A Roma è in corso una lotta, feroce e silenziosa, per controllare i traffici illeciti. Accanto a tradizionali clan e interessi, a imporsi è la mafia albanese.
Il fantasma di Fabrizio Piscitelli, ex capo degli ultrà laziali conosciuto come Diabolik e freddato nel 2019, continua a turbare la capitale. O meglio, nelle inchieste dell’antimafia romana sembra aggirarsi in ogni vicolo buio dove gli scontri tra la mala albanese e quella capitolina lasciano a terra qualcuno. È la guerra di mafia per il controllo degli affari sporchi di Roma, cruenta ma allo stesso tempo silenziosa. Tanto da non uscire da uno strano ghetto mediatico che si è creato da quando il pool, all’epoca guidato dall’ex procuratore Giuseppe Pignatone, vedeva la mafia ovunque. Soprattutto dove non c’era, come hanno dimostrato i processi. E, così, anche i morti ammazzati restano confinati sulla stampa locale, insieme alle chiacchierate durante le quali gli indagati progettano di liberarsi degli inquirenti. Roba che se fosse saltata fuori da faldoni siciliani o calabresi sarebbe finita di diritto nei tg nazionali. Ma su Gotham Capitale, per evocare la sinistra metropoli di Batman, sembra essere calata una cortina fitta e impenetrabile. Che tutto occulta. Anche quando è tutto pubblico. Perché ormai la mala del nuovo millennio si muove in rete. E i social network sono una componente essenziale tramite cui vengono mandati pizzini, a volte neanche da interpretare.
Come quando è finito su Instagram il video di un pestaggio, quello dei fratelli Alessio ed Emanuele Costantino, ai danni del nipote di Peppe Molisse, un napoletano attivo tra i Castelli e Cinecittà e i cronisti romani indicano come «un pezzo grosso», forse perché faceva affari con Elvis Demce, feroce capo degli albanesi finito in una delle tante inchieste antimafia. Il video avrebbe fatto un vorticoso giro sui telefoni cellulari di boss e gregari. E sarebbe arrivato anche a Rebibbia, dove è detenuto un tizio che tutti chiamano Er Verdura e che di Alessio ed Emanuele è il padre. Si chiama Andrea Costantino, finito in carcere con l’accusa di usura. Nel frattempo Peppe Molisse ha deciso che a quello sgarro bisognava porre rimedio.
E si sarebbe rivolto a uno che nel curriculum si porta dietro l’accusa (sempre respinta) di aver tolto di mezzo l’excapo ultrà degli Irriducibili e anche l’albanese Shehaj Selavdi, assassinato a bruciapelo il 20 settembre 2020 sulla spiaggia di Torvaianica. L’azione deve essere eclatante. Il 13 luglio 2021 il killer argentino Raoul Esteban Calderon, cappello calato quasi a coprire gli occhi e mascherina sulla faccia, raggiunge i fratelli Costantino durante l’aperitivo, mentre sono ai tavolini di un bar di viale Alessandrino, dalle parti di Centocelle.
Da una pistola calibro «9x21mm» partono due proiettili: Emanuele viene ferito alla spalla e al volto. Alessio si salva perché l’arma si inceppa. Agguato fallito. Il 24 gennaio scorso Calderon viene individuato e fermato dai carabinieri. Ma un faro investigativo è puntato «anche su altre scene del crimine» spiega il giornalista romano Emilio Orlando «dove si starebbe verificando la possibile presenza di Calderon»: quella del duplice tentato omicidio di via Flavio Stilicone ai danni di Mauro Gizzi e Maurizio Salvucci (aprile 2019) e quella dell’omicidio di Andrea Gioacchini (gennaio 2019), un pregiudicato per stupefacenti e armi, avvenuto davanti a un asilo alla Magliana.
Qualche ora dopo la feroce esecuzione di Gioacchini, la polizia fermò Augusto Giuseppucci, fratello di Franco, ovvero il Libanese della Banda della Magliana (assassinato nel 1980 in piazza San Cosimato a Trastevere). E si è scoperto che Calderon venne arrestato proprio con Augusto Giuseppucci per una rapina. Poco per attribuirgli un omicidio. Ma abbastanza per aprire una pista investigativa che ha portato gli inquirenti a ricondurre tutti quei delitti a un unico movente «perché», dice a Panorama Orlando, «le vittime avevano tentato di scalare la vetta e a diventare i monopolisti del narcotraffico all’ingrosso, provando a estromettere i boss storici».
Sul piatto sarebbero stati messi 100 mila euro per fermare l’ascesa dei nuovi signori della droga, quelli che stanno con gli albanesi. Una scia di tre omicidi, partita a gennaio 2019 nel cuore della Magliana, passata poi per il Tuscolano e culminata a settembre 2020 sul litorale romano. Ma la questione con i Costantino resta aperta. La mamma dei due fratelli viene intercettata quando va a parlare con suo marito in carcere: «Alessio l’hanno puntato in faccia. Volevano ammazza’ a tutti e due, Andre’». E pensa a una risposta: «Me devo leva’ qualche nemico Andre’. Dovemo levarse quarche nemico, perché così n’annamo da nessuna parte». E individua in «Peppe il mandante».
Molisse però è un pezzo grosso. Intoccabile pure per loro. E valutano che «tocca mette’ pace». Nel frattempo, però, si aggiungono altri tasselli. La Procura antimafia è riuscita a far decrittare un server usato per le comunicazioni segrete dalla banda albanese di Elvis Demce. Ed è spuntata una foto: un uomo è in ginocchio con una pistola puntata alla tempia.
In poco tempo viene individuato nel «Gelataro», nomignolo col quale negli ambienti della mala viene chiamato il luogotenente della piazza di spaccio Dei due Leoni, a Tor Bella Monaca. Siccome è sospettato di aver soffiato in Questura il nome di qualche albanese che si era affacciato dalle sue parti, Demce e altri tre scagnozzi lo rapiscono con l’obiettivo di estorcergli 50 mila euro. C’è una conversazione intercettata che accompagna la foto del Gelataro, nella quale uno degli sgherri chiede a Demce il benestare per far scattare l’operazione: «Me dai l’ok, lo faccio trema’, lo porto in mezzo a un prato, gli metto il ferro in bocca».
La motivazione viene esplicitata dalle chiacchierate del gruppo: «Ho la sicurezza che sei ’na spia, brutto infame. Lo faccio piscia’ sotto. Se non dà i soldi lo apriamo, vuoi che ti mando la foto?». E a conti regolati la foto arriva davvero in chat. Con tanto di messaggi vocali nei quali gli autori si sbellicano dalle risate. Demce, «per fornire conferma della potenza criminale del suo sodalizio», annotano gli investigatori, avrebbe poi inoltrato la foto a un’altra persona commentando: «Scuse ricevute».
Quella del regolamento col Gelataro, poi, non è l’unica richiesta che arriva a Demce dai gregari: «Sabato è la festa mia.. che mi fai per regalo?» chiede a Demce Alessandro Corvesi, già nella Primavera della Lazio (arrestato a luglio a Ponte Milvio con 27 chili di cocaina), alludendo al progetto di eliminare «il pm che me vo vede’ morto (Giuseppe Cascini, ndr)». Demce commenta: «A questi per faje male, più che sparaje, faje qualche video pe ave’ qualcosa per tenerli per le palle».
Demce è finito in carcere un mese fa, insieme con un altro albanese, Ermal Arapaj detto Ufo che, secondo l’accusa, controllava l’area di Velletri. A lui si è arrivati mentre si indagava su un altro omicidio, quello di Cristian Di Lauro, sparito il giorno di Natale del 2017 e ritrovato cadavere, carbonizzato, due giorni dopo nella sua auto. Un’altra tipica scena da Gotham City, pardon, Gotham Capitale.