In visita al Complesso della Nuova Pilotta, a Parma, tra capolavori pittorici restaurati e meraviglie archeologiche. Un esempio di come trasmettere la cultura con energia contemporanea.
Si comincia dalle basi, ripulendo la patina che offusca anche il quadro più straordinario (ma al tempo stesso si rimuove il guano lasciato dai piccioni su balaustre e modanature esterne). Quindi si fa l’esatto censimento su una realtà artistica, immensa ma trascurata, che ricorda gli oggetti di pregio ricevuti in eredità eppure dimenticati in un angolo, per pigrizia o ignoranza. Finalmente, si mette mano alla completa riorganizzazione dell’unico museo «enciclopedico» d’Italia – che comprende cioè dipinti importantissimi e oggetti in una Galleria nazionale, un patrimonio archeologico museale che va dal Paleolitico al Medioevo, un palcoscenico magico come l’architettura del teatro Farnese e, ancora, una Biblioteca palatina ricca di manoscritti preziosi e quasi un milione di volumi.
Così si «tirano i fili» per far dialogare celebri capolavori della pittura, come La Scapigliata di Leonardo o La Schiava turca del Parmigianino, con una ricchezza trascurata di arti decorative che adesso vengono esaltate in spazi più adatti. La bellezza può respirare. Rivive un patrimonio storico, estetico e, ci si permetta di dirlo pure etico, con la cultura che spiegata bene, raccontata, condivisa, da fuori moda diventa «smart». È quello che è accaduto dal 2017 e ancora sta succedendo nel Complesso della Nuova Pilotta, museo ritrovato che rilancia Parma come tappa cruciale in un Grand Tour contemporaneo dell’Italia. Siamo nel periodo della direzione di Simone Verde, che si è dato come obiettivo valorizzare – in senso culturale ma anche economico – questo luogo.
E i risultati sono concreti: dai 71 mila visitatori all’anno, quand’è arrivato, agli oltre 200 mila di oggi. Nella grandiosa struttura dei Farnese e dei Borboni e quindi dell’«illuminata» Maria Luigia, sono decine gli ambienti ripensati, recuperati, riallestiti, messi a norma; centinaia le opere restaurate; ne sono state trovate di importanti persino nei vecchi depositi. Ecco che oggi, mentre si inaugura l’allestimento del Museo archeologico – con una selce «bifacciale» antica di 500 mila anni a fare da emblema della rinascita – si può avere un’immagine complessiva di questo lavoro imponente. Lo scalone monumentale che porta nel principale vestibolo d’accesso alla Pilotta – restaurato e arricchito con vetrine per illustrare vicende e sviluppo del Complesso – è un invito a entrare nella spettacolare struttura lignee del Farnese, primo teatro moderno del 1618. La sua storia adesso la narra un videomapping, ovvero una macchina scenica in versione digitale, che anima le gradinate, evoca storici allestimenti, racconta la magnificenza con cui i duchi di Parma impressionavano il loro tempo.
A fianco del palcoscenico si accede ora alla Galleria nazionale, cuore della Nuova Pilotta. Elencarne le tantissime trasformazioni e gli arricchimenti (come la disposizione più razionale dei dipinti, per esempio con una sezione sui fiamminghi, o il totale rifacimento della Sala del Trionfo con le testimonianze inedite di arti decorative, o ancora le stanze rinnovate per il Correggio) è semplicemente impossibile. Mentre il direttore Simone Verde attraversa a passo veloce le stanze e indica le cornici che oggi rendono giustizia alle opere – una su tutta, quella che racchiude La Scapigliata leonardesca – spiega: «Occorreva riconnettere le varie collezioni e renderle più fruibili per chi arriva in visita. Prima occorreva ripristinare, ora è importante comunicare ciò che si vede, superando la gerarchia tra opere italiane e altre culture del mondo, tra quadri famosi e arti decorative. Non basta replicare la tradizione. Funzione di un museo è l’emancipazione intellettuale e civile. Altrimenti si tratta di banale arredamento d’interni». E si esalta a ricordare come ha tirato fuori dall’oblio il ciclo seicentesco dello spagnolo Murillo con i ritratti dei Dodici apostoli: «È unico e stava dietro una tenda! Ma si può…».
Verde, nato a Roma nel 1975, ha personalità. I quattro anni passati nel Museo Louvre di Abu Dhabi come responsabile scientifico hanno contato («Gli Emirati sono una realtà molto difficile, più dell’Italia. Lì, però, una volta presa una decisione si va fino in fondo»). A proporgli di scegliere alcune «meraviglie» della Nuova Pilotta da mostrare a un ipotetico amico, si blocca. Troppa bellezza. Certo, non potrebbe mancare la Sala delle ceramiche nel Museo archeologico. Qui, vegliato dal soffitto a cassettoni riemerso dopo un lungo restauro e dalle sculture di età romana dalla collezione Farnese e Gonzaga, troneggia un tavolo antico di oltre 10 metri con un tripudio di vasi e piatti grechi, etruschi e italici. In questo difficile gioco di selezione – stavolta tocca alla Galleria nazionale – ci sarebbe anche la «scenografia» per la ripensata Sala ottagonale della Rocchetta. È qua che si custodisce un’opera capitale del cinquecentesco Antonio Allegri, più noto come Correggio. A fare da paramento alla Madonna di San Gerolamo, una stoffa color oliva con le iniziali «A.A.» in omaggio all’artista.
Lo stile «interventista» del direttore Verde si capisce meglio da un dettaglio, mentre si muove per il Complesso. Inciampa in una pietra, finita chissà come sullo scalone monumentale. Borbotta sul fatto che nessuno l’abbia recuperata, la prende, la va a buttare in un bidone della spazzatura… È la cura per il particolare con vera ossessione: perché solo con questa, pur con fatica, arrivano i risultati. E aggiunge: «Quello che abbiamo raggiunto è frutto di un controllo continuo sulle spese. Cerchiamo di risparmiare dov’è possibile e indirizzare le risorse per migliorare il museo. La città, va ricordato, ci sostiene. Le donazioni arrivano, gli imprenditori capiscono come il progetto sia strategico. E vanno ricordati gli Amici della Pilotta. Sono oltre un migliaio nell’associazione, seconda solo a quella dei tifosi del Parma calcio!». Un calcolo degli interventi nei vari ambienti, in questi sei anni, ammonterebbe a 24 milioni di euro. Con una dotazione ministeriale di circa 1,4 milioni l’anno si capisce perché l’apporto dei privati diventi essenziale.
Passando da uno spazio al successivo della Nuova Pilotta, viene in mente un paragone: una «Mille e una notte» dell’arte. Si segue la storia di un’opera e se ne dipana una diversa e un’altra ancora. Nel Cinquecento c’è il mecenatismo di Alessandro Farnese, che in seguito sarà papa Paolo III; ecco poi le passioni per il bello del duca Ranuccio II e si arriva al dramma del trasferimento dei tesori parmensi a Napoli voluto da Carlo di Borbone. Per fortuna, la resurrezione artistica per la città e la Pilotta avviene con Filippo di Borbone e soprattutto con Maria Luigia… Per lei Antonio Canova scolpisce la statua «in veste di Concordia», che ora domina la vastità dei saloni ottocenteschi nella Galleria nazionale. Obiettivo: stupire il visitatore. Effetto raggiunto. C’è ancora un luogo interamente recuperato (era un deposito al piano terreno del Complesso) che bisogna segnalare. Il Museo bodoniano, dedicato a quel genio e «teorico della tipografia» che nel Settecento è stato Giambattista Bodoni. Un ambiente raccolto, appartato: però, circondati da torchi originali, cassette di caratteri tipografici, matrici, e magnifici volumi a stampa, la dimensione è affascinante. Anche per un ragazzo del XXI secolo che si domanda da dove arrivino le lettere che adesso legge sullo schermo di uno smartphone.
Molto è stato fatto grazie a tutti quelli che lavorano alla Nuova Pilotta, moltissimo ancora resta da fare e immaginare, secondo il bilancio del suo direttore. «Per esempio, sarebbe splendido dare spazio a una collezione d’arte cinese, che potremmo ricevere dal ricchissimo patrimonio di oggetti del museo di questa cultura che abbiamo proprio a Parma» dice. Si vedrà: il suo secondo mandato scade tra un paio d’anni. A segnare il corso attuale del Complesso c’è un’installazione d’arte contemporanea: una scritta di 190 metri che corre lungo tre facciate sul cortile di San Pietro martire. È un’opera di Maurizio Nannucci. Parla del rapporto – non semplice – tra passato e presente e che cosa questi tempi possano trasmettere al futuro. Nella vita come nella gestione dei musei. Verde, al riguardo, ha la sua idea e, salutando perché richiesto a una riunione sindacale, sintetizza: «Non siamo quello che ereditiamo, siamo quello che facciamo».
