«Questo re è instabile, dalla battuta pungente e molto meno succube del Cardinale Richelieu di come lo ha dipinto Alexandre Dumas». Louis Garrel racconta il suo ruolo nel remake, in versione kolossal, del film I Tre Moschettieri – D’Artagnan.
Gli mancava giusto un trono per coronare vent’anni di carriera e il suo momento d’oro sul grande schermo. Louis Garrel, sex symbol di Francia e non solo, interpreta il re Luigi XIII ne I Tre Moschettieri – D’Artagnan di Martin Bourboulon, dal classico di Alexandre Dumas, che arriverà nei cinema il 6 aprile. Un kolossal in costume, con attori come Vincent Cassel ed Eva Green, che è solo una ciliegina sulla torta dei suoi 40 anni – li compie il 14 giugno – e del recente successo alla cerimonia dei César. L’attore-regista francese ha vinto gli «Oscar d’Oltralpe» per L’innocente, commedia noir di cui è anche autore, premiato per la sceneggiatura e la performance della protagonista (Noémie Merlant). E a vent’anni esatti da The Dreamers, il film di Bernardo Bertolucci che lo portò alla celebrità internazionale, il bel Louis vanta una cinquantina di titoli tra cui L’ufficiale e la spia di Roman Polanski (2019) o Rifkin’s Festival di Woody Allen (2020). È uno dei rari figli d’arte ad aver seguito le orme del padre, il regista Philippe Garrel, senza temere confronti, anzi, facendosi notare per la sua rara vena ironica. «È la sua cifra, il motivo per cui gli ho affidato il ruolo di Patrice Chéreau nel mio film» ha detto Valeria Bruni Tedeschi, sua ex compagna, che l’ha recentemente diretto in Forever Young – Les Amandiers raccontando la scuola per i giovani attori considerata il top negli anni 80. Dopo la relazione con Bruni Tedeschi, con la quale ha adottato una bambina di origine senegalese, Louis Garrel si è legato all’attrice Laetitia Casta, sposata sei anni fa, dalla quale ha avuto Azel, che ora ha due anni. Coppia di fascino e di creatività: lui l’ha diretta in L’uomo fedele (2018) e La crociata (2021).
Che cosa rappresentavano I Tre Moschettieri per lei, prima di girare il film?
Per noi francesi è la storia della monarchia raccontata ai bambini e alcuni momenti sono profondamente impressi nell’immaginario collettivo, per esempio la vicenda della collana regalata dalla regina allo spasimante. Quando mi è stato offerto il ruolo di Luigi XIII ho letto la biografia scritta da Jean-Christian Petitfils scoprendo un ritratto molto diverso e più interessante di quello fatto da Alexandre Dumas. Non era così docile e manipolato da Richelieu e decise il suo destino a 15 anni.
Vale a dire?
Quando il padre Enrico IV viene assassinato, la madre Maria de’ Medici prende il potere mandando altrove i figli, il preferito Gastone e lui, per educarli. A 15 anni Luigi organizza un colpo di stato e fa assassinare il Primo Ministro della madre, mandandola in esilio insieme a Gastone. I due organizzano un contro-colpo di Stato ma falliscono e Luigi XIII li perdona, riaccogliendoli nel palazzo reale. Ho immaginato che Luigi ammirasse il padre e volesse essere un buon re, la sua ascesa a 15 anni è molto interessante. Ne I Tre Moschettieri ha una doppia sfida, politica e personale: deve decidere se dichiarare o meno guerra ai ribelli protestanti, appoggiati dagli inglesi, e capire se la moglie gli è fedele.
Lei ha dato anche un tocco di comicità al personaggio.
Ho preferito interpretarlo come se avesse una certa instabilità caratteriale, proprio per la sua storia. Si dice fosse balbuziente, ma io volevo più che altro far percepire che parlare era uno sforzo per lui. E mi è piaciuto regalargli qualche stranezza, per esempio quando inciampa e dice: «Un re non ha piedi per camminare all’indietro». L’umorismo non mi spaventa mai, perché non distorce la profondità delle cose o la gravità della situazione politica nel Seicento, durante i contrasti fra cattolici e protestanti.
Difficile recitare in costume?
La cosa più complicata, a Fontainebleau, era attraversare il cortile lastricato con su i tacchi: non ero proprio regale quando inciampavo davanti a tecnici e comparse. Mi avevano detto, e confermo, che indossare quei costumi rischia di farti sentire un esaltato, tanto più quando vedi inginocchiato davanti a te Vincent Cassel nelle vesti del moschettiere Athos, quindi una caduta ogni tanto ha rimesso le cose a posto.
Nell’ironia, e nell’amore per la commedia, pensa di essere stato influenzato dalla sua ex compagna Valeria Bruni Tedeschi che l’ha diretto anche in Attrici (2007) e Un castello in Italia (2013)?
È italiana, e voi italiani spesso avete un lato-spirito tragicomico che a noi francesi manca. E un’ironia molto elegante, completamente diversa dalla nostra.
È anche la sua cifra. L’innocente, uscito in Italia lo scorso gennaio, è un noir con molti momenti comici.
Sentire la gente che ride mi gratifica perché vuol dire che ho toccato una corda profonda. Quando ridi con un’altra persona significa che hai lo stesso senso dello humor, un’affinità rara che spesso segna l’inizio di una relazione anche nella vita quotidiana.
La storia ha uno spunto autobiografico: il suo personaggio è il figlio grande di una donna che insegna teatro in carcere e si innamora di un carcerato.
Mia madre (l’attrice Brigitte Sy, ndr) ha lavorato nelle carceri per vent’anni e anch’io, dall’età di 11, ho conosciuto individui che andavano e venivano dalla prigione. C’erano persone come mia madre attratte da chi sta ai margini della società, cercavano di aiutarli. Sono figlio di una generazione ribelle, cresciuta negli anni 70, che ha fatto esperienze non convenzionali. E questo può suscitare nei figli, come me, la sensazione di dover porre limiti ai genitori o di doverli proteggere.
Aveva 6 anni quando è apparso per la prima volta in un film di suo padre, Le baisers de secour. Cosa ricorda?
Le mani fredde sulla schiena del tecnico che mi piazzava il microfono. Solo a 14 anni ho avuto la consapevolezza di voler fare l’attore, frequentando un corso di teatro. A volte penso che la mia sia stata come una famiglia circense, dove impari il mestiere ogni giorno guardando i tuoi.