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Quel che resta dello sbarco

Quel che resta dello sbarco

Dalla costa pugliese a Lampedusa, passando per le spiagge della Calabria. Il litorale del Meridione è disseminato di relitti utilizzati per i viaggi dei migranti. Le rimozioni, però, hanno tempi lunghissimi e così gli scafi continuano a deturpare il paesaggio e rilasciare inquinanti.


Spesso le scritte in arabo su entrambe le fiancate della prua rivelano la provenienza di quegli scafi vecchi e malandati; a volte, issate su robusti alberi d’acciaio, si notano bandiere di Stati europei usate per mimetizzare i taxi del mare. Che siano carrette di recupero, in pochi altri casi velieri hi-tech, tutte queste imbarcazioni finiscono puntualmente incagliate tra gli scogli o insabbiate a riva. E lì possono rimanere anni. L’ultimo dato statistico della Guardia costiera reperibile datato 2017, censiva oltre 700 relitti abbandonati sulle coste o nei porti italiani. La gran parte è frutto degli sbarchi clandestini. Sono gli effetti collaterali dell’immigrazione, dei quali raramente ci si occupa, nonostante i relitti costituiscano una notevole massa di materiali inquinanti: dalla vetroresina con cui è realizzato lo scafo al carburante e agli olii e liquidi reflui che, immagazzinati nei serbatoi e negli impianti, possono fuoriuscire e contaminare l’acqua o i fondali in qualsiasi momento. Anche le vernici in decomposizione e le batterie, che rilasciano in acqua metalli pesanti, sono particolarmente pericolose.

Le coste dove restano più a lungo le imbarcazioni dei migranti sono quelle calabresi: alcuni barconi «spiaggiati» risalgono ad arrivi persino di 10 anni fa. Ma anche in Puglia, in particolare nel Leccese, e in Sicilia il fenomeno è diffuso. A Lampedusa si vedono addirittura veri cimiteri di scafi, abbandonati a riva dai trafficanti. Dal molo Favarolo, dove si erano accumulate nel corso degli anni, le imbarcazioni sono state spostate di recente nelle discariche, in attesa del lungo iter per lo smaltimento. E subito sono state sostituite da pescherecci e barconi appena approdati.

Spesso queste carrette finiscono in aree marine protette. Come nella riserva naturale di Torre Salsa, in provincia di Agrigento, dove nonostante le denunce dell’associazione ambientalista Mareamico, relitti e carcasse non mancano. In balia delle onde, anche la barca a vela arrivata a fine ottobre nel lido Galatea di Aci Trezza, in provincia di Catania: il combustibile si è subito disperso in mare; lo scafo, invece, è stato «cannibalizzato» delle dotazioni tecnologiche e radio ma anche dei rivestimenti che, probabilmente, erano ambìti come ricambi. Il rottame è quindi rimasto incastrato tra gli scogli, in un’area di particolare rilevanza paesaggistica.

Attraversiamo lo Stretto e torniamo in Calabria. Sulla spiaggia Le Cannelle di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, gli ambientalisti hanno organizzato addirittura un sit-in per denunciare il livello di scempio del litorale. Nell’ultimo mese la costa è stata presa d’assalto dagli scafisti della rotta turca, che hanno abbandonato a riva barche a vela e velieri di una certa dimensione.

Solo lungo la costa tra Isola Capo Rizzuto e Crotone il periodico locale il Crotonese ha contato una decina di relitti, compresi i natanti delle Cannelle: un’imbarcazione «giace» in località Campione da oltre quattro anni; a Capo Cimiti, un’altra è incagliata lì da una decina d’anni, alla quale si sono aggiunti un motopeschereccio lasciato nelle secche il 3 novembre scorso e una barca a vela; a Sovereto ci sono altre due lance, una arenata il 6 novembre e una seconda che si trova lì da almeno un lustro.

Stesso sfregio ambientale, come si accennava, in Puglia: qui a fine luglio, in pieno periodo turistico e balneare, la Guardia costiera è stata costretta a emettere un avviso di pericolosità per la località Spiaggiabella, dove uno scafo abbandonato minacciava la sicurezza dei bagnanti.

Invece, sempre la scorsa estate, da Salve, Gallipoli e Porto Cesareo sono stati finalmente smaltiti tre relitti arenati da tempo sulle spiagge locali. Qualcosa, in fatto di recuperi, si è mosso anche in Sicilia: l’Agenzia delle dogane ha costituito una società «in house», la Res Adm, che dovrà occuparsi proprio dello smaltimento di queste imbarcazioni. Anche a Reggio Calabria, lo scorso ottobre, durante un vertice in Prefettura si è cercato di mettere in piedi una strategia per eliminare le carcasse. In altri casi i natanti, alcuni anche di pregio, finiscono nei depositi giudiziari in attesa che si concluda un lungo iter giudiziario.

A Roccella Jonica, per esempio, nel dicembre scorso si contavano 13 barche ancora in acqua e sei a terra, accatastate una sopra l’altra. Appartenevano a diportisti esteri non individuati. Con molta probabilità rubate per organizzare le traversate dei migranti. Il «loro valore» sul mercato, analizza il sito web Non solo nautica, oscillerebbe ancora «tra i 40 e i 100 mila euro», ma marciscono sulla spiaggia in provincia di Reggio Calabria. «In attesa che finiscano per essere affidate alle ditte di smaltimento possono passare anche anni» dice Davide Gambardella, che di Non solo nautica è il direttore. «Le aziende che in Italia si occupano di smantellamento e demolizione sono poche, e le leggi che disciplinano lo smaltimento dei natanti non fanno certo chiarezza».

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