In Italia il certificato di malattia per i lavoratori potrà essere rilasciato non solo dopo la visita in ambulatorio o domiciliare, ma anche «a distanza», attraverso la tele-visita: lo dispone il pacchetto di norme contenute nel recente Decreto Semplificazioni (legge 182/2025) che equipara sul piano giuridico la certificazione rilasciata tramite telemedicina a quella tradizionale.
La novità, su cui si sono rincorsi nelle ultime settimane commenti entusiasti e caute riserve, non è soltanto un’aggiunta tecnologica: cambia il modo in cui milioni di certificati verranno gestiti, trasmessi e controllati con impatti su pazienti, medici, datori di lavoro e sull’INPS. In Italia l’Istituto Nazionale della Prevenzione Sociale registra ogni anno decine di milioni di certificati di malattia: basti pensare che il tema della semplificazione e dell’efficienza amministrativa è stato uno dei motori della riforma.
Cosa prevede concretamente la norma
Il punto centrale è l’articolo che autorizza il medico (in particolare il medico di base/medico di famiglia) a rilasciare la certificazione anche dopo una visita svolta via videochiamata, a condizione che la procedura rispetti requisiti di identificazione del paziente, tracciabilità e firma digitale del documento. Rimangono in vigore regole operative che saranno dettagliate con provvedimenti attuativi e, dove richiesto, con l’accordo Stato-Regioni per definire modalità, piattaforme e requisiti tecnici.
Le ragioni dietro la scelta
I sostenitori (tra cui molte sigle di medici di famiglia) parlano di alleggerimento degli ambulatori, riduzione degli accessi superflui, e maggiore accessibilità per chi è impossibilitato a muoversi. In tempi di carichi amministrativi enormi e liste d’attesa, la televisita può restituire tempo clinico ai medici e semplificare la vita ai pazienti.
I nodi aperti: controlli, frodi e deontologia
L’equiparazione formale non spazza via i problemi pratici: restano questioni rilevanti sui controlli INPS (come verranno gestite le visite a distanza nelle attività ispettive?), sul rischio di certificati ottenuti senza un reale accertamento clinico, e sulle tensioni con norme preesistenti (ad esempio alcune previsioni della legge Brunetta che privilegiano visite in presenza per specifici controlli). Esperti e specialisti evidenziano che la televisita potrà funzionare solo con piattaforme sicure, procedure di identificazione precise e regole chiare sulle categorie di patologie per cui è ammissibile la certificazione remota.
Quali garanzie tecniche e legali serviranno
Secondo i commentatori, perché la riforma non resti una carta teorica servirà:
1) una app o piattaforma certificata che assicuri identificazione univoca del paziente e firma digitale;
2) linee guida cliniche che definiscano i casi in cui la televisita è adeguata;
3) procedure di tracciamento e integrazione automatica con i flussi INPS per evitare ritardi o discrepanze;
4) sanzioni efficaci contro frodi e rilascio improprio di certificati. Senza questi tasselli il rischio è di spostare oneri e incertezza dal pratico al burocratico.
Impatto sui lavoratori e sui datori di lavoro
Per il lavoratore la novità significa maggiore comodità: niente file in ambulatorio o visite domiciliari per disturbi lievi, possibilità di ottenere giustificativi anche in situazioni di difficoltà logistica. Per il datore di lavoro, però, è probabile un periodo di adattamento: cambieranno le modalità di ricezione dei certificati (formato digitale, firma elettronica), i processi di verifica e, potenzialmente, il rapporto con visite fiscali e controlli a campione. Anche il comportamento fraudolento potrebbe mutare: più digitalizzazione significa maggiori metodi per sviare ogni traccia in merito alle nuove forme di abuso, per questo gli organi di controllo dovranno aggiornare strumenti e metodologie.
Cosa non risolve (e cosa potrebbe peggiorare)
La televisita non è una bacchetta magica: non riduce il bisogno di visite in presenza per condizioni complesse, non sostituisce esami strumentali e può creare inerzie legali se le regole di esercizio restano vaghe. Inoltre, se la piattaforma digitale diventasse obbligatoria senza adeguati standard di accesso, rischierebbe di aumentare il divario digitale per fasce di popolazione meno avvezze alla tecnologia. Infine, resta da chiarire il rapporto tra responsabilità medica e limiti diagnostici della visita remota.
Il peso politico e il calendario
La norma è stata approvata nel contesto del Ddl Semplificazioni e trova applicazione dal 18 dicembre 2025, ma molte misure attuative richiedono intese tecniche (anche tra Stato e Regioni). Tradotto: la legge apre la strada, ma l’effettiva operatività dipenderà da decreti e linee guida che devono ancora essere definiti. Nel frattempo, associazioni mediche e sindacati hanno chiesto garanzie per la sicurezza clinica e per la protezione dei dati personali.
Chi vince e chi perde
Aspetti positivi: la praticità per il paziente con esigenze logistiche, una possibile riduzione degli accessi inutili agli ambulatori, e un potenziale snellimento amministrativo se i flussi digitali venissero ben progettati.
Rischio di perdere: chi insiste su un modello esclusivamente visita in presenza per ogni certificato; i pazienti più fragili se le soluzioni digitali non dovessero essere di facile accesso; il sistema se le garanzie antifrode e le regole cliniche non verranno definite subito.
Una buona partenza, ma il percorso è ancora lungo
La possibilità di ottenere il certificato di malattia tramite televisita segna una svolta logica nella digitalizzazione della sanità e del rapporto con il lavoro: è la formalizzazione di pratiche già diffuse in modo informale. Tuttavia, perché questa svolta produca benefici reali e non solo semplificazioni formali, occorrerà rapidità e concretezza nell’attuazione tecnica, chiarezza giuridica e, non ultimo, fiducia reciproca tra cittadini, medici e istituzioni. Senza questi ingredienti la televisita rischia di diventare una scorciatoia che lascia irrisolti i problemi di sempre: produzione di salute, tutela del lavoro e prevenzione delle frodi.
