Qualche segnale positivo c’è (il Festival di Venezia apre il 2 settembre, sia pure in stile minore), ma il grande schermo stenta a riprendersi, con duemila imprese in crisi, decine di film bloccati, quattro miliardi di euro di ricavi in fumo. E con un pubblico ormai abituato ai sogni formato tv.
Due trapezisti sospesi nel vuoto campeggiano nel manifesto della 77sima edizione del Festival del Cinema, firmato dal disegnatore Lorenzo Mattotti. Immagine simbolica, quasi a rappresentare la precarietà post pandemia del settore, ma anche la sfida di chi vuole mettersi alle spalle la paura. L’appuntamento con la Mostra di Venezia era infatti tutt’altro che scontato. La comunicazione delle date, dal 2 al 12 settembre, ha fatto tirare un sospiro di sollievo al settore prostrato dalla crisi del Covid. Si riparte dunque, anche se nel massimo dell’incertezza e con pesanti incognite.
Venezia sarà la prima kermesse internazionale, da inizio della pandemia, a svolgersi in forma tradizionale, dal vivo e offline. Diciotto i film in concorso, un po’ meno dell’anno scorso, anche se la presenza italiana sarà analoga, con quattro pellicole. Non ci saranno i blockbuster americani a causa del prolungamento del contagio che condiziona la programmazione delle uscite dei film hollywoodiani più attesi, e saranno assenti alcuni cast per i blocchi che limitano i viaggi intercontinentali. Sarà un’edizione meno luccicante, più sobria nel coté mondano, ma l’importante è che la macchina si sia rimessa in moto. Il piano per la sicurezza sulla carta è rigoroso: ingressi contingentati, distanziamento in sala, controllo della temperatura, obbligo della mascherina fino all’arrivo in sala e fuori, nuovi luoghi di proiezione e due arene, mentre i biglietti numerati si acquisteranno solo online. Il messaggio che si vuole mandare è chiaro: il cinema c’è ed è in grado di superare anche questa crisi.
Già, perché il settore esce a pezzi dal lockdown: duemila imprese in difficoltà, di cui il 97 per cento con fatturato inferiore a 10 milioni, e 4 miliardi di ricavi in fumo. Il Covid ha prostrato un’industria che, come stima l’Anica, conta 200 mila occupati tra lavoro diretto e indotto. Dal 9 marzo al 15 giugno sono stati bloccati 18 film, 19 serie tv, 3 produzioni estere prodotte e realizzate in Italia. Nel primo semestre dell’anno, secondo uno studio di Unicredit sugli effetti del Covid, le sale hanno perso il 40 per cento di fatturato annuo. Si è innescato un effetto a catena devastante: crollo degli investimenti pubblicitari televisivi, riduzione dei ricavi dei broadcaster con ripercussioni negative sulla produzione di nuovi contenuti audiovisivi. Molti artisti hanno cercato di mantenere il filo diretto con il pubblico trasferendosi sul web ma le piattaforme digitali, che nel blocco forzato sono state una ciambella di salvataggio, ora rischiano di trasformarsi in un nodo scorsoio.
Ora più che prima, il cinema è insidiato dalla concorrenza dell’industria dello streaming, un pericolo mortale per le sale. Durante la quarantena le piattaforme sono state prese d’assalto, gli abbonamenti sono saliti di oltre il 30 per cento. In un solo trimestre, Netflix ha registrato un incremento del fatturato del 27 per cento.
Franco Bocca Gelsi, Presidente Cna Audiovisivo e Cinema Milano e Lombardia, sostiene che «non sarà facile e nemmeno immediato riportare le persone al cinema, non basterà aprire in sicurezza. Il rischio che il pubblico si abitui a vedere il cinema in tv è molto alto, pur preferendo la sala». Perfino Woody Allen si sente minacciato dalle piattaforme televisive. In una intervista ha detto che non intende realizzare film da vedere solo sul piccolo schermo.
È però un processo inarrestabile e negli Stati Uniti c’è chi è corso ai ripari per evitare che i due settori entrino in un vortice di concorrenza mortale. La catena di cinema americana Amc ha siglato uno storico accordo con Universal che prevede l’uscita delle pellicole in streaming dopo solo 17 giorni di permanenza nelle sale. L’intesa è limitata al momento agli Usa ma, considerata la dimensione dei due colossi, potrebbe essere presto esportata a livello globale.
In Italia quale è la risposta alla crisi? Il governo ha varato un generico Fondo di emergenza per lo spettacolo, il cinema e l’audiovisivo, con uno stanziamento di 335 milioni di euro. Soldi destinati a tutto il settore dell’intrattenimento, non solo all’industria del grande schermo che si aspettava di più. Basti pensare che al bonus biciclette e monopattini sono stati attribuiti 220 milioni.
Nei mesi di luglio e agosto il cinema ha cercato di sopravvivere con i drive-in e le arene, ma è stata una riapertura poco più che simbolica. Le regole del distanziamento hanno ridotto all’osso le presenze. La grande scommessa è l’autunno, anche se la programmazione di alcune pellicole molto attese è stata rinviata. La Paramount ha posticipato due film di punta all’anno prossimo: A Quiet Place 2, il seguito dell’horror diretto da John Krasinski con Emily Blunt, da settembre ad aprile 2021; mentre Top Gun: Maverick, revival del cult con Tom Cruise, da dicembre 2020 è stato programmato per luglio 2021. L’atteso film di Carlo Verdone Si vive una volta sola, previsto per il 26 febbraio, forse arriverà a metà gennaio 2021.
Anche le produzioni di serie tv hanno subito una battuta d’arresto. Il set del popolarissimo e longevo Un posto al sole è rimasto fermo 100 giorni, dopo 25 anni ininterrotti di riprese, ed è tornato in tv a luglio. Il set di Beautiful, per tornare a girare in sicurezza ha usato manichini e bambole gonfiabili così da consentire agli attori di lavorare in perfetta solitudine.
E se il cinema arranca, la condizione del teatro non è migliore. Non basta riavviare le biglietterie, bisogna ricostruire il pubblico: le comunità che si nutrono di arte, rimaste per troppo tempo lontane dalle sale, potrebbero essersi disamorate agli spettacoli «live». Per mantenere vivo il legame, il Teatro alla Scala ha creato a luglio una mini-stagione di quattro concerti e massimo 600 spettatori (contro i duemila ospitati pre-Covid).
La ripresa vera e propria però sarà a settembre, con il Requiem di Verdi in Duomo e la Nona di Beethoven eseguita in teatro. Fino a dicembre ci saranno oltre 60 alzate di sipario tra opere, balletti e concerti. La macchina organizzativa ha ripreso a pieni giri, nonostante le limitazioni imposte dalle norme di sicurezza e un’attenzione maggiore al budget per l’assenza di spettatori stranieri. La prima del 7 dicembre che apre il 2021 forse sarà meno glamour; si spera però che abbia la suggestione di un nuovo inizio.
