Il processo Opl 245 sulle presunte mazzette pagate dall’Eni in Nigeria poteva essere evitato. Sarebbe bastato che la Procura di Milano all’epoca rendesse pubblico un video ricevuto dai colleghi di Roma nel maggio del 2017, quando il procedimento era in fase di udienza preliminare. Il filmato, insieme a un’altra registrazione gemella, è stato realizzato negli uffici della Sti dell’imprenditore Ezio Bigotti e sequestrato dalla Procura di Torino nell’ormai lontano 2015. Il video selfie, realizzato sotto la sapiente regia del faccendiere Piero Amara, per anni è perso nei meandri delle Procure di Milano e Roma. Si pensava che in Lombardia fosse arrivato nel 2019, ma adesso siamo in grado di svelare una nuova sconcertante verità. Scartabellando tra gli atti depositati nel fascicolo sul cosiddetto depistaggio del procedimento Opl 245, che vede Amara e il compare Vincenzo Armanna indagati per calunnia, abbiamo scoperto che i pm meneghini avevano a disposizione già cinque anni fa almeno uno dei due filmati in grado di scagionare l’Eni. Un documento che avrebbe potuto smontare le accuse contro i vertici dell’azienda se non durante le indagini, almeno davanti al gup, scongiurando il costoso processo Opl 245 che si è svolto a Milano tra l’inizio del 2018 e il 17 marzo 2021, data in cui gli imputati sono stati assolti.
Stiamo parlando del video del 28 luglio 2014, quello in cui proprio Armanna annuncia di essere pronto, con le sue dichiarazioni, a far arrivare «una valanga di merda» sull’Eni.Il 7 maggio 2015 i carabinieri della sezione di polizia giudiziaria di Torino eseguono a Roma una perquisizione su ordine del pm torinese Stefano Demontis nei confronti di Bigotti e trovano gli ormai celebri filmati registrati da un sistema di telecamere interno.
Due mesi dopo, il 7 luglio, i militari trasmettono un’annotazione e, a proposito del video del 28 luglio 2014, mettono nero su bianco un possibile collegamento con la vicenda Opl. Infatti spiegano che «i soggetti indicati dagli interlocutori nel corso della conversazione» sono «in parte collegati o emersi nell’ambito di un’attività investigativa condotta dalla Procura di Milano per un possibile reato di corruzione internazionale che vede tra gli indagati anche l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi in ordine alla gestione della concessione di un gasdotto in Nigeria denominato Opl 245».
In sostanza, già all’inizio delle indagini, un pm ha in mano la prova della non genuinità delle accuse di Armanna.
Il 13 luglio 2015 De Montis apre un fascicolo a modello 45 senza indagati né ipotesi di reato sulla questione e lo trasmette alla Procura di Roma, dove viene assegnato al pm Stefano Pesci. A questo punto, per due anni non succede niente. Il 15 e 16 marzo 2017 a Roma si svolge una riunione di coordinamento tra la Procura della Capitale e quella di Milano sui procedimenti paralleli riguardanti Amara portati avanti dalle due Procure. All’incontro partecipano anche gli aggiunti milanesi Fabio De Pasquale e Laura Pedio, titolari dei fascicoli Opl 245 e «complotto» o «depistaggio». Parlano del video? Non lo sappiamo.
Ma dagli atti appena depositati emerge oggi la clamorosa novità: a metà maggio il procuratore aggiunto romano Paolo Ielo trasmette alla Pedio (e non a De Pasquale), titolare del filone sul depistaggio, un’annotazione dell’11 maggio della Guardia di finanza «corredata dagli allegati supporti audio» e il 16 fa un ulteriore invio. Tra le carte che abbiamo potuto visionare c’è il verbale di apertura da parte della Fiamme gialle milanesi, datato 17 maggio 2017, del plico proveniente da Roma. Si specifica che contiene un dvd con la conversazione registrata nell’ufficio di Bigotti il 28 luglio 2014, la sua trascrizione e la nota della Gdf.
Il video, secondo la Procura di Brescia, che ha iscritto sul registro degli indagati De Pasquale e Sergio Spadaro per omissione di atti d’ufficio (non avrebbero messo a disposizione delle difese documenti utili) sarebbe stato trasmesso ai due magistrati dal procuratore Francesco Greco il 12 aprile 2017 (12 maggio?) «allorquando il processo Eni Nigeria era in fase di udienza preliminare».
Il 18 febbraio 2018 De Pasquale aveva chiesto il rinvio a giudizio per i vertici Eni e quindi il filmato avrebbe potuto essere depositato davanti al gup.
Nell’avviso di garanzia della Procura di Brescia nei confronti di De Pasquale e di Spadaro si legge che i due non avrebbero depositato, venendo meno agli obblighi di imparzialità, documenti che dimostravano l’inaffidabilità di un teste come Armanna. In particolare il video del 28 luglio il cui l’uomo «avrebbe espresso propositi ritorsivi nei confronti dei vertici dell’Eni» con frasi come questa: «Perché la valanga di merda che io faccio arrivare in questo momento… con la valanga di merda che sta arrivando, vedrete che accelererà». I magistrati bresciani evidenziano che Armanna, due giorni dopo questo proclama, si sarebbe presentato da De Pasquale «per accusare i vertici dell’Eni».
Va specificato che anche l’acquisizione del filmato durante il processo è stata tribolata. Infatti solo casualmente uno degli avvocati degli imputati, Giuseppe Fornari, nella primavera del 2019 scopre l’esistenza del video in un procedimento romano (una costola di Consip) per bancarotta contro l’imprenditore Bigotti e il suo braccio destro. La notizia è contenuta in un’informativa della polizia giudiziaria con stralci della trascrizione.
Il 23 luglio, in aula a Milano, dopo l’esame di Armanna, Fornari cita il documento, spiazzando l’accusa, che, però, non può opporsi all’acquisizione della prova, parcheggiata nel procedimento depistaggio, perché De Pasquale aveva, a sua volta, appena prodotto nel processo Opl 245 materiale prelevato dall’indagine sul cosiddetto complotto in mano a Pedio e Storari. Lo stesso 23 luglio Greco si affretta a trasmettere alle difese il video «corredato dalla relativa nota della polizia giudiziaria di Torino e dalle lettere di trasmissione della Procura di Torino e della Procura di Roma».
Ma se il video del 28 luglio da Roma è giunto a Milano nel 2017, due anni dopo il suo sequestro, e in Lombardia è rimasto in sonno per altri ventisette mesi, il filmato «gemello», quello del 18 dicembre 2014, ha avuto un destino ancora più rocambolesco. Forse perché aveva un’ulteriore «controindicazione»: citava i rapporti degli indagati con Roberto Pignatone, fratello di Giuseppe, ex potentissimo procuratore di Roma.
Il 22 aprile 2017 la Guardia di finanza della Capitale viene incaricata di analizzare un altro fascicolo a modello 45 arrivato due giorni prima da Torino con dentro il file in cui si parla di Roberto Pignatone, ma anche delle vicende legate all’Eni. Da allora, sino a quando non lo ha scoperto La Verità, alla compagnia petrolifera non ne hanno avuto contezza. Infatti solo dopo i nostri articoli l’ufficio legale dell’Eni ha chiesto e ottenuto, nel luglio del 2021, dalla Procura di Roma il video. Eppure si trattava di un filmato decisivo per le difese in quanto, secondo l’Eni, «certificava» quanto era già emerso in quello del 28 luglio, ovvero che «Amara e Armanna agissero per propri interessi economici personali unitamente ad altri ex dirigenti infedeli di Eni» e che i due non avevano ricevuto «mandati occulti» dall’Eni per incastrare chicchessia.
Nel luglio scorso vi abbiamo raccontato che di quelle conversazioni in questi anni sono comparse ben tre diverse versioni e che in quella più completa, stilata dai carabinieri di Torino, il nome di Roberto Pignatone non è trascritto, in quanto ritenuto «incomprensibile» dai militari, sebbene ad ascolti successivi sia risultato di immediata comprensione.
Le Fiamme gialle fanno prima e, nella loro versione, tagliano del tutto quella parte di dialogo.
L’identità del noto tributarista palermitano viene svelata in una trascrizione senza firma, né data allegata a una relazione inviata da Ielo a Perugia il 29 luglio 2019 in un procedimento contro il pm Stefano Fava.
Come è emerso solo recentemente grazie alla Verità, Roberto Pignatone a ottobre del 2014 e a gennaio del 2016 ha firmato due contratti di consulenza e assistenza legale da 60.000 euro ciascuno più Iva e spese con la Sti di Bigotti, che quindi retribuiva il professore già ai tempi del video, ma anche quando, per dirla con le parole di Giuseppe Pignatone, Amara e Bigotti «divennero oggetto di indagini» della stessa Procura, ovvero nella seconda metà del 2016.
Il 18 dicembre 2014 negli uffici della Sti si parla dell’inchiesta Mafia capitale e di un fantomatico nuovo filone. Amara sostiene che «D’Alema e Veltroni» siano «l’obiettivo finale di questa indagine». E chi è la sua fonte? Il faccendiere lo svela a Bigotti: «Notizie dirette del tuo consulente che sta male, chiamalo». Uno degli interlocutori chiede di chi stiano parlando e Amara precisa: «Il professor Pignatone è consulente […] del presidente Ezio Bigotti… di tutte le società di Exitone, lavora molto con il mio studio, lui è professore di diritto tributario a Palermo». Bigotti aggiunge: «Una persona splendida». Amara gli fa eco: «Meravigliosa, meravigliosa».
Anche questo filmato è stato inserito in un fascicolo «atti non costituenti notizia di reato» assegnato dall’allora procuratore Pignatone a Ielo, il quale lo ha assegnato successivamente al pm Mario Palazzi che, a fine 2020, lo ha archiviato, senza passare dal Gip. A fare emergere l’esistenza di quel video scomodo è stato un nostro scoop.
In conclusione, dal 2014, i due filmati favorevoli all’Eni hanno viaggiato come fiumi carsici per emergere in modo casuale il primo nel luglio del 2019 e il secondo nel luglio del 2021. A dimostrazione che anche le vie della giustizia sono infinite e imperscrutabili.