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Anne Fontaine racconta il Boléro in un film: «È magnetico ed erotico»

Anne Fontaine racconta il Boléro in un film: «È magnetico ed erotico»

La regista lussemburghese va all’origine della partitura capolavoro di Ravel, raccontando la sua genesi tribolata in un lungometraggio in concorso al Milano Film Fest. «La creazione è qualcosa di misterioso»

Non passano più di 15 minuti senza che qualcuno, in qualche parte del mondo, non stia ascoltando il Boléro di Maurice Ravel. Un’opera ipnotica e universale, che rapisce e ammalia, irrimediabilmente.

«È magnetica ed erotica», ci dice Anne Fontaine, regista lussemburghese che ammiriamo molto e che porta nella sezione Concorso del Milano Film Fest, festival alla sua prima edizione, il suo film Boléro, la storia di come è nata la magistrale partitura di Ravel. «È una musica che ti entra dentro e non ti lascia», riflette Fontaine. Il suo Boléro è un film che viene da lontano, dal suo legame viscerale con la musica e dal fascino per Maurice Ravel come uomo ironico e paradossale, interpretato da Raphaël Personnaz.

La trama si muove a metà tra biopic e racconto della creazione artistica come ossessione faticosa e geniale. Fontaine ne ha anche scritto la sceneggiatura insieme a Claire Barré.

Regista difficile da inserire in catalogazioni, da anni attiva in Francia, Anne Fontaine ha una filmografia varia e per certi versi audace. È passata con disinvoltura dalla commedia al thriller alle storie d’amore sui generis. Irresistibile il suo Gemma Bovery, così vivo e pieno di luce Agnus Dei pur se ambientato in un convento e tra brutalità, sensuale e ardito Two Mothers, con le due dive hollywoodiane Naomi Watts e Robin Wright.

Dopo il passaggio al festival meneghino, in corso dal 3 all’8 giugno sotto la direzione artistica di Claudio Santamaria, Boléro uscirà prossimamente al cinema distribuito da Movies Inspired.

Quando incontriamo Anne Fontaine, troviamo di fronte una signora elegante e generosa, pronta ad aprirsi.

Il Boléro è conosciuto universalmente, usato anche in colonne sonore di film, però è abbastanza nuovo a livello cinematografico raccontarne la sua origine. Com’è nata la volontà di fare questo film?

«Sono cresciuta nella musica: mio padre era organista alla cattedrale di Lisbona. Ho vissuto quanto fosse essenziale la musica per lui: ne era sempre circondato, lui non era mai presente. Da piccola sono stata obbligata a suonare strumenti classici, dal violoncello al liuto, e quindi ho avuto un rifiuto per la musica classica. Ascoltavo i Beatles, i Pink Floyd, i Supertramp.

E poi pochi anni fa, mentre stavo camminando su una spiaggia a Formentera, mi è “apparso” Ravel. Conoscevo la sua musica, ma sapevo molto poco del personaggio. Ero con un mio amico monaco che mi ha parlato di Ravel e ho sentito quanto, a livello esistenziale, fosse interessante esplorarlo più da vicino. È stata questa conversazione che mi ha fatto germogliare l’idea del film».

Ho letto che avete girato nella vera casa di Ravel, Le Belvédère, a Montfort-l’Amaury. Ma a una stringente condizione: non più di sette persone sul posto. Com’è stato?

«Cinque persone! Cinque della troupe più l’attore, ovviamente. Nelle altre scene, invece, eravamo in sessanta. Ma è stato incredibile girare nella sua vera casa. Sono riuscita a convincere il sindaco di Montfort-l’Amaury che era essenziale girare lì, che avrebbe poi attirato turisti. Tutti gli oggetti di Ravel, il suo letto, il suo pianoforte, la sua libreria, tutto è intatto come era allora.

È stato estremamente emozionante essere lì, con Ravel, così tanti anni dopo. Lui stesso aveva interamente progettato l’arredamento per lavorare lì, era molto talentuoso. Ha fatto tutto come in una casa delle bambole.

Siamo stati molto fortunati. Siamo rimasti lì per almeno due settimane. Non abbiamo potuto mettere luci all’interno quindi le abbiamo messe all’esterno. È stato bello girare in cinque. Era come se fossi al mio primo film».

Anne Fontaine racconta il Boléro in un film: «È magnetico ed erotico»
Raphaël Personnaz è Ravel nel film “Boléro” di Anne Fontaine (Credits: Movies Inspired)

A fine film si legge che ogni 15 minuti c’è qualcuno nel mondo che sta suonando o ascoltando il Boléro. Secondo lei, cos’ha il Boléro per essere capace di catturare tutti, l’appassionato di musica come i non intenditori?

«Ci sono tante ragioni. È magnetico. È erotico. È una musica che ti entra dentro e non ti lascia. Porta a una sorta di orgasmo. È ossessiva, ripetitiva, estremamente moderna. Ha ispirato molte band. Per esempio, i Rolling Stones: in un’intervista hanno detto di essersi ispirati ritmicamente al Boléro. E poi anche i Deep Purple o Philip Glass.

È assurdo perché è una musica che Ravel ha composto nel dolore, eppure ha un’aria brillante. Nel film si vede tutta la difficoltà della creazione. Il Boléro è stata un’opera su commissione e Ravel stava per disperare di riuscire a comporla, cadde in depressione. Fu un’avventura incredibile».

Ravel aveva un rapporto controverso con le sue creazioni, che spesso gli sembravano straniere, non sue. Non amava il Boléro… Marguerite Long, il personaggio interpretato da Emmanuelle Devos, gli dice: “Forse un giorno imparerete ad amare la vostra musica”. Lei, come regista, che rapporto ha con i suoi film?

«Poco fa mi è stata mandata una pagina intera di un giornale molto popolare che parla di un mio film, Il mio migliore incubo!, con Isabelle Huppert e Benoît Poelvoorde. Ha avuto successo e passerà ora in tv. E mi sono chiesta: lo vedrei? No.

Ho un rapporto ambiguo con i miei film. Il mio migliore incubo! è uno dei miei lavori più commerciali, insieme a Coco avant Chanel – L’amore prima del mito. All’inizio ho pensato che fosse un film molto meno sottile degli altri, ma ne parlano in continuazione. Mi dicono che è fantastico. Io non lo trovo fantastico ma piace.

Molti anni dopo averlo realizzato, ho rivisto Nathalie…, un film con Fanny Ardant, Gérard Depardieu ed Emmanuelle Béart. E ne sono rimasta stupita, l’avevo completamente dimenticato. Perché per fare un nuovo film dentro devi sentirti come se nulla prima fosse mai esistito, altrimenti vai in tilt.

Ogni film è difficile da conquistare perché una sceneggiatura è morta, sono frasi che non hanno vita. Come si fa a dar loro vita quando il cinema è un’arte industriale dove devi aspettare i soldi, ci sono tanti vincoli e avere libertà all’interno di questi è davvero complicato? Quando ho iniziato mi sono detta: “Smetterò subito”. Mi è sembrato tutto troppo difficile da gestire. Ma poi ho trovato soluzioni, più o meno valide.

La creazione è misteriosa. Nella musica non ci sono parole… Ciò che mi ha colpito tanto di Ravel è che un uomo unico. Aveva questa intelligenza ironica e autoironica. Sono molto sensibile a questo aspetto: trovo che le persone siano troppo serie».

Anne Fontaine racconta il Boléro in un film: «È magnetico ed erotico»
Immagine del film “Boléro” di Anne Fontaine (Credits: Movies Inspired)

Nel film Ravel dice: “Credo fermamente che la gioia sia più fertile della sofferenza”. È un’affermazione che va un po’ contro l’idea dell’artista maledetto e l’idea comune che il dolore generi i veri capolavori. Che ne pensa?

«È un paradosso, visto che Ravel in verità stava soffrendo. È qualcosa che vorrebbe far suo. È una frase bellissima, in ogni caso, perché puoi capovolgerla.

Penso che l’arte sia una sofferenza gioiosa. È un mix. È comunque gioioso poter creare qualcosa, ma spesso è sofferenza perché non sei felice, non è abbastanza buono quello che stai realizzando, non hai ispirazione.

È quello che vivi facendo del cinema: sei sul set e all’improvviso la scena non funziona. L’hai scritta, la mattina l’hai vista, poi la rivedi con gli attori e non va bene, non funziona. Cosa fai? Ti trovi di fronte ai tuoi limiti. È questo che causa principalmente sofferenza, perché si è soli anche se ci sono molte persone che guardano e commentano quello che stai facendo».

Nel film, oltre al Boléro, ascoltiamo anche altre opere di Ravel (La Pavane, La Valse, Il Concerto in sol, Ma Mère l’Oye). È un modo per far conoscere anche ai profani le sue opere meno note?

«Sì, ho scelto la musica che ritenevo più appropriata per il film e le opere che mi sono piaciute di più, ma non ho incluso tutto. Ad esempio non c’è Concerto per la mano sinistra, che è molto bella, ma non potevo mettere tutto. Ci sono però opere magnifiche».

Nel film Marguerite dice a Ravel: “La tua testa è nella musica, come sempre”. Anche la sua testa è sempre nel cinema?

«Trasformo tutto in drammaturgia. Ora, ad esempio, lì vedo tre personaggi (e ci indica tre passanti, davanti all’hotel in cui l’abbiamo intervistata, ndr). Sono persone, ma per me sono personaggi.

Nella vita reale non sono brava in niente. Ad esempio, non mi piace riempire un frigorifero. Non ho talenti.

Mi aggrappo al cinema perché sento che mentre faccio un film non posso morire. Quando fai un film, senti di non poter morire. Anzi, quando muore una regista per me è uno shock.

Mentre faccio cinema mi sento dentro una storia, protetta dalla concentrazione. E quando mi dicono che ho fatto 20 film, non credo di essere stata io. Mi sembra impossibile».

Il suo prossimo progetto?

«Un film con Isabelle Huppert. È ambientato negli anni ’70 e racconta la storia di una donna che vive con il suo dalmata. È una donna che ha molte ritualità, ha tante scarpe ed è un killer su commissione. Il suo committente è Benoît Poelvoorde. Alla fine ci si chiederà chi ucciderà chi.

È un thriller, ma un thriller crudele e ironico. Ora mi trovo di fronte a due titoli: il titolo del libro, da cui è adattato, è Le serpent majuscule (Il serpente maiuscolo), molto strano. Stavo pensando a L’amour des bêtes. Gireremo probabilmente tra novembre e gennaio».

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