenza. «Per fortuna ho iniziato giovanissimo a studiare musica con un insegnante jazz. Non so come abbia fatto a cavarmela, ma le folli esperienze di vivere in un contesto così mi hanno fatto diventare quello che sono. Nel bene e nel male» racconta oggi, sopravvissuto a due tumori e ai mix di alcol e cocaina che hanno quasi rischiato di ucciderlo (come spiega diffusamente nel libro edito da Sphere, Le Freak, An Upside Down Story Of Family, Disco And Destiny), prima di convertirsi alla fine degli anni Ottanta a uno stile di vita decisamente più sobrio.

Anche artisticamente parlando Nile Rodgers è un sopravvissuto: alla fine dei Settanta quando con gli Chic domina le classifiche sfornando brani disco music che volano alto in classifica, il mutevole vento del music business cambia drasticamente e improvvisamente. In poche settimane le case discografiche disinvestono sul genere che aveva trasformato in superstar mondiali gli Chic, le radio rigettano in blocco il suono dello Studio 54 e, dulcis in fundo, il deejay rock Steve Dahl lancia un evento denominato “Disco Demolition Night” allo stadio Comiskey Park di Chicago con migliaia di persone che fanno letteralmente a pezzi i 33 giri e i 45 giri del genere più inviso del momento Fine della storia. Ma non della carriera di Rodgers. 

Che risorge, contribuendo in maniera decisiva a trasformare una promettente stellina da discoteca in una diva internazionale: «Avevo visto Madonna in concerto in un club davanti a poche persone che non la prendevano troppo sul serio. Lei però aveva già tutto quel che serviva per diventare una star» ricorda. Insieme, lui e Miss Ciccone producono l’album Like a Virgin un best seller da ventuno milioni di copie. «Prima di entrare in studio, Madonna mi aveva intimato: questi sono i brani, se non ti piacciono tutti, non accettare il lavoro. E io: in realtà non mi piacciono tutti, ma dopo che ci avrò messo mano, li amerò alla follia». 

Un anno prima di lavorare con Madonna, nel 1984, Rodgers iniziò a scambiarsi 33 giri con David Bowie, un frenetico giro di vinili fino a quando il Duca Bianco gli disse senza troppi giri di parole: «Voglio incidere un disco in cui tu ti impegni a fare quello che ti viene meglio, ovvero scrivere e produrre hit da classifica». Detto, fatto: esce Let’s Dance e in pochi mesi diventa il più grande successo commerciale di Bowie. «Di giorno ascoltavamo i brani di Let’s dance impazzare nelle radio di tutto il mondo e la sera ci perdevamo in discussioni su introvabili dischi jazz d’avanguardia. A David non piaceva la definizione che gli avevo affibbiato, ma per me lui era e resta il Picasso del rock» racconta. 

Dopo Madonna e Bowie la caccia a Nile Rodgers diventa lo sport più praticato da popstar e rockstar di ogni epoca. E lui non si tira indietro: lavora con Mick Jagger, Eric Clapton, i Duran Duran (The Wild Boys), Brian Ferry, Mariah Carey, gli INXS, Cindy Lauper, Avicii, Diana Ross, Robert Plant. L’abilità nell’utilizzare al meglio la sala d’incisione, la sensibilità jazz applicata al funky e alla musica da classifica, lo stile chitarristico unico e inimitabile e l’intuito per le armonie vocali sono il suo marchio di fabbrica.

E quando, nel 2013, i Daft Punk gli chiedono collaborare al loro disco definitivo, Random Access Memories, lui li invita a casa. Insieme ascoltano la versione primordiale di Get Lucky (diventata poi una hit da miliardi di clic in streaming). «Ok togliamo tutto e lasciamo solo la batteria» è la sentenza di Rodgers che in un paio d’ore mette a punto l’ennesima hit mondiale. Poi, già che c’è, contribuisce a un altro paio di pezzi dell’album. Risultato? Cinque Grammy Award: tre per l’album e due per la canzone Get Lucky. «Il mio segreto? Quasi tutti scrivono un brano e poi cercano disperatamente il refrain. Io parto dal ritornello e poi metto insieme il resto della canzone».

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