Come vive un meccanico di F1 (e cosa serve per diventarlo)
Dan Istitene/Getty Images
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Come vive un meccanico di F1 (e cosa serve per diventarlo)

Ole Shack, veterano del team Red Bull e tra i più conosciuti personaggi dei box del Circus, si racconta tra viaggi e gran premi

Si chiama Ole Schack, ha 37 anni e lavora alla Red Bull come meccanico da quando la scuderia della lattina ha rilevato quote e chiavi inglesi del Jaguar Racing F1 Team, storia del 2004. Con lui, grazie a lui, la Red Bull ha messo le ali e ha dettato le regole del gioco nella Formula 1 per quattro campionati di fila, dal 2010 al 2014, vincendo quattro mondiali piloti con il neo-ferrarista Sebastian Vettel e quattro titoli da costruttore. C'era anche Schack sul podio di Singapore nel 2012 per celebrare una vittoria che segnò l'inizio della rincorsa trionfale del pilota tedesco su Fernando Alonso. Sì, perché dici Schack e il Circus della F1 strizza l'occhio e fa un inchino a uno dei migliori meccanici in circolazione. A lui, panorama.it ha chiesto di raccontare il dietro le quinte di un lavoro bellissimo eppure molto faticoso.

Una scelta o un caso, il lavorare in F1?
“Ho sempre lavorato nei motori. Da giovane, quando vivevo in Danimarca, ho studiato per diventare un normale meccanico di strada, anche se ogni fine settimana mi occupavo di lavare le ruote e lucidare la carrozzeria delle auto da corsa. Nel 2001 mi sono trasferito in Inghilterra per cercare di ottenere un lavoro in F1. Ovviamente, non puoi saltare da un piccolo team in Danimarca al Circus, così ho lavorato in quello che allora si chiamava Formula 3000, la GP2 di oggi. Ho avuto la fortuna di trovare un posto a Norfolk, dove sono rimasto per due anni. Quindi, nel 2004, ho fatto domanda per un posto nel team Jaguar, che poco dopo è diventato Red Bull Racing. E da allora sono lì”.

Com'è la vita di un meccanico di F1 durante la stagione: quando inizia per voi la gara?
"La partenza per la gara dipende dal tipo di viaggio che ci aspetta, se si tratta cioè di una “fly-away” (ovvero di una trasferta intercontinentale) o di una gara europea. Nel caso delle "fly-away", che prevedono evidentemente voli molto più lunghi, abbiamo anche il compito di scaricare il materiale dalla stiva dell'areo. Per queste gare partiamo così normalmente il sabato precedente il weekend della corsa. Per gli eventi europei lasciamo invece la sede il martedì, ovvero cinque giorni prima della gara".

Poi, una volta sul posto, il box diventa il vostro mondo...
"Sì, il box è il nostro vero e proprio ufficio, dove per fortuna non mancano i momenti per ridere e scherzare. Ricordo quando abbiamo messo del silicone nel guanto di un collega e quando alcuni di noi hanno fatto il bagno in un freddo lago in Canada... La nostra è come una piccola famiglia, perché sei sempre in viaggio insieme. E' un dato di fatto: trascorriamo più tempo con i colleghi che con i nostri famigliari a casa e certi momenti di svago servono per stemperare la tensione".

Quella che di certo esplode in gara: ci racconta la giornata-clou vista dall'interno dei box?
“La monoposto esce dal parco chiuso cinque ore prima dell'inizio della gara. Per regolamento non possiamo toccarla dal sabato sera alla domenica mattina, quindi non si fanno più le notti a cercare la giusta regolazione come avveniva un tempo. In realtà, a meno di un incidente nelle qualifiche o di un problema tecnico da provare a risolvere poco prima del via alla corsa, non c'è molto lavoro da fare. Solitamente, al contrario di quello che magari si pensa, la domenica mattina è abbastanza tranquilla. Dopo la gara, invece, mentre gli altri protagonisti del Cirus si rilassano e i giornalisti si dilungano nei commenti, è per noi tutta un'altra storia: dobbiamo infatti provvedere a imballare tutto il materiale che avevamo scaricato e sistemato in tre giorni in meno di cinque ore. Sì, la domenica sera è il giorno più lungo e più tosto del weekend di gara”.

Una vita emozionante, ma che mette anche a dura prova il fisico e la testa, tra viaggi e pressioni per il risultato: il segreto per non perdere colpi?
“L'entusiasmo che segue i buoni risultati in pista è senza dubbio il migliore carburante del nostro lavoro. Facciamo del nostro meglio per essere i migliori al mondo in questo sport e quando raggiungiamo traguardi importanti, siamo felicissimi. Anche se c'è un avversario davvero difficile da affrontare: il jet-lag è il problema più grande, perché è difficile recuperare bene e per tempo dai continui viaggi in tutto il mondo”.

Cosa consiglia a chi volesse tentare di lavorare in F1?
"Io sono un meccanico, educato a usare le mani, ma credo ci siano molti più posti di lavoro in F1 per coloro che sanno usare i computer. In ogni caso, l'importante è che ci sia la passione: so che può sembrare un consiglio banale, ma il nostro è uno stile di vita, non soltanto un lavoro. Devi provare piacere quando lo fai, perché solo così puoi non risentire dei tanti week-end passati nei box anziché con la famiglia, dei tanti matrimoni, battesimi e compleanni in cui manchi sistematicamente nelle foto... Visto che riguarda il nostro team, segnalo poi il Red Bull On Stage (https://tororosso.redbull.it/), un'occasione per imparare il mestiere a Faenza, nella scuderia Toro Rosso".

Dan Istitene/Getty Images

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Dario Pelizzari