Sarà nelle sale italiane dal 23 agosto il nuovo film di Christopher Nolan su come un gruppo di scienziati arrivò a realizzare la bomba atomica. «Un modo per ricordare, in questi giorni di guerra» racconta qui il regista.
È il caso di dirlo subito: Oppenheimer, il nuovo film di Christopher Nolan in uscita il 23 agosto, è un capolavoro. Non solo: è un film imprescindibile. Racconta la vita e la ricerca ossessiva di Robert J. Oppenheimer, il fisico americano considerato il padre della bomba atomica che, a partire dal 1942, collaborò con un gruppo di scienziati (fu coinvolto anche il nostro Enrico Fermi) nel celebre Manhattan Project, per creare un’arma talmente potente da essere usata come deterrente contro i nazisti e i loro alleati giapponesi. Deterrente? Sappiamo come è andata a finire.
Fin dall’incipit, il film mescola due principali piani: c’è il giovane Oppenheimer (Cillian Murphy), per gli amici Oppie, studente di fisica alla ricerca del giusto mentore per indagare il terreno inesplorato della meccanica quantistica e successivamente professore che coinvolge nel suo studio un gruppo sempre più nutrito di accoliti.
E poi c’è l’eroe nazionale, che grazie alla sua invenzione ha contribuito a porre fine alla Seconda guerra mondiale, ma che viene indagato nel 1954 da una commissione governativa speciale, che intende verificare i suoi legami con i comunisti, in un procedimento che finisce per trascinare anche il presidente dell’Agenzia atomica americana, Lewis Strauss (nel film, Robert Downey Jr.).
Nel bel mezzo Nolan descrive il tentativo di costruire e sperimentare la bomba atomica a Los Alamos, una cittadina costruita dal niente nel deserto del New Mexico, in un’impresa condotta da questi scienziati sotto la guida di Oppenheimer e il comando del generale Lesley Groves (Matt Damon).
«Ho iniziato a sentir parlare di disarmo nucleare negli anni Ottanta, quando ero un ragazzino» racconta Nolan. «All’epoca il terrore dell’Apocalisse atomica era opprimente. E poi nel 1985 è arrivata la canzone di Sting, Russians, in cui, parlando della bomba, la definiva il giocattolo mortale di Oppenheimer».
Per molti anni quel nome è risuonato in testa al futuro autore di film come la trilogia del Cavaliere oscuro, Inception e Interstellar, finché è venuto a conoscenza di un’informazione chiave: «C’è stato un momento in cui Oppenheimer e i suoi colleghi, almeno a livello teorico, hanno ipotizzato che l’esplosione dell’atomica potesse causare una reazione a catena capace di incendiare l’atmosfera e distruggere la vita sulla Terra» spiega il regista, che ha scritto la sceneggiatura ispirandosi al libro Robert Oppenheimer – Il padre della bomba atomica di Kai Bird e Martin J. Sherwin (Garzanti Editore). «Nonostante il rischio che questa eventualità si verificasse, considerato basso ma non del tutto escluso, proseguirono lo stesso con l’esperimento».
Il caso ha voluto che, mentre Nolan lavorava al film, la paura dell’apocalisse nucleare tornasse a risuonare nella società, a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e delle ripetute minacce di Putin di usare l’atomica se messo alle strette dalla Nato: «Naturalmente avrei evitato volentieri tale ipotesi» dice Nolan. «Ma in questo senso il film non è altro che uno strumento per ricordare a tutti a cosa siamo andati incontro quando quell’arma è stata utilizzata».
Qualche futile polemica a riguardo è stata innescata dal fatto che nel film non si vedono mai immagini esplicite degli effetti delle esplosioni su Nagasaki e Hiroshima («Ho voluto descriverne la portata attraverso la visione soggettiva di Oppenheimer» spiega il regista), ma in realtà ciò che viene mostrato è ben più agghiacciante dei corpi carbonizzati noti alla maggior parte di noi, ed è il dialogo a porte chiuse durante il quale politici, militari americani e lo stesso Oppenheimer discussero su quale città giapponese si sarebbe potuta sganciare la bomba.
«Lui e gli altri scienziati in realtà non contemplavano quella possibilità come reale» dice Nolan. «Ma il fatto che l’evento potesse accadere non li fece arretrare nel tentativo di appagare la sete di conoscenza, perché consideravano che inseguire quella scoperta fosse un fatto naturale, per certi versi inevitabile».
Questo, secondo il regista, ha cambiato per sempre il corso della Storia, fatto da molti oggi accostato all’avvento dell’Intelligenza artificiale generativa, che penetrerà sempre più in ogni attività umana e ipoteticamente anche nella gestione degli armamenti. «Senza la minaccia atomica oggi vivremmo in un mondo totalmente diverso. E molti scienziati hanno paragonato l’invenzione di Oppenheimer a quella dell’IA, ora resa disponibile senza sapere quali saranno i futuri sviluppi».
Al di là del puro «biopic» che ci mostra Oppenheimer come un marito fedifrago, un attivista politico, un idealista capace di estremo pragmatismo, un collaboratore talmente leale da scivolare in una ingenuità politica quasi fanciullesca, il cuore della vicenda sta nella ricostruzione del Manhattan Project: non potendo più girare a Los Alamos, cambiata ormai troppo con edifici moderni accostati a quelli originali, il regista ha fatto ricostruire la cittadina a Ghost Ranch, un’area di 8.500 ettari in New Mexico. Quanto al luogo del test atomico, è stato ricreato tenendo a mente quello reale, dove oggi c’è una base militare. A quel punto però bisognava filmare il cosiddetto Trinity Test che diede a Oppenheimer e ai militari la conferma che l’esplosione fosse distruttiva ma in qualche modo controllabile.
«Sapevo che sarebbe stata una delle cose più difficili da filmare» racconta Nolan: «E non volevo ricorrere alla computer grafica come fatto ne Il cavaliere oscuro, perché ritengo che il digitale nella percezione degli spettatori tolga un vero senso di minaccia a quanto si vede sullo schermo». Così il regista ha affidato all’esperto di effetti visivi Andrew Jackson e a quello di effetti speciali Scott Fisher il compito di condurre una serie di prove pratiche per filmare dal vivo qualcosa che rievocasse quel momento che ha cambiato la storia dell’umanità.
«In qualche modo è stato come realizzare degli esperimenti scientifici senza sapere se sarei riuscito nel mio intento» afferma il regista. «Un obiettivo che mi ha fatto sentire un po’ più vicino a come deve essersi sentito lo stesso Oppenheimer». Ovvero, un uomo estremamente potente e orgoglioso, ma terrorizzato allo stesso tempo. Come chi sa, scientemente, di avere creato un’arma di distruzione di massa che prima o poi qualcuno potrebbe usare.
