Un’egittologa danese ha appena decifrato un manuale del 1.450 a.C. che insegna come mummificare il corpo per accompagnarlo nell’ultimo viaggio. È una «finestra» aperta su vita, morte e mito all’epoca dei faraoni.
Nell’Antico Egitto mummificare significava preparare il defunto a un lungo viaggio. In una delle più belle pagine dedicate alla visione della morte di questa antica civiltà, l’egittologo Christian Jacq racconta che il faraone accedeva con il corpo nell’aldilà attraverso incessanti mutazioni.
Con le sue fasi differenti, la morte ricalcava la vita. Le procedure di mummificazione, ma anche gli amuleti, i geroglifici, le raffigurazioni e gli oggetti posti nella tomba erano mezzi che dovevano favorire il defunto in questa incessante trasformazione.
Così, il più antico manuale di mummificazione dell’Egitto di quell’epoca giunto fino a noi, che l’egittologa danese Sofie Schiødt ha appena terminato di decifrare, è molto di più di un insieme di istruzioni. È uno sguardo nella sofisticata visione dell’aldilà di una civiltà che non smette di affascinarci. «Insieme a testi di medicina, fa parte di un papiro di incerta provenienza» spiega Schiødt.
«Non sappiamo esattamente dove e quando è stato trovato. Ciò che sappiamo è che le parti del papiro – ora al Louvre – provengono da un collezionista che li possedeva nel 1953; quelle che invece appartengono alla Carlsberg Collection dell’Università di Copenaghen sono state acquistate da un antiquario del Cairo nel 1974. Non conosciamo l’autore perché non c’è una firma, come sempre accade con i papiri egizi. Ma chi ha scritto quelle istruzioni era un apprendista medico che praticava anche tecniche di imbalsamazione. Forse era un impiegato del faraone o di membri dei ranghi più alti della società: il manuale fa riferimento a ingredienti per l’imbalsamazione importati dall’estero, dunque sotto il controllo del faraone».
Molte descrizioni del papiro decifrate da Schiødt rivelano particolari inediti: «Una parte significativa del testo descrive in dettaglio l’imbalsamazione del volto: sostanze aromatiche vegetali e collanti erano mescolate a formare un liquido che, cosparso su un fazzoletto di lino rosso, veniva applicato sul viso del defunto per fungere da involucro antibatterico profumato e mantenere integra la pelle». Lo confermano, in modo indiretto, analisi effettuate su mummie i cui volti erano coperti di resina e tessuto. «La procedura era ripetuta periodicamente, si legge nel papiro: ogni quattro giorni gli imbalsamatori tornavano a lavorare sul corpo e, con la ripresa dell’attività, si svolgeva una processione. Negli intervalli, il corpo era avvolto in un tessuto e ricoperto di paglia intrisa di aromi per tenere lontani insetti e animali saprofagi. In totale ci dovevano essere 17 processioni».
C’era una ragione per concentrare le proprie attenzioni sul volto: «Scopo dell’imbalsamazione era permettere al defunto di proseguire, letteralmente, la propria vita nell’aldilà» dice Schiødt. «Ciò che era oltre la soglia della morte era concepito come una sorta di immagine speculare della vita; il defunto doveva poter usare il proprio corpo nell’aldilà, soprattutto la bocca per mangiare, il naso per respirare, le orecchie per sentire, gli occhi per vedere. Non stupisce che il testo citi ben 20 differenti ingredienti da usarsi sul viso, tutti di importazione».
Il contenuto del papiro di Louvre-Carlsberg verrà pubblicato per intero nel 2022 e conterrà informazioni su habitat, usi e significati di una pianta ritenuta divina e capace di curare malattie della pelle. Le dottrine della cura dei corpi e delle anime dell’Antico Egitto non sono così lontane da noi come si immagina: sono confluite in parte nell’Ermetismo, che ebbe un ruolo nel Rinascimento e nella nascita della scienza moderna.
Si ritiene che questo manuale di imbalsamazione risalga a 1.450 anni prima di Cristo. È una deduzione di tipo paleografico, basata sulla forma dei caratteri della scrittura, che sono cambiati molto nel corso della lunga storia dell’Antico Egitto, durata circa 4.000 anni. Siamo nel pieno della 18° dinastia, quella che gli storici chiamano il Nuovo Regno, periodo di massima espansione dell’Egitto.
«Quando una persona moriva» aggiunge Schiødt «doveva provare di essere degna di vivere nei Campi di Aaru, una sorta di equivalente del Paradiso cristiano». Un’ulteriore analogia con la dottrina cattolica della resurrezione della carne dopo il Giudizio universale: i corpi resusciteranno congiungendosi alle rispettive anime.
In vista di una vita nell’aldilà con il corpo, le sepolture prevedevano altri accorgimenti. «Sulla mummia venivano posti amuleti che dovevano proteggerla nel viaggio. Ugualmente importante era fornire cibo al defunto, e le tombe venivano riempite di vivande e birra. Poi c’erano altre misure a scopo precauzionale come modelli in legno che ritraevano fasi del processo di panificazione, della preparazione della birra, della macellazione di animali. Fuori dalla tomba venivano riportate formule magiche in maniera che i visitatori delle necropoli potessero recitarle in favore del defunto».
Quest’ultimo doveva attraversare diverse zone dell’oltretomba, da dove era impossibile proseguire senza pronunciare una precisa formula. Nel processo di mummificazione non veniva asportato il muscolo cardiaco perché uno stadio cruciale del viaggio prevedeva il peso del cuore di fronte a Osiris, signore del Mondo dei morti. Sistemato su un piatto della bilancia, il cuore non doveva pesare più della piuma cosiddetta di Maat, posta sull’altro piatto. Quella piuma simboleggiava moralità, giustizia, armonia ed equilibrio.
Quelle del papiro di Louvre-Carlsberg sono tecniche che potevano permettersi solo i ricchi. Prevedevano anche l’asportazione di alcuni organi, avvolti in bende e sistemati in quattro vasi, e il trattamento con olio di cedro e natron, un minerale prelevato da un lago quasi asciutto. Il corpo, esteriormente integro, era poi posto in un sarcofago in legno e pietra e trasportato in processione fino alla tomba. Questa veniva chiusa solo quando il sacerdote aveva aperto la bocca del defunto così da rendere possibile il nutrimento e la comunicazione nell’aldilà. Dipinto sul gres rosso del suo sarcofago, il faraone Thutmose III appare ancora oggi con gli occhi spalancati. Bisogna immaginarlo nell’aldilà che vede, scruta e si dirige sereno verso i confini dell’eternità, nei campi di Aaru.