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Siamo ad un passo dal razionamento dell'acqua e non è solo colpa del meteo

Come per altre questioni anche sulla rete idrica sono stati fatti cadere nel vuoto avvertimenti e richieste di intervento lanciati anni ed anni fa

In Italia è allarme siccità, le regioni sono in sofferenza; il Lazio ha proclamato lo stato di calamità naturale ed il governo sta valutando l'ipotesi di dichiarare lo stato di Emergenza. Danni arrivati anche ad alcune centrali idroelettriche come quella di Sermide, al confine con il Veneto, e Ostiglia nel mantovano che si sono dovuto fermare perché il livello prossimo allo zero dei bacini collegati non rende più possibile il raffreddamento. Alcuni sindaci disperati sono corsi ai ripari ed hanno chiuso rubinetti e fontane, altri stanno vietando il riempimento delle piscine e persino il ministro Cingolani ha dichiarato alle agenzie di essere molto preoccupato. Ma in realtà la “calamita naturale” che rischia di mettere in ginocchio il Paese c’era già stata nel 2017 e da allora ben poco è stato fatto per l’approvvigionamento e per ridurre i consumi dell’acqua dove l’Italia ancora una volta in stato di emergenza dimostra di essere impreparata.

«C’è un consumo enorme di acqua che non è stato ridotto e perdite importanti su tutta la rete idrica nazionale. Il nostro sistema di approvvigionamento acqua è stato fatto negli anni 50 e per questo ora siamo in difficoltà», spiega Emanuele Romano ricercatore IRSA CNR.

Cosa è stato fatto dopo l’emergenza siccità del 2017?

«Dal 2017 quando c’è stata l’emergenza siccità non è stato fatto molto per implementare le dighe, che peraltro sono solo una parte della soluzione perché il problema della carenza di acqua riguarda sia il suo consumo enorme che non è stato ridotto, sia le perdite su tutta la rete idrica nazionale che vanno ad aggiungersi ad sistema di approvvigionamento fatto negli anni 50».

Qual è la condizioni delle dighe?

«Facciamo una distinzione territoriale. Gli invasi a nord sono a scopo idroelettrico e in parte anche agricolo, in centro Italia sono a scopo idroelettrico, agricolo e potabile, mentre in Sardegna sono per la maggior parte idropotabile. La modalità di gestione degli invasi cambia in maniera diversa a seconda dell’utilizzo e ricade sui fenomeni siccitosi. Detto questo dal punto di vista strutturale non ci sono grandi monitoraggi e non esiste un piano di pulizia della terra che si deposita sul fondo e ostacola gli invasi».

Cosa si può fare ?

«Oltre alle dighe potremmo utilizzare le acque sotterranee attraverso la captazione (che richiede un grosso dispendio di energia) ma quelle piccole sono già in sofferenza e quelle grandi andrebbero ad intaccare il flusso dei fiumi. Ormai si possono ridurre solo le perdite e i consumi dell’acqua utilizzata per l’energia idroelettrica, per l’agricoltura ed il consumo abituale. Mentre per le costruzioni di nuove dighe bisognava pensarci prima perché l’acqua è diminuita e diminuirà ancora e non si può ne importare, ne fabbricare, ma si deve gestire al meglio quella che c’è. In più i 4 miliardi stanziati nel Pnrr per l’acqua sono decisamente pochi rispetto ad altri settori, nonostante la gravità della situazione che rischia di riversarsi su tutto il Sistema».

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Linda Di Benedetto