Metallica, Kiss, Iron Maiden riempiono ancora gli stadi (quest’estate anche in Italia) e piacciono in modo trasversale. Il loro rock è «pesante», ma nelle fughe chitarristiche sono evidenti le influenze classiche di Paganini, Bach, Liszt. E atmosfere folk di inizio Novecento.
Per capire davvero che cosa sia l’heavy metal bisogna guardare un film straordinario: Anvil! The Story of Anvil, l’odissea di un gruppo di musicisti canadesi, pionieri assoluti dell’heavy rock alla fine degli anni Settanta, finiti nel dimenticatoio e senza un dollaro in tasca negli Ottanta. Il film li mostra poveri, frustrati, costretti a guardare da lontano i gruppi che si sono ispirati a loro diventare milionari. Gli altri in tour per il mondo, loro alle prese con lavoretti part-time per sopravvivere, ma indomiti nel desiderio di continuare a suonare e a sognare. Per questo si imbarcano in tour impossibili per poco più di mille euro a sera, in minuscoli club europei, dove a volte nemmeno li pagano, spostandosi di città in città con gli strumenti in spalla attraverso viaggi della speranza notturni su treni sempre in ritardo. Un atto d’amore folle e sconsiderato per la musica che li conduce quasi per caso in Giappone, dove in un festival lungo tre giorni, si esibiscono per primi alle 11 e 45 del mattino. Sconsolati, si immaginano di suonare in un’arena deserta, e invece si trovano di fronte a una folla immensa che li accoglie con un boato assordante come eroi del rock’n’roll. La rivincita.
Ecco, la storia dell’heavy metal è fatta di passioni travolgenti tra fan e artisti: veri propri innamoramenti che durano decenni e che si tramandano in famiglia. Ai concerti dei Metallica, dei Kiss (il 29 giugno a Lucca) o degli Iron Maiden (il 15 luglio a Milano) non è raro vedere insieme padri ingrigiti e figli teenager che intonano le hit dei loro idoli. Il pubblico metal è in buona parte fatto di musicisti dediti all’unico genere musicale rimasto dove suonare è la regola: niente auto-tunes, basi preregistrate o trucchetti tecnologici. Ma, romanticismi a parte, l’heavy metal è una delle riserve auree del music business mondiale, con un giro d’affari solido e impermeabile alle mode e alle tendenze. Nell’era dei singoli usa e getta da lanciare in streaming e dei balletti via social, il metal vive di album fisici, come 72 Seasons, l’ultimo dei Metallica andato al primo posto in mezzo mondo. Si calcola che la band abbia in cassaforte un miliardo di dollari e che il frontman del gruppo americano, James Hetfield, possieda un patrimonio personale valutato intorno ai trecento milioni di dollari, un dettaglio che spiega ancor meglio l’apparizione nei panni di sé stesso nella serie Billions. Al miliardario Bobby Axelrod che (nella fiction) gli chiede quale sia l’escamotage per sconnettere la mente dallo stress del lavoro e volare alto, Hetfield risponde ieratico con il suo classico ghigno: «Io suono amico, io suono». Non senza rischi: come quella volta che a Montreal sbagliò a posizionarsi in scena e venne investito dalla fiammata di un effetto pirotecnico che gli ustionò seriamente braccia, mani e schiena.
Quella del metal è una «nicchia» enorme diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo. Dal Giappone al Brasile, dall’India ai Paesi del Nord Europa. In Finlandia ci sono 54 metal band ogni centomila abitanti, un numero talmente eclatante che Barack Obama, accogliendo alla Casa Bianca il presidente finlandese Sauli Niinisto, nel 2016, disse: «Il suo Paese ha il più alto numero pro capite di musicisti metal al mondo e un’ottima tradizione di governo. Bisognerebbe indagare se c’è un nesso tra le due cose…». Sul piano strettamente musicale il termine «heavy metal» è un contenitore di sonorità e approcci alla musica totalmente diversi e opposti tra loro. Nelle fughe chitarristiche di molti musicisti del genere sono evidenti le influenze classiche di Paganini, Bach e Liszt, ma anche il gusto e le atmosfere della musica folk di inizio Novecento e le connessioni con le band seminali come Deep Purple, Led Zeppelin e Black Sabbath. Si va poi dal suono estremo e «industrial» degli Slipknot, originari dello Iowa, che vanno in scena con il volto coperto da maschere horror indossando divise simili a quelle dei carcerati, ai ben più leggeri e scanzonati Mötley Crüe (a Milano con i Def Leppard il 20 giugno), icone californiane del glam rock in chiave metal, sopravvissuti a loro stessi e al loro stile di vita «sesso, droga, carcere (il batterista, Tommy Lee, ci è finito per aver malmenato la moglie Pamela Anderson) e rock’n’roll», raccontato nei minimi dettagli nelle pagine del libro best seller The Dirt, diventato poi un film, The Dirt: Mötley Crüe, distribuito da Netflix.
Tutt’altro approccio quello degli inglesi Iron Maiden che nel loro album Powerslave hanno brillantemente reso omaggio al capolavoro romantico di Samuel Taylor Coleridge, La ballata del vecchio marinaio. Il cantante del gruppo, Bruce Dickinson, è quanto di più lontano ci possa essere dallo stereotipo del rocker eterno adolescente che si sbronza e va ai party dopo i concerti per sentirsi ancora giovane. Laureato in Storia al Queen Mary’s College di Londra, è pilota di aerei civili (tra cui il Boeing 747 con cui la band gira per il mondo) e schermidore professionista. Insomma, truce e scatenato sul palco, ma perfettamente inserito nella vita sociale di tutti i giorni.
Come lo è oggi Alice Cooper, il re dello shock rock, 75 anni, l’artista a cui tutte le metal band del mondo devono qualcosa, l’esempio vivente della sana dissociazione tra palco e realtà, che poi è il segreto dell’incredibile longevità degli artisti della prima ondata metal, quella degli anni Ottanta, che dopo quarant’anni di rock e chitarre sono ancora in giro a riempire gli stadi. «Ero amico di Jim Morrison, bevevamo come pazzi e ci mettevamo a penzoloni dalle ringhiere dei balconi di Venice, in California. Poi, lui è morto a 27 anni e io ho toccato il fondo» racconta. «Mi sono salvato facendo una scelta precisa: Alice Cooper, l’artista folle che sul palco ha un boa al collo e aziona la ghigliottina, deve fermarsi davanti allo zerbino di casa. In casa entra solo Vincent Furnier (il suo vero nome), quello che adora la famiglia, sua moglie, guardare la tv e giocare a golf il sabato mattina».
