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Antonella Ruggiero: «Non c’è più il Sanremo dei Matia Bazar»

Antonella Ruggiero: «Non c’è più il Sanremo dei Matia Bazar»

Per l’ex vocalist del gruppo, che di concorsi canori ne ha vinti due (nel 1978 e nel 2002), «il Festival è solo una vetrina promozionale, un mercato. Niente a che veder con l’arte». A Panorama racconta gli aneddoti più belli della sua carriera, come il coprifuoco durante la tournée in Cile, i controlli maniacali in Russia, la sua rinascita da solista e il nuovo disco registrato nella Basilica di Sant’Antonio a Padova.


No, non mi mancano per niente i Sanremo degli anni Settanta e Ottanta con i Matia Bazar. In realtà, non ho mai subìto il fascino del Festival e l’ho sempre considerato per quello che è, una veloce vetrina promozionale, una settimana in cui nel piccolo mondo della musica si ferma il tempo. Un po’ come un mercato, una fiera di settore: vai lì ed esponi il tuo prodotto davanti a una platea televisiva enorme. Ma è solo routine, ripetizione di uno schema. Niente a che vedere con l’arte. Non è una critica fine a se stessa, ci sono sempre andata consapevole della funzione del Festival».

Non ha rimpianti e nemmeno nostalgie Antonella Ruggiero, soprano, una delle voci più intense e riconoscibili nella storia del pop italiano, interprete di hit impresse per sempre nella memoria collettiva: da Mister Mandarino a Solo tu, passando per Vacanze romane, Tu semplicità, Ti sento, C’è tutto un mondo intorno… «Dopo 14 anni con il gruppo ho deciso che era arrivato il momento di sganciarmi dalle regole, dai riti e dai doveri della musica leggera: la promozione del singolo, il tour estivo e poi quello invernale… Con i miei ex compagni d’avventura non sono più in contatto, ma i ricordi rimangono indelebili: non c’è bisogno della vicinanza fisica. Una volta uscita dal gruppo, mi sono concessa sette anni di decantazione e poi ho iniziato un nuovo percorso artistico» racconta a pochi giorni dall’uscita di Empatia, il suo nuovo album (disponibile in esclusiva sullo store online shop.antonellaruggiero.com) registrato nella Basilica di Sant’Antonio a Padova lo scorso febbraio, poco prima del lockdown.

Uno show interamente dedicato al volontariato in cui rilegge, tra gli altri, due canzoni di Fabrizio De André (Ave Maria e Crêuza de mä), Respondemos, brano fondamentale della tradizione ebraica, e Cavallo bianco, il primo pezzo con i Matia Bazar. Con lei sul palco un ensemble di musicisti e di strumenti assolutamente non convenzionali: flauti, arpa, arciliuto, percussioni, vocoder e organo liturgico. Basilica strapiena e tanti applausi che però, a sorpresa, sono stati eliminati dal disco: «Ho deciso di toglierli perché sono un ostacolo alla concentrazione di chi ascolta, un’interruzione del flusso della musica. Così l’album suona in maniera molto più libera ed organica» spiega.

E a proposito del repertorio di Empatia aggiunge: «Reinterpretare significa deviare dall’originale, trovare altre chiavi di lettura. Non avrebbe senso rifare oggi Cavallo bianco uguale a com’era» sottolinea, entrando nelle pieghe della sua avventura artistica con i Matia Bazar. «È stato bello ma anche complicato essere la vocalist di un gruppo pop negli impegnatissimi e politicizzati anni Settanta. Per me non è stato facile interpretare canzoni leggere in un’era caratterizzata da terrorismo, stragi e bombe. A quei tempi ero totalmente immersa in quel che facevo con la band, ma i miei gusti personali erano diversi. Ero estremamente affascinata dai pionieri tedeschi dell’elettronica, i Kraftwerk. Li adoravo perché grazie a loro i computer e le macchine che producevano suoni hanno iniziato ad avere un’anima» racconta.

Erano molto popolari in Italia i Matia Bazar, ma la formula delle canzoni dall’appeal commerciale interpretate da una vocalist talentuosa e raffinata ha funzionato anche nel resto del mondo. «Il tour in Unione Sovietica fu indimenticabile: venimmo a contatto con una realtà ignota, cupa, fatta di controlli ossessivi ma anche di artisti ispirati e preparatissimi. Da quelle parti i conservatori erano una cosa seria… Come occidentali eravamo seguiti passo dopo passo e in ogni grande albergo c’era una signora cotonatissima seduta a una scrivania, sul piano dove avevamo le stanze, che annotava diligentemente su un blocco di carta ogni nostro minimo spostamento. Sul fronte opposto ci siamo esibiti in Cile negli anni della dittatura, quando alle 21 scattava il coprifuoco totale e senza eccezioni…».

È una viaggiatrice libera nel mondo dei suoni e delle note, oggi, Antonella Ruggiero, un’artista che difficilmente prova il piacere di stupirsi davanti alle proposte della musica contemporanea: «Negli anni Settanta sono avvenuti miracoli musicali, ora domina la ripetitività. D’altra parte è cambiata la società e la musica va di pari passo con quello che avviene nei movimenti giovanili» sottolinea. «È come se fosse stato eretto un muro: da una parte il commercio, dall’altra l’arte. A livello di marketing si è convinti della necessità di cliché sonori ripetuti all’infinito, nell’ assoluta certezza che il pubblico sia così ottuso da non volere altro. Sull’altro versante ci sono invece proposte straordinarie che vanno dalla classica, al jazz, all’elettronica, che però non hanno alcuna chance di passare in radio. Musiche stupende suonate da musicisti preparatissimi, come i tanti ventenni che studiano la classica da quando hanno cinque anni e che mettono tutto il loro impegno e la loro passione per fare della musica una vera professione, una compagna inseparabile nella vita».

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