Questa domanda in realtà è stata l’affermazione del noto critico d’arte italiano Federico Zeri che molti decenni orsono annunciava che stavamo morendo per eccesso di informazioni. Come ho scritto più volte, si tratta di un tema di strettissima attualità, ma allora perché la forma interrogativa?
Perché voglio affrontare il tema del recente e terrificante attacco sferrato da Hamas contro Israele. In situazioni di questo genere la croce viene gettata sull’intelligence, poiché appare impossibile che, quella da tutti considerata se non la migliore del mondo di certo una di esse, non sia riuscita a prevenire l’aggressione. Senza proporre dietrologie o teorie cospirazioniste, e premettendo che l’infallibilità non è di questo mondo, diciamo che le informazioni c’erano, e allora si presentano due scenari di flop possibili. Il primo. Da qualche tempo si pensa che le informazioni siano digitali quasi per definizione. Questo può valere laddove vi sia una situazione di “simmetria”, cioè l’avversario di cui vogliamo scoprire le intenzioni sia adeguatamente digitalizzato.
Ma siamo sicuri che un’organizzazione come Hamas lo sia? Non è che, per caso, sono stati usati dei corrieri “fisici”, magari dei piccioni viaggiatori, per le comunicazioni, o comunque sistemi analogici, quelli che ormai sono desueti?
Se così fosse, è possibile che l’intelligence stesse cercando nel posto sbagliato. Il secondo. La quantità di informazioni digitali ha da tempo travalicato la capacità delle mente umana di organizzarle. Avere un accesso anche illimitato a quantità incommensurabili di dati spesso si traduce nell’impossibilità di estrarne un senso. In buona sostanza, avere tutti i dati porta spesso al paradosso di non avere alcuna informazione. In tal caso l’intelligence guardava nel posto giusto, ma si è scontrata con i suoi limiti.
Dopo l’11 settembre 2001 si scoprì che gli attentati alle Torri Gemelle potevano essere previsti, semplicemente nessuno era riuscito a mettere insieme il puzzle, e questo determinò l’avvio di programmi di “sense making” il cui obiettivo era estrarre informazioni da basi dati destrutturate e non collegate tra loro. Probabilmente oggi siamo arrivati al dunque perché siamo alle prese con il tema dell’intelligenza artificiale. Qualcuno pensa che proprio gli algoritmi saranno la risposta definitiva.
Tuttavia, ci sarebbe un “ma”, quella che oggi si definisce come l’opacità dell’algoritmo. La complessità delle strutture fondamentali delle intelligenze artificiali e l’enormità delle basi dati di addestramento potrebbero rendere a noi incomprensibili le ragioni ultime che hanno portato a una determinata valutazione. Questo costringerebbe le intelligence a mettere in discussione due pilastri su cui basano le loro scelte: l’attendibilità della fonte e la fondatezza della notizia, e se così sarà, allora inevitabilmente i decisori dovranno sviluppare una maggiore tolleranza al rischio di sbagliare. Cambiare tutto per non cambiare niente?