Beppe Bergomi: "La mia vita in nerazzurro"
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Beppe Bergomi: "La mia vita in nerazzurro"

Chiacchierata in libertà con lo "Zio" sui suoi vent'anni in prima linea a difesa dei colori dell'Inter

"Il mio primo ringraziamento va a Giampiero Marini, il Pirata. Fu lui a farmi da chioccia, quando a 16 anni entrai nel giro della prima squadra. Compagni di camera all'Inter e poi in Nazionale. Parlavamo anche in dialetto milanese, noi della Bassa. Devo poi anche un ringraziamento a Carletto Muraro che mi scorazzava ad Appiano Gentile per l'allenamento. Non avevo ancora la patente e lui, premuroso, mi aspettava fuori dalla fermata della metropolitana. Gran giocatore Muraro, velocissimo, capace di vedere la porta come pochi, fu un po' schiacciato da Altobelli e Beccalossi, il tandem di Brescia. Alla fine Bersellini chiedeva a lui di sacrificarsi e rientrare a coprire".

A parlare è Beppe Bergomi, per tutti l'emblema plastica dell'interismo. Con Peppin Meazza, Sandro Mazzola, Giacinto Facchetti e Javier Zanetti rappresenta un'icona per tutti i tifosi. Vent'anni di vita a strisce nerazzurre vissute con rigore, abnegazione e compostezza. Anche in quelle tormentate annate che lo hanno visto protagonista, è difficile ricordare momenti di sbandamento. Forse uno solo, quello della difficile convivenza con Corrado Orrico all'inizio di campionato 1991-92, quando anche il versante interista si era convertito alla nouvelle vague della zona dei vari Arrigo Sacchi, Giovanni Galeone e Gigi Maifredi.

Pellegrini era convinto di aver trovato il suo sacerdote del nuovo credo in un burbero mister toscano che da subito entrò in rotta di collisione con l'ambiente e ai primi risultati negativi accusò i senatori Zenga, Bergomi e Ferri di essere gli elementi di freno al cambiamento. "Sono talmente tanti gli avvenimenti accaduti che potrei scrivere un libro su quei sei mesi, ma preferisco sorvolare e non fare polemiche", commenta oggi "lo Zio", come venne soprannominato nello spogliatoio azzurro del vittorioso Mondiale dell'82. Sull'ostinazione al nuovo verbo Pippo Russo ha scritto anche un bel libro "La rivincita di Nedo Ludi", dove un difensore vecchia maniera, incapace di adattarsi alla nuova moda, boicotta con metodi luddisti il suo allenatore. Qualcuno ci ha visto qualche riferimento a Bergomi e alla sua allergia alla "gabbia" montata da Orrico ad Appiano Gentile, ma il diretto interessato conferma di avercela messa tutta e arriva anche a concedere l'onore delle armi al suo nemico: "A Orrico voglio riconoscere però di essere stato uno dei pochi allenatori a prendersi le sue responsabilità e dimettersi senza aspettare il più conveniente esonero". 

L'inizio della carriera dello Zio è straordinaria. Prima stagione è quella 1979-80: 16 anni, in prima squadra, una presenza in Coppa Italia con la Juventus, quando Bersellini affida alle sue cure un certo Roberto Bettega. E' l'anno dello scudetto. Quello successivo l'Inter si attarda in Campionato ("sì, come Spillo, credo il mancato bis sia dovuto all'apertura delle frontiere, con la Juventus che fece un salto di qualità") ma raggiunge la semifinale di Coppa Campioni dove affronta il Real Madrid. E questa volta il sergente Eugenio gli affida Juanito, lo sfortunato attaccante spagnolo scomparso nel 2002 in un incidente d'auto. "Ricordo tutto: il palo di Prohaska; il tentativo di rimontare il 2-0 subito al Bernabeu nella partita di rientro; il gol di Graziano Bini, uno dei miti per me, giovanissimo difensore".

Il Real Madrid fu una vera bestia nera per i primi anni di sfide europee dello Zio. Due anni dopo eliminati da Real in Coppa Coppe con Rino Marchesi in panchina, altri due anni e nuova sconfitta in semifinale di Coppa Uefa, vittoria 2-0 a San Siro e sconfitta per 3-0 a Madrid. La partita della famosa biglia. "Giocare al Bernabeu era veramente complicato, eri bersagliato, arrivava di tutto. Non so cosa mi abbia colpito, so però che dagli spalti arrivavano biglie, bulloni, bottiglie... a quei tempi al Real si permetteva veramente di tutto". L'Avvocato Prisco provò a rovesciare il verdetto del campo, come per la lattina di Monchengladbach a Boninsegna, ma questa volta l'Uefa preferì chiudere gli occhi. Il Real, per la cronaca, eliminò anche l'anno successivo Bergomi e compagni, in una nuova semifinale di Uefa, sempre in rimonta. Vittoria interista per 3-1 a San Siro con doppietta di Tardelli e sconfitta, dopo i supplementari, per 5-1 a Madrid.

Inizio straordinario di carriera, si diceva. In tre anni scudetto, Coppa Italia e Campionato del Mondo. Al ritorno dalla Spagna, a 18 anni Bergomi era già un senatore. "L'anno dopo il mondiale non è stato facile, tutti da me si aspettavano prestazioni da campione del mondo, poi facevo il militare e mi allenavo con meno regolarità. Ho faticato un po'". 

Nella sua lunga esperienza Beppe ha vissuto anche tre presidenze: nel 1984 arriva Ernesto Pellegrini che porta subito il grande colpo di Karl-Heinz Rummenigge e chiama Ilario Castagner sulla panchina al posto di Gigi Radice, per il cui allontanamento il 21enne Bergomi scoppiò in lacrime ("Ci rimasi molto male, è stato l'unico allenatore per cui ho pianto"). Sulle parole invece di Castagner ("Con Bagni o Manfredonia avrei vinto lo Scudetto o la Coppa Uefa") Beppe si dice d'accordo. "Di Manfredonia sinceramente non sapevo nulla, non mi sono mai interessato alle vicende di mercato della società, ma su Bagni posso confermare il suo grande valore, avendolo avuto come compagno sia all'Inter, sia in Nazionale. Certo Salvatore era un giocatore dal fortissimo temperamento, non facile da gestire, ma è stata una grave perdita per noi".

Con Bagni lo Zio visse la disfatta di Messico '86, dove l'Italia campione del mondo uscì malamente contro la Francia di Michel Platini. "Le Roi" viene preso in consegna da Beppe Baresi, mentre a Bergomi tocca Dominique Rocheteau, il famoso "Angelo Verde" dalle letture impegnate come Nietzsche, Bakunin, Kundera e Fitzgerald. Ai tempi di Saint-Etienne, Rocheteau veniva descritto come il nuovo George Best. "Molti hanno scritto che Bearzot ha peccato di generosità, per eccessiva riconoscenza verso i reduci di Spagna. E' una chiave di lettura, ma non sono d'accordo. Eravamo una buona squadra, avevamo Spillo in grandi condizioni, in squadra c'erano gli inserimenti di Bagni, De Napoli, Vierchowod, Vialli. Molto più semplicemente credo che abbiamo incontrato un avversario più forte".

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Filippo Nassetti