Tecnologia

Streaming musicale, agli artisti rimangono solo le briciole

Lo streaming musicale funziona, servizi come Spotify e iTunes Match portano milioni di dollari nelle casse dell'industria discografica, ma la percentuale riservata agli artisti è irrisoria

Cosa sta succedendo nel panorama della musica digitale? Le case discografiche raddoppiano il fuoco di fila contro i servizi di sharing e le startup di rivendita dell’usato digitale , in Giappone rischi due anni per aver scaricato illegalmente un disco, nel frattempo si allarga il dibattito sull’effettiva proprietà dei beni digitali acquistati, al punto che pure Bruce Willis sembra pronto a imbracciare il mitra giudiziario (in realtà, dopo aver lasciato la notizia galleggiare in Rete per un giorno intero, la moglie di Willis ha smentito l’intenzione del marito di sguinzagliare gli avvocati contro Apple). Insomma, sembrerebbe quasi che l’industria discografica sia in procinto di esalare l’ultimo respiro.

In effetti, fino a poco tempo fa i dinosauri della discografia sembravano veramente destinati ad estinguersi. Ma poi, come spesso avviene, l’industria ha trovato il modo di riconvertire il nemico che minacciava di distruggerla trovando il modo di cavarne profitti. Una ricerca della Strategy Analitics ha rivelato che nel corso del 2012 il mercato dello streaming musicale frutterà qualcosa come 877 milioni di euro, un incremento del 40% rispetto all’anno scorso che darà notevole respiro all’industria discografica globale. Nel frattempo, la quota di dischi e cd venduti è in notevole flessione (-12%) e, sebbene la maggior parte della musica venga ancora venduta in questo modo (61%), si prevede che entro il 2015 si verificherà l’inevitabile sorpasso da parte dei formati digitali.

A quanto pare, dunque, le case discografiche hanno finalmente trovato il modo di cavalcare l’onda, al punto che in molti paesi (come gli Stati Uniti) per le maggiori etichette la vendita di musica digitale costituisce ormai il 50% degli introiti . Ma se il mercato del download digitale sta crescendo (8,5% in più quest’anno), quello dello streaming online è in piena impennata. Merito dei servizi di streaming gratuito (come Spotify Free) e di streaming a pagamento (come Spotify, Rhapsody, Deezer, iTunes Match etc.) che sembrano aver trovato la formula giusta per allontanare una buona fetta degli appassionati di musica dalle sirene del download illegale.

Le case discografiche ci guadagnano, gli utenti risparmiamo: vincono tutti, dunque? Non esattamente. Esiste una terza parte che, almeno per ora, non trae autentici benefici dalla transizione in atto. Si tratta degli artisti, che paradossalmente sono proprio quelli che la musica la fanno.

Nelle ultime ore, hanno fatto discutere i dati diffusi da Josh Davison, software engineer nonchè membro della band Parks and Gardens , che rivelano come la band riceva meno di un centesimo di dollaro da ogni ascolto su Spotify, e appena 0,0033 dollari per ogni ascolto su iTunes Match. I dati sono coerenti con quelli forniti da altre fonti, e illustrano piuttosto chiaramente la situazione: allo stato attuale, il mercato dello streaming musicale non è sostenibile per gli artisti emergenti o poco conosciuti.

Recentemente, la violoncellista Zoe Keating ha diffuso un documento (una sorta di autointervista) in cui spiegava come, a fronte di 72.000 ascolti dei suoi brani, abbia ricevuto da Spotify poco più di 280 dollari, mentre la vendita di brani in download le ha fruttato oltre 80.000 dollari. Questo significa che, allo stato attuale, lo streaming musicale non potrebbe garantire una effettiva sussistenza agli artisti che incidono musica per vivere (e non si parla solo di Coldplay e altri colossi arrampica-classifica, ma di quello sconfinato sottobosco di professionisti della musica che spesso non vendono più di 10.000 copie).

In parole povere, se ci tenete anche solo un poco a retribuire i vostri artisti preferiti, non limitatevi a consumare gratuitamente i loro dischi su Grooveshark, fate un giro su Bandcamp, o magari, fate un salto in un negozio di dischi. Se ne trovano ancora.

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Fabio Deotto