Ry Cooder: esce il cofanetto "Soundtracks": l'intervista
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Ry Cooder: esce il cofanetto "Soundtracks": l'intervista

Parla il grande chitarrista americano, mente del progetto Buena Vista Social Club, che ha riunito in un boxset il meglio delle sue colonne sonore

Ry Cooder non è solo uno dei più grandi chitarristi della storia del rock (il numero 31 secondo la classifica di Rolling Stone), ma è anche uno dei più importanti autori di colonne sonore. A lui dobbiamo l’idea del progetto Buena Vista Social Club, il disco cubano più venduto di tutti i tempi con oltre otto milioni di copie, considerato l’equivalente di The dark side of the moon per la world-music.

Per questi motivi è di grande interesse l’uscita del cofanetto Soundtracks, appena pubblicato dalla Rhino, che raccoglie in sette cd altrettante celebri colonne sonore composte dal chitarrista americano. Il box si concentra sul suo periodo più fecondo, gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, con le musiche originali di The Long Riders, Music from Alamo Bay, Paris, Texas, Blue City, Crossroads, Jonny Handsome e Trespass.


Mr.Cooder, il cofanetto Soundtracks vuole essere un’opportunità di far conoscere la sua musica anche a un pubblico più giovane o è soprattutto un regalo per i suoi fan di vecchia data?


“In realtà non è stata una mia idea, ma della mia etichetta che voleva ripubblicare alcuni lavori del passato. Sono molto contento di questo cofanetto, anche perché alcuni album non venivano pubblicati da diversi anni, e orgoglioso dei brani che vi sono contenuti. C’è un nuovo pubblico che non li ha mai sentiti prima, per questo Sountracks è un buon modo per accostarsi alla mia musica”.


Nella sua lunga carriera è passato con disinvoltura dal blues al jazz, dal folk al tex mex, dal rock alla roots music. C’è un genere, tra questi, che preferisce?


“No, perché tutti riguardano la musica. Da bambino ascoltavo soprattutto il folk e il blues, ma anche la musica messicana. Li ho ascoltati per tanto tempo, adesso ho sessantanove anni, ma ciò che ti piace da ragazzo ti piacerà per tutta la vita. La musica la conosci soprattutto quando la suoni, in realtà non ho un genere preferito, sono molto aperto a tutto ciò che mi dà buon vibrazioni”.


Lei è conosciuto per il suo talento unico nell’interiorizzare le tradizioni etniche di altri popoli, per trasformarle poi in una musica universale. C’è una musica del mondo che non ha ancora esplorato e che le piacerebbe suonare?


“Difficile rispondere, sono sicuro che ci sarà, il mondo è pieno di cose che ancora non conosco. I musicisti reinterpretano sempre i generi tradizionali, ci sono musiche che ti piacciono, ma che non necessariamente hai voglia di suonare. Io suono da quando sono piccolo e ogni giorno imparo qualcosa. In un certo senso, è come se fossi ancora a scuola”.


Lei ha suonato la sua inconfondibile slide guitar  per il film Mississippi Adventure di Walter Hill, dedicato alla leggenda del blues Robert Johnson. Che cosa ha rappresentato per lei un’icona come Johnson?


“Siamo fortunati perché abbiamo dei dischi che ci ricordano ancora oggi di questi grandi musicisti. Se non ci fossero queste incisioni sarebbe tutto diverso, probabilmente anch’io farei un altro tipo di lavoro. Grazie a loro ho potuto conoscere tante splendide melodie, dal bluegrass all’honky tonky, dal blues al jazz, che hanno avuto un grande impatto su di me. Oggi saremmo tutti più poveri, se Robert Johnson non avesse inciso nulla. Quando ero giovane, molti miei eroi musicali erano ancora vivi. Adesso i ragazzi vedono queste leggende nei filmati di Youtube, ma ti posso assicurare che vederli dal vivo era un’altra cosa”.


Molte delle sue colonne sonore sono state composte per Walter Hill, il mago del cinema d’azione. Che rapporto aveva con lui?


“Ho passato tanti bei momenti con Walter, perché a lui piacevano le stesse cose che piacevano a me. Anche lui pensava che il folk si adattasse bene ai film , ha un suono ideale per trasmettere un certo tipo di sensazione, ne diventa quasi una parte costitutiva. Troppe volte l’orchestra suona un po’ artificiale in alcune pellicole, non la avvertivi come una parte del film”.


Con Live in San Francisco insieme ai Corridos Famosos, considerato uno dei migliori album del 2013, ha realizzato il sogno di incidere un album con una big band. Quale altro sogno musicale le piacerebbe realizzare?


“Non lo so, non si può mai sapere nella vita! Live in San Francisco è stato un esperimento che è andato bene: suonare brani che conoscevo da tempo con un sound completamente diverso, abbattendo alcune barriere tra generi. A volte le idee ti colgono quasi di sorpresa e tu le segui, è difficile pianificare tutto, specialmente in un periodo di crisi della discografia come quello attuale”.


Gene Simmons, storico bassista dei Kiss, ha dichiarato recentemente che “Il rock è definitivamente morto e ad ucciderlo sono stati quelli che negli ultimi quindici anni hanno scaricato musica illegalmente”. Lei è d’accordo?


“Io vedo la questione da un’altra prospettiva. I tempi sono cambiati radicalmente negli ultimi vent’anni, soprattutto nel significato che la gente attribuisce alla musica. C’è stato un tempo in cui la musica era un’autentica rappresentazione di ciò che accadeva. I musicisti, che componevano e che suonavano, stavano portando avanti una tradizione, c’era un ancoraggio con il passato. Negli ultimi dieci anni il marketing ha avuto la meglio la meglio rispetto alla tradizione, la musica è diventata un sottofondo, ormai si ascolta prevalentemente attraverso gli smartphone e i computer. In realtà il rock è morto prima del boom di internet, perché le persone che lo controllavano hanno iniziato a vendere uno stile di vita  e di abbigliamento, prima ancora degli album”.


Gli U2 hanno presentato il loro nuovo album a Cupertino, in occasione del lancio del nuovo iPhone 6, regalandolo ai 500 milioni di utenti di iTunes. Può essere questo il modo per rilanciare le vendite della musica, cioè offrire gratis per un breve periodo il nuovo album?


“E’ la fine di tutto, se dai la musica gratis i musicisti non possono essere pagati per quello che fanno. Costa molto fare un album, se non hai la capacità, nel lungo termine, di trarre profitto dal tuo lavoro, tra poco nessuno scriverà più canzoni, visto che il copyright ormai non esiste più. Dov’è qui il talento? La gente può anche stare a casa e scrivere quello che ha fatto durante la giornata, o cosa hanno detto i loro amici, ma non è la stessa cosa che ascoltare Nat King Cole”.


Che ne pensa del tour d’addio dei Buena Vista Social Club? E’ davvero la fine di un’epoca per la musica popolare cubana?


“La musica cubana è cambiata nello stesso modo in cui è cambiato tutto, in genere aumentano sempre di più i ritmi, tutto è più veloce. I Buena Vista erano gli ultimi musicistidella vecchia scuola. Tranne i tre artisti superstiti, gli altri sono tutti morti, per cui non puoi dire che quel sound esiste ancora. E’ come il New Orleans Jazz, non c’è più, è arrivato al suo posto qualcosa di diverso. Se vogliamo essere gentili, possiamo dire che c’è stata un’evoluzione”.


Un’ultima domanda. Quando tornerà a suonare in Italia?


“Non lo so, non faccio mai troppi piani, quando ho registrato Live in San Francisco è stato molto complicato, a causa del numero dei musicisti sul palco. Mi piacerebbe suonare in Italia, questo è sicuro”.

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Gabriele Antonucci