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La schedina fa 70 anni, ma è prossima all'estinzione

Il primo concorso Sisal risale al 5 maggio del 1946. Per anni principale finanziamento del Coni, ha cambiato le abitudini degli italiani

C'è stato un tempo in cui dire schedina significava confessare speranze di salvezza e di conquista. Con il 12 era festa con gli amici. Con il 13 si strappava un tagliando per un giro di giostra con il destino. Era l'Italia che credeva e masticava sogni come fossero noccioline. Tutto o quasi era possibile, anche vincere al Totocalcio. Ma il tempo passa e non fa prigionieri. Mescola e rimescola le carte del quotidiano con impeto talvolta travolgente, spesso irriverente. Era il 5 maggio del 1946 quando nacque la schedina Sisal, sono passati 70 anni. Da fenomeno di costume, abitudine allegra e scanzonata di un popolo a caccia di fortuna, la schedina è diventata col passare degli anni un gioco tra i giochi, simbolo sempre più sfocato di un Paese che ha fretta di vincere (e quindi, di perdere) e di un calcio che segue a ruota, continuo e asfissiante, goloso e opprimente. Lo chiamano spezzatino, ma sa più di insalata mista: di tutto, un po'.

Le origini

La schedina è un'intuizione meravigliosa di un giornalista della Gazzetta dello Sport, Massimo Della Pergola, triestino classe 1912 perseguitato perché ebreo da chi portava il fez e indossava la camicia nera. Nel '38 fu costretto a inseguire la sorte in un campo di prigionia in Svizzera e tra un obbligo e un dovere indovinò la colonna giusta, ideando il gioco che contaminò milioni di persone negli anni a seguire. Chiusa l'esperienza della prigionia, Della Pergola strinse un patto di cortesia con i colleghi Fabio Jegher e Geo Molo e fondò la Sisal, acronimo che prometteva paesaggi inesplorati: Sport Italia Società a responsabilità limitata. Un'azienda, meglio, una delle aziende più floride della storia commerciale del nostro Paese. Lo diranno i numeri, lo sport italiano non ha ancora finito di ringraziare.

La prima schedina

Quattordici partite, di cui due di riserva, una colonna secca. Costo della giocata, 30 lire, come un bicchiere di vermut. Vince chi prevede e azzecca i risultati di tutte le partite, o quasi: denaro garantito a chi fa 12 e 11. In ballo le solite note, leggi Juve, Inter, Milan, Roma e Napoli, ma pure moltissime provinciali. Il Vigevano fa visita al Padova, la Sestrese si gioca il derby ligure con la Sampierdarenese e il Seregno ospita la Biellese. E' il calcio tricolore del Dopoguerra, c'è spazio per tutto, anche per le favole. Il primo vincitore risponde al nome di Emiliano Blasetti, impiegato di Milano, che snocciola da capo a coda la sequenza perfetta e incassa la bellezza di 463.846 lire, un'enormità se si pensa che in quegli anni la busta paga di un operaio generico non superava le 25.000 lire. L'inizio non è scoppiettante. Sulle ali dell'entusiasmo vengono stampate 5 milioni di schedine: ne sarebbero bastate 34 mila. E il resto? La Sisal ci vede lungo. Distribuisce la montagna di tagliandi rosa inutilizzati ai barbieri che li useranno per pulire le lamette. Ah, la saggezza popolare.

Dalla Sisal al Totocalcio, lo strappo del Coni

Sale la febbre del gioco, la schedina piace e incanta. E fa venire l'acquolina al Coni, che trova sottoporta il mezzo per incamerare denaro come se piovesse con l'obiettivo dichiarato di finanziare lo sport italiano. Nel 1948, lo strappo. Lo Stato nazionalizza d'imperio la schedina, che battezza Totocalcio, e saluta con una stretta di mano i suoi inventori, che non riusciranno a difendere i loro diritti nemmeno in un'aula di tribunale. La Sisal si dovrà accontentare di amministrare i proventi del Totip, invero ben poca cosa rispetto alle prodezze della schedina.

Le vincite record

I primi milionari arrivano sul gong dell'ottavo concorso targato 1946. Vincono un disoccupato di Genova e una casalinga di Genova, che ricevono un assegno di 1.696.000 lire a testa. Tanto, tantissimo, ma nulla se paragonato allo scacco matto azzeccato dal falegname trevisano Pietro Aleotti, che nella primavera del '47 fa bottino pieno con un 12 e mette in tasca 64 milioni. Quarantasei anni dopo, il primato che entra nella storia. Il 7 novembre del 1993 l'Italia va a dormire con la stizza della gelosia che percuote testa e muscoli. La ragione arriva dal telegiornale e racconta di una schedina che raccoglie un 13 e cinque 12. Totale: 5.549.756.245 lire. Un'altra vita è possibile.

Il declino

Negli anni Duemila il calcio entra in cucina e si fa spezzatino, mentre le tabaccherie di tutto lo stivale vengono prese d'assalto da orde di scommettitori prêt-à-porter che sfogliano il portafogli per acquistare un pezzo di gloria promesso dal Superenalotto. Il picco al ribasso si tocca il 24 agosto 2003 con il "Tredicissimo", la nuova schedina del Totocalcio. I monopoli di Stato svelano l'imbarazzo che prende forma dallo sciopero di alcune squadre di Serie B: ai 54.648 che hanno indovinato tutti e 14 i risultati vanno 2 euro, mentre un euro spetta ai 100.061 che ne hanno indovinati 13. Premio addirittura azzerato per i 151.888 che hanno azzeccato l'esito di 12 pronostici, effetto di un arrotondamento per vincite inferiori all'euro. Il montepremi è in caduta libera. Nel 2004 segna quota 443 milioni di euro, che diventano 40 dieci anni più tardi. Nei primi quattro mesi del 2016 l'ultimo affondo: 10 milioni di euro. Dopo 70 di gloria, l'estinzione è a un passo, forse meno.

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Dario Pelizzari