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I padroni del cielo

I padroni del cielo

La nostra compagnia di bandiera fa gola ai tedeschi. Ma, guardando agli altri colossi dell’aria, un’alternativa alla fusione è possibile.


Gli aerei tedeschi hanno avvistato la preda e studiano l’obiettivo. Solo che questa volta la preda non ha alcuna intenzione di scappare e, anzi, non vede l’ora di essere acchiappata: per gli italiani vedere Ita Airways finire nel mirino di Lufthansa è una benedizione, l’inizio della liberazione da un incubo che dura da decenni.

Ormai lo hanno capito tutti: la nostra compagnia di bandiera è troppo piccola per stare in piedi da sola. Vittima di una serie di errori della politica, che non le ha creato un ambiente favorevole allo sviluppo mettendola per esempio in competizione con il treno e allungando tappeti rossi alle compagnie low cost, e di una certa inettitudine dei soci privati, oggi la ex Alitalia è un nano tra giganti. Ha una flotta che, nel 2023, dovrebbe contare, se va bene, appena 96 aerei. Il suo bilancio è sempre in rosso mentre le altre linee aeree stanno uscendo dalla crisi della pandemia con i primi utili. Dal 2000 la compagnia italiana ha accumulato perdite per oltre 14 miliardi di euro, a carico dei contribuenti e in parte anche dei soci privati. E la sua quota, in un mercato nazionale dei voli che è il quarto in Europa, è passata dal 60 al 18,25 per cento negli ultimi vent’anni lasciando praterie a Ryanair e Easyjet. Quindi l’ingresso in un grande gruppo è inevitabile.

L’impossibile «volo solitario»

Per comprendere quanto sia improponibile un volo solitario di Ita nei cieli della competizione internazionale, basta dare un’occhiata alla graduatorie del settore. Le classifiche delle compagnie aeree sono state sconvolte dalla pandemia e i dati del 2022 e del 2021 vanno presi con le pinze perché fotografano società in via di convalescenza. Ma rendono comunque l’idea delle dimensioni in gioco. In termini di fatturato, nel 2021 la più grande compagnia del mondo era la Delta Air Lines di Atlanta con un giro d’affari di quasi 30 miliardi di dollari, saliti a 46,6 miliardi nei dodici mesi terminati a settembre 2022. Ha una flotta di ben 883 aerei. La tallonano altre due compagnie americane, l’American Airlines e la United. Al quarto posto si piazza il gruppo Lufthansa con ricavi per 16,8 miliardi nel ’21 (erano 36 nel 2019) e oltre 710 aerei, seguito dall’Air France-Klm con 12 miliardi (ma erano 27 miliardi prima della pandemia). In decima posizione, dopo due cinesi, l’americana Southwest e la Turkish Airlines, compare il gruppo anglo-spagnolo Iag frutto della fusione tra British Airways e Iberia, con 531 jet.

Se invece il confronto si fa per numero di passeggeri trasportati, nel 2019 al primo posto si piazzava l’American con 215 milioni di viaggiatori, seguita dalla Delta e dalla Southwest. Tra le europee la prima era la low cost irlandese Ryanair con 148 milioni di passeggeri, che si collocava al sesto posto, seguita al settimo dal gruppo Lufthansa con 145 milioni. Numeri che con la pandemia sono crollati e ora stanno risalendo la china: nel ’21 la Lufthansa ha trasportato quasi 47 milioni di persone mentre Air France-Klm 44,6 milioni. Per fare un confronto, nei suoi primi dodici mesi di vita, dall’ottobre del ’21 all’ottobre scorso, Ita ha trasportato 9 milioni di passeggeri.

Uno scenario privatizzato

Naturalmente per un Paese che conta una sessantina di milioni di abitanti perdere il controllo della propria compagnia di bandiera non è piacevole: l’Italia sarebbe il più grande tra i Paesi europei senza questo presunto vantaggio. Ma è possibile che una linea aerea nazionale possa rimanere tale pur non avendo un controllo «interno»? «La proprietà non conta» risponde Giovanni Fiori, docente di economia aziendale alla Luiss e commissario della Vecchia Alitalia. «È invece fondamentale che lo Stato abbia una presenza diretta o indiretta per tutelare la compagnia e di conseguenza i propri interessi. I flussi di viaggiatori non vanno subiti ma vanno gestiti: così si fa negli altri Paesi».

In effetti, facendo un rapido viaggio per il mondo, emerge un quadro del settore quasi completamente privatizzato e con molte linee aeree di bandiera assorbite gruppi più grandi. Lufthansa vede come primo azionista l’imprenditore Klaus-Michael Kuehne, l’uomo più ricco della Germania, con una quota di poco superiore al 15 per cento mentre lo Stato, che era entrato nel capitale attraverso il Fondo di stabilizzazione economica per non far fallire la compagnia durante la crisi del Covid, non è più tra i soci, ormai tutti privati. Del gruppo Lufthansa, guidato da Carsten Spohr, fanno parte le compagnie di bandiera della Svizzera (Swiss), del Belgio (Brussels) e dell’Austria (Austrian). Anche la Spagna ha perso la propria linea aerea, seppur in modo elegante: Iberia fa parte infatti dell’International Airlines Group (Iag) creato insieme con la British Airways. Nato nel 2011, Iag controlla la Aer Lingus, compagnia di bandiera irlandese, e la Vueling, low cost spagnola.

Prima dell’impatto della pandemia, il gruppo operava verso 279 destinazioni e trasportava circa 118 milioni di passeggeri all’anno. È una società registrata in Spagna con azioni quotate alla borsa di Londra e di Madrid. Il principale azionista di Iag è Qatar Airways, con una quota del 20 per cento. Nel 2021 il gruppo ha realizzato un giro d’affari di appena 8 miliardi di euro mentre nel 2019 viaggiava sui 25 miliardi, livello che sta recuperando. Situazione non molto diversa per gli olandesi e i francesi: Air France-Klm è la fusione di due grandi compagnie di bandiera che però mantiene nel capitale una forte presenza dello Stato. Il governo di Parigi possiede il 28,5 per cento del gruppo e quello olandese il 9,3 per cento. In Scandinavia opera la Sas la cui maggioranza è in mano a investitori privati mentre i governi di Svezia e Danimarca posseggono una quota del 21 per cento ciascuno. Perfino nella piccola Grecia la compagnia di bandiera, la Aegean Airlines (55 aerei), è privata.

Un caso interessante è quello della Turchia, che vanta una delle linee aeree più forti a livello globale: la Turkish Airlines copre 340 destinazioni in Europa, Asia, Africa e Americhe ed è il più grande vettore di linea al mondo per numero di destinazioni passeggeri, serve più destinazioni non-stop da un singolo aeroporto di qualsiasi altra compagnia e vola in 126 Paesi, più di chiunque altro. Il fondo sovrano della Turchia detiene una partecipazione del 49,12 per cento nella società, il resto è sul mercato.

Negli Stati Uniti non esiste neppure il concetto di compagnia di bandiera e il mercato è di fatto un oligopolio dominato dalle tre principali linee aeree: Delta, American e United. In Canada invece la Air Canada (344 aerei e 222 destinazioni) era pubblica ed è stata completamente privatizzata nel 1989. In Giappone la Jal, forte di una flotta di 218 aerei, è controllata da cinque investitori finanziari: banche e fondi. In Medio Oriente invece sono ancora gli Stati a mantenere le mani sulla cloche. Per esempio la Emirates, la maggiore linea aerea della regione e una delle più importanti a livello planetario con 262 aerei di grandi dimensioni, è di proprietà del governo di Dubai.

Lufthansa meglio di Air France?

Terminato questo rapido viaggio e riatterrati in Italia, guardiamo al futuro di Ita: alla fine di un primo confronto tra le offerte della cordata formata dal fondo americano Certares e dei suoi partner Delta ed Air France-Klm, e quella Lufthansa-Msc, il governo Draghi aveva scelto a sorpresa quella guidata dagli americani. Poi l’esecutivo condotto da Giorgia Meloni ha riaperto i giochi rimettendo in partita il gruppo tedesco, con o senza l’alleato Msc. Lufthansa sarebbe un buon partner-padrone per la nostra compagnia di bandiera? «Non vorrei prendere posizione a favore o contro» si schermisce Andrea Giuricin, economista dell’Università Bicocca di Milano ed esperto di trasporti, «ma mi limito a ricordare che il gruppo tedesco è l’unico ad aver sviluppato gli hub aeroportuali delle società che ha acquistato, cioè Swiss, Brussels e Austrian».

Per «hub aeroportule» si intende, secondo il dizionario Oxford, un «aeroporto internazionale di transito, cui fanno capo numerose rotte aeree e che raccoglie la maggior parte del traffico di un dato Paese». Nel caso dell’Italia si tratterebbe di Fiumicino: «E infatti il governo dovrebbe chiedere garanzie sul futuro sviluppo dello scalo romano» sottolinea Giuricin. Anche il professor Giovanni Fiori della Luiss vede la soluzione Lufthansa come «la migliore possibile». Per tre ragioni: «Il mercato della linea tedesca è complementare al nostro, il suo scopo è migliorare i collegamenti in uscita dalla Germania, il traffico outbound, Ita al contrario deve potenziare quelli in entrata, inbound. È interesse della Lufthansa portare più persone in Italia. Il secondo motivo è che la compagnia tedesca è abituata a gestire una situazione multi-hub, come l’Italia, dove ci sono molte città con relativi aeroporti, a differenza di Air France, più concentrata su Parigi. Infine Lufthansa vanta una storia di grande successo con il rilancio delle compagnie che ha acquistato, mentre la rivale francese non ne ha salvato nessuna». Ma sarà capace il governo Meloni a rinunciare al controllo della compagnia di bandiera in nome della difesa dell’italianità? Le soluzioni, come descritto in queste pagine, non mancano.

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