Il lato sexy dell'Nba: le Brooklynettes
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Il lato sexy dell'Nba: le Brooklynettes

Ammiratissime all'Nba 3X Tour di Milano, ci raccontano la vita (e gli allenamenti) di un corpo ufficiale di ballo durante la stagione. E ammoniscono: "Non chiamateci cheerleaders!"

Sono le ragazze che ballano durante gli intervalli (infiniti) delle partite Nba. Le Brooklynettes, ballerine ufficiali dei Brooklyn Nets di New York, sono sbarcate in Italia in occasione dell'Nba 3X Tour di Milano e si presentano in Piazza Duomo come delle vere e proprie star, con tanto di furgone nero dai vetri oscurati e addetto stampa al seguito.

A dirla tutta le ragazze si sono fatte attendere (dovevano riposarsi e rifarsi il make up in albergo, dicono) ma ne è valsa la pena. Oltre a essere bellissime hanno modi impeccabili, parlantina sciolta e una simpatia tutt'altro che scontata: "L'Nba ci richiede un certo tipo di standard anche fuori dal campo – ci raccontano Jessie (a destra nella foto) e Amanda, veterane del gruppo che sostiene la nenonata franchigia dei Brooklyn Nets – “In America diventare una dancer è molto difficile. Bisogna passare attraverso le audizioni, assistere ai clinic. Ci sono addirittura dei camp a pagamento per mettersi in mostra e sperare di venire selezionati”. 

Guai però a chiamarle cheerleaders. Quello, ci spiegano, è l'appellativo per le ragazze che agitano i pon pon alle partite di football. Amanda e Jessie sono due dancer professioniste, allenate e pagate da quell'incredibile macchina organizzativa che sta sotto il nome di Nba: "Lavoriamo molto sulla tecnica, in particolare sulle prese che sono la cosa più complessa. Poi dobbiamo preoccuparci della parte atletica, per la quale facciamo sedute speciali in sala pesi e palestra". Essere una Brooklynettes insomma è una vera e propria professione, lontano anni luce da quanto accade in Italia dove (quasi sempre) le ballerine delle partite sono volontarie.

Negli States le sedute di allenamento durano non meno di tre e durante la stagione il lavoro diventa praticamente a tempo pieno: "Di solito ci ritroviamo per le prove in sala un paio di ore prima della partita – racconta Amanda – Poi ci spostiamo al palazzetto dove ci esibiamo e seguiamo l'intera gara. Solo dopo la sirena possiamo finalmente rilassarci e mangiare qualcosa nell'area hospitality”. Le severe regole Nba vietano però di intrattenersi troppo a lungo con giocatori e pubblico, con i quali la relazione deve rimanere ad un livello strettamente professionale: "Ovviamente possiamo, anzi dobbiamo parlare con gli spettatori. Il tutto però deve ridursi a pochi istanti durante le partite. Niente di più".

La vita di una dancer Nba è molto più professionale di quanto ci si possa immaginare. La ricompensa in denaro, di cui non è dato sapere le cifre causa specifico divieto Nba, viene corrisposta per ogni allenamento o performance, oltre ovviamente che per il trasporto e le spese delle trasferte. Che sia questa dose di professionismo il fattore di successo per un fenomeno di costume (sportivo) che in Italia non è mai riuscito ad attecchire realmente? Lo chiediamo a loro: "Ci avevano detto che il pubblico italiano sarebbe potuto essere un tantino freddo con le ballerine. Invece ci hanno applaudito moltissimo e hanno dimostrato da subito una grande energia. Credo che si siano divertiti proprio nel vedere uno spettacolo di alto livello. E poi con le ragazze gli italiani sono veramente adorabili". Ringrazio con un briciolo di orgoglio. Almeno in questo possiamo possiamo ancora definirci professionisti.

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Teobaldo Semoli