La solitudine giovanile è uno dei grandi temi del nostro tempo. Nonostante vivano immersi nella connessione continua dei social network, molti ragazzi si sentono più soli che mai.
Ne parliamo con Benedetta Balestri, cofondatrice e managing director di One Shot Group e collaboratrice di Itaca Lab, che da anni aiuta i giovani content creator a crescere e che osserva da vicino l’impatto del mondo virtuale sul benessere emotivo dei ragazzi.
Nei social, i ragazzi cercano un senso di appartenenza
La cofondatrice di One Shot Group esordisce sottolineando una distinzione fondamentale: «Quando si parla di solitudine, è importante distinguere tra essere soli e sentirsi soli. Oggi i ragazzi vivono immersi in un costante flusso di informazioni, qualcosa di cui le generazioni precedenti non avevano avuto esperienza. Soprattutto durante l’adolescenza, queste relazioni sono spesso molto superficiali e basate sulla validazione. Essere soli, invece, può essere uno strumento di grande crescita, non necessariamente un sintomo di qualcosa che non va».
Ci spiega poi che il discorso sui social è molto più complesso di come viene solitamente presentato e trattato: «Per questo è importante non generalizzare. Si tende a pensare che i creators siano qualcosa di distante, invece esprimono al massimo la generazione a cui appartengono. Nella solitudine dei social c’è spesso anche una grande ricerca di appartenenza per i ragazzi, che frequentemente si riconoscono nelle community online. Quindi non bisogna demonizzare, perché a volte i social sono un primo strumento per testare la propria autostima e riportarla poi nella vita reale. Credo tuttavia che questi canali possano essere un amplificatore di solitudine se manca un equilibrio tra la vita sociale reale e quella virtuale».
L’impatto del Covid sulla solitudine dei giovani
L’esperta di solitudine giovanile ammette che il periodo del Covid-19 ha segnato uno spartiacque importante nella vita degli adolescenti: «Ci sono ragazzi che, in un momento centrale della loro crescita, si sono abituati a relazionarsi solo attraverso lo schermo. L’isolamento e l’ansia sociale sono una conseguenza delle difficoltà di creare legami profondi. Molti adolescenti si sono trovati di fronte a sfide importanti proprio in questo periodo, come il cambio di scuola, e sono stati costretti a relazionarsi esclusivamente attraverso gli schermi. Quindi senza dubbio l’impatto c’è stato». E aggiunge: «Durante il Covid, i social hanno assuefatto le persone a guardare gli altri soltanto attraverso un racconto digitale. È fondamentale che i contenuti che guardano i giovani forniscano storie positive, cioè reali. Ed è su questo che nasce la mia responsabilità nei confronti dei creators. Nel provare attraverso di loro a raccontare e a dare anche degli strumenti ai ragazzi che li seguono, per evitare che vengano risucchiati dall’”aspirapolvere antirelazionale” dell’isolamento e dell’ansia sociale»
One Shot Group: formare influencer consapevoli
La cofounder e managing director di One Shot Group ci racconta la sua “creatura”: «È nata da un fortissimo interesse verso i media in generale. Abbiamo intercettato il fenomeno dell’“influencer marketing” otto anni fa, quando ancora non si parlava di creator economy. Abbiamo intravisto prima di altri l’ambizione di rinnovare i media tradizionali e di intrattenimento. E abbiamo deciso di aiutare i giovani creators a produrre contenuti di informazione e di cultura, dando loro gli strumenti per comunicarli efficacemente».
Descrive poi orgogliosamente la missione e la visione dietro a questo progetto: «Siamo partiti dai ragazzi, facendoli crescere e seguendo le loro ambizioni personali, aiutandoli a coltivare i loro talenti. È lì che ho osservato le tematiche legate alla salute mentale che li accomunano. Ho sentito da loro un’esigenza di parlare delle loro esperienze per levarsi questo peso di dosso. Da qui, nasce l’esperienza di Itaca Lab, un progetto di formazione per content creator ideato insieme a progetto Itaca, ovvero una Fondazione che promuove programmi di informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione rivolti a persone affette da disturbi della salute mentale e alle loro famiglie. Ci siamo resi conto che gli stessi creators in realtà erano i primi ad aver bisogno di strumenti».
Il ruolo dei genitori e degli insegnanti
Il ruolo di genitori e insegnanti è cruciale nel prevenire l’isolamento digitale. Non esistono ricette preconfezionate, ma «una grande capacità di ascolto. Penso che i genitori e gli insegnanti sappiano intercettare i campanelli d’allarme. Un adulto, un genitore, un docente, deve iniziare a conoscere il mondo digitale e capire che cosa guardano i ragazzi. Spesso con un distacco o una condanna esplicita si tende ad allontanare i propri figli o i propri studenti, facendoli sentire giudicati e incompresi. Il “rimedio” più intelligente invece è cercare di capire questi strumenti per utilizzarli al meglio».
Hikikomori e isolamento sociale: sintomi di un malessere più profondo
Ancora una volta, Benedetta Balestri richiama all’equilibrio e alla ponderazione: «Non bisogna creare allarmismo. È importante non parlare di solitudine legandola necessariamente a un fenomeno come l’hikikomori, che ha un peso completamente diverso. Io credo che l’isolamento sia anche una forma di autodifesa da un contesto sociale che sovraccarica e spaventa». I giovani di oggi si isolano dunque a causa di malesseri sociali molto più profondi: «Questa è una generazione che sente la pressione di dover apparire, di dover performare. E chi non riesce poi a reggere quella pressione tende a chiudersi. Il confronto costante con dei modelli di successo e di felicità porta a sentirsi inadeguati. Per questo è importante creare delle relazioni, anche online, che siano quanto più solide e sincere possibili».
