Basket: Varese, il consorzio capolista
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Basket: Varese, il consorzio capolista

Due anni fa stava per scomparire, ora è prima in classifica. Il presidente "Cecco" Vescovi ci racconta come...

Per capire da quanto lontano arrivi il primo posto di Varese (conquistato battendo Siena 74-67) bisogna fare un passo indietro di almeno due anni. Siamo a Luglio 2010, la squadra è appena tornata nella massima serie ma la società rischia di scomparire sotto gli effetti della crisi economica: un presidente che non può (e non vuole) spendere come prima; nessuno in grado, da solo, di raccoglierne l'eredità. Una storia già vista e rivista (l'ultima volta, a Treviso) ma a Varese c'è chi non si rassegna.

"Cecco" Vescovi, oggi Presidente, ha giocato nei roosters quasi tutta la sua carriera e insieme a Michele Lo Nero si mette a cercare imprenditori del territorio che non vogliono veder scomparire la società, e così nasce il consorzio "Varese nel Cuore". Un'idea, quella di distribuire la proprietà tra tanti (ora sono 70) soci diversi, che pareva una follia ma che oggi è un modello per combattere la crisi, e che sul campo è anche in grado di essere vincente.

Presidente Vescovi, se lo aspettava, dopo tre giornate, di vedere Varese lì davanti a tutti?

"Se dicessi di sì sarei presuntuoso, però c'era la consapevolezza di aver allestito un buona squadra e soprattutto un buon gruppo. Si parla sempre di chimica e questa è una cosa che si percepisce stando vicino ai ragazzi ma che è impossibile programmare a tavolino".

La vittoria con Siena che sensazioni le ha dato?

"A volte bisogna essere bravi a sfruttare le incertezze degli avversari, e noi lo siamo stati. Loro sono ancora work in progress avendo cambiato tanto, praticamente tutta l'ossatura vincente degli ultimi anni. In questo senso abbiamo dimostrato di essere più avanti di loro nella ricostruzione".

Anche Varese ha cambiato tanto, in primis l'allenatore. Una scelta difficile considerato il suo rapporto con Recalcati...

"Devo dire che Charlie ha fatto un ottimo lavoro nell'iniziare il percorso di rinascita non solo della squadra, ma anche della società. Passati i due anni, ho pensato dovessimo provare qualcosa di nuovo, magari di rischioso, ma che potesse regalare più stimoli e più entusiasmo ai nostri tifosi. Per questo la scelta è ricaduta su Vitucci, un allenatore emergente, ambizioso, che ad Avellino ha dimostrato di sapere gestire gli stranieri e che non vedeva l'ora di mettersi alla prova in una piazza importante".

Quindi avete cambiato anche la squadra...

"Abbiamo sfruttato quello che ci dava il mercato creando un mix fatto di americani di talento, magari finiti un pò nel dimenticatoio come Green (passato dalla finale scudetto con Cantù alla Legadue ndr), e di alcuni giovani italiani che erano rimasti a piedi. Mi riferisco a Polonara e Cerella da Teramo, e a De Nicolao da Treviso. Diciamo che siamo stati bravi e fortunati".

Rispetto alla Varese dello scudetto, quello dello stella, ci sono però molti meno italiani...

"E' inutile essere ipocriti e guardare al passato. I tempi sono cambiati, le regole sono cambiate e quindi bisogna essere capaci e fortunati nel cercare di creare una giusta miscela tra giocatori stranieri e italiani con margini di crescita, soprattutto giovani, che devono capire che se vogliono arrivare non c'è altro modo se non quello di confrontarsi tutti i giorni, in allenamento, con i loro compagni più esperti. D'altronde è quello il livello che poi troveranno in campionato o in Eurolega".

Possiamo dire che ormai Varese è tornata stabilmente tra le grandi?

"Io aspetterei un attimo. Non dobbiamo sentirci con la pancia piena. Ho visto squadre partire a razzo e poi finire la stagione lottando per non retrocedere. Le vittorie devono servire da benzina per andare avanti".

Però grazie al consorzio la società è tornata solida...

"Il consorzio è stato sicuramente un progetto vincente ma, anche qui, la squadra non deve pensare di aver già fatto tutto. Ovviamente i risultati sportivi sono fondamentali poichè richiamano nuovi soci e questa cosa l'ho spiegata molto bene ai giocatori prima dell'inizio del campionato".

Vuol dire che ha spiegato agli americani che devono vincere per attirare nuovi sponsor?

"Non solo. La maggior parte dei giocatori vengono da mondi e da club completamente diversi ed era giusto spiegare loro di che tipo di società entrano a far parte. E questo non riguarda unicamente i risultati ma anche tutte le attività collaterali che organizziamo sul territorio attraverso le aziende del consorzio. E necessario creare un rapporto tra i giocatori e chi li sostiene e che, in ultima istanza, paga i loro stipendi".

In pratica, state provando a responsabilizzare giocatori abituati a cambiare squadra ogni sei mesi?

"La volontà non è qulla di creare pressione ma di far capire loro chi hanno davanti. D'altronde in un periodo di crisi come questo è importante che anche i giocatori capiscano che i soldi non crescono sugli alberi e che quindi abbiamo bisogno della loro collaborazione per tutta una serie di ambiti come le giovanili, il basket in carrozzina, il rapporto con gli sponsor".

E grazie al vostro lavoro e ai risultati sul campo il consorzio continua a crescere...

"Oramai dovremmo essere a 71 soci...".

Da chi è nata l'idea?

"L'idea è nata principalmente da me e da Michele Lo Nero, che poi è diventato presidente del consorzio. Inizialmente l'intento era quella di raccogliere poche aziende che mettessero tanto capitale. Invece poi abbiamo trovato tante persone disposte a contriuire con quello che potevano e questa si è rivelata la mossa vincente".

Possiamo considerare il consorzio di Varese un modello anti-crisi?

"Direi di sì, sarà sempre più difficile trovare una persona sola che si faccia carico di tutta la responsabilità economica di una società. E poi la nostra collaborazione con i soci non si esaurisce al marchio sulla maglietta o agli sponsor nel palazzetto, cose che oramai lasciano il tempo che trovano considerando che il basket passa poco per televisione. Quello che cerchiamo di fare è creare e consolidare rapporti tra le stesse aziende che partecipano al consorzio".

Come accadeva un tempo nei distretti industriali e nelle filiere produttive?

"Esattamente. Per statuto le aziende che partecipano al consorzio devono essere tutte appartenenti al territorio. La passione per la Pallacanetro Varese funge da punto di incontro per far nascere progetti comuni".

Ma alla fine a Varese chi decide?

"La parte tecnica è compito mio ma comunque ogni decisione deve essere condivisa con i soci del CdA del consorzio".

Come mai a Treviso non sono riusciti a fare lo stesso?

"Francamente credevo che alla fine riuscissero a iscrivere la squadra, magari prendendo spunto proprio da noi. Probabilmente non è stato gestito bene il passaggio di proprietà dalla famiglia Benetton. A Treviso le imprese ci sono ma ci vuole qualcuno che abbia voglia di metterci la fatica e soprattutto la faccia. Quando abbiamo iniziato due anni fa in molti mi davano del pazzo".

Come si trova nella carica di Presidente?

"Sono nato a Varese, ho giocato per 20 anni in questa società, quando ho visto che c'era il rischio che scomparisse mi sono sentito in dovere di fare qualcosa. In questo senso, diventare Presidente è stata una cosa abbastanza naturale. Per ora sono contento e mi tolgo anche qualche soddisfazione ma il futuro non è ancora stato scritto. Nel nostro campo, come nella vita, ci vuole sempre un pò di fortuna. Ha volte però la fortuna devi anche provare a cercarla".

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Teobaldo Semoli