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Quei centri islamici che non rispettano le norme

Quei centri islamici che non rispettano le norme

In Lombardia il 90% dei circa 200 spazi di preghiera musulmani sono fuori norma: garage, sottoscala, scantinati. Moschee fai-da-te dov’è impossibile il controllo, che sono state utilizzate anche per attirare i giovani verso la Jihad.


Sono più di 200 i centri islamici in Lombardia, secondo i dati del Viminale. È la maggiore concentrazione regionale in Italia. «Ma nel 90% dei casi i luoghi di preghiera musulmani sono centri culturali “mascherati”, dove si pratica il culto islamico senza rispettare le norme. Un problema che non riguarda solo questa regione» afferma Pietro Foroni, assessore regionale leghista al Territorio e Protezione civile. Dal 2016 la Lombardia ha chiesto più volte ai 1.507 comuni lombardi un censimento dei centri islamici sul territorio.

A oggi hanno risposto 875 amministrazioni, poco più della metà, e non è arrivato nulla da grandi città come Milano e Brescia. E le «segnalazioni» sono 85, sugli oltre 200 spazi stimati. «Ho scritto due volte ai comuni, ma non tutti rispondono» dice Foroni a Panorama. «E non lo fanno perché emergerebbe una realtà di abusi, ovvero di luoghi di preghiera in situazioni che non sono a norma per il culto religioso».

A livello nazionale gli ultimi dati del Viminale del 2019 registrano 1.382 associazioni islamiche e 1.068 vengono utilizzate come se fossero una moschea. Nel nostro Paese, però, le vere moschee ufficiali con cupola e minareto sono solo cinque a Roma, Segrate, Ravenna, Colle Val D’Elsa (Siena) e Forlì. La maggioranza dei centri islamici, 840, si trova al Nord, altri 262 sono al Centro e 279 al Sud. Sul totale delle associazioni, 44 sono di origine salafita, «le più intransigenti e radicali su cui c’è un attento monitoraggio» continua Foroni. Le comunità islamiche in assenza di un riconoscimento normativo come luoghi di culto spesso operano in capannoni con funzioni commerciali, negozi, garage, appartamenti, sottoscala, scantinati, palestre… Spazi che talvolta non sono idonei a ospitare un ampio numero di persone. Non mancano i problemi con i condomini e la cittadinanza per il rumore, il traffico e i parcheggi.

«È indubbio che molti centri islamici siano “borderline”. Bisogna rispettare un principio normativo uguale per tutti evitando però rigide forme di chiusura» sottolinea Massimo AbdAllah Cozzolino, segretario generale della Confederazione islamica italiana. «Da una parte non bisogna abusare o sovvertire principi urbanistici e consentire che sorgano centri come funghi, ma nel contesto delle regole si deve poter pregare con gli opportuni cambi di destinazione d’uso dei locali» osserva il convertito italiano. «La famosa legge lombarda anti-moschee ha portato le associazioni islamiche a trovare strade legali per far valere i propri diritti riguardanti la libertà di culto».

A Milano sono stati regolarizzati quattro centri di preghiera in via Padova, la «moschea» di via Gonin in zona Lorenteggio/Giambellino, il centro di via Quaranta e di via Maderna. «Però sono una dozzina i luoghi di culto illegali ricavati in edifici che non dispongono dei requisiti. E vogliono edificare tre nuove moschee in via Esterle, via Novara e via Marignano» denuncia Riccardo De Corato, assessore regionale alla Sicurezza, Immigrazione e Polizia locale di Fratelli d’Italia. Una delle moschee abusive – che ha un lungo braccio di ferro con l’amministrazione – è quella dell’Associazione culturale Al Nur di via Carissimi. Fuori da questo centro islamico in mano ai bengalesi, il convertito italiano Nicola Ferrara nonché adepto della Guerra santa arrestato nel luglio scorso, faceva proselitismo per la Jihad tra i minorenni.

«Il continuo emergere di centri islamici, molti dei quali irregolari, che vengono poi usati come luoghi di preghiera e in diversi casi per propaganda ideologico-politica di stampo islamista, è un serio problema per la sicurezza e l’ordine pubblico. Diversi predicatori radicali e soggetti pericolosi vicini al jihadismo sono transitati per questi posti» dichiara a Panorama Giovanni Giacalone, analista del centro studi britannico Itct sul terrorismo islamico.

Fra le 85 segnalazioni della mappa lombarda dei centri islamici non mancano Cremona e il comune di Motta Baluffi. Nell’aprile dello scorso anno è stato espulso «per motivi di sicurezza nazionale» l’imam kosovaro Naser Baftija, che era stato attivo nel centro islamico cremonese La Speranza, oltre che a Mantova e in altri luoghi di culto nel Bolognese.

In Emilia Romagna ci sarebbero 176 centri islamici, tra cui 48 a Bologna e provincia. Baftija risiedeva in Italia grazie a un permesso di protezione umanitaria; presso l’Associazione kosovara di Motta Baluffi aveva tenuto sermoni pure Bilal Bosnic, referente dell’Isis, che oggi sconta in Bosnia una condanna di sette anni per terrorismo.

Non ha a che fare con il terrorismo, ma un’altra segnalazione della mappa regionale riguarda il centro islamico di Cologno Monzese, dove l’imam, che parla rigorosamente in arabo, si fa riprendere in ripetuti video con occhiali scuri e tunica musulmana. Da Cologno erano partiti per combattere contro il regime di Damasco almeno tre volontari siriani.

A Legnano, la locale associazione islamica raggruppa sempre più fedeli arrivando a 1.500 persone per la cerimonia della fine del Ramadan, il mese sacro di digiuno. A Castano Primo, in provincia di Milano, l’Associazione culturale Madni di impronta pachistana insegna l’urdu ai più giovani. Il 7 dicembre scorso ha postato con orgoglio sulla sua pagina Facebook la sentenza della Corte costituzionale, che accusava le norme lombarde di avere «limitato irragionevolmente la libertà di culto». È stato proprio un ricorso dell’associazione pachistana ad aver portato a questa sentenza.

A Saronno, il Centro culturale islamico «è uno dei complessi più importanti e meglio organizzati del Nord Italia». A Gallarate non si ferma il «duello» fra il Centro islamico di via Pacinotti e il sindaco leghista Andrea Cassani su permessi e preghiere. A Giussano, ha sollevato polemiche l’assembramento di un centinaio di musulmani in tunica tradizionale per la festa islamica del Sacrificio, lo scorso luglio, senza il distanziamento anti-Covid. Ad Airuno, in provincia di Lecco, l’Associazione culturale Ahlachia cercava una nuova sede. L’assessore comunale Claudio Rossi ha dichiarato: «Non siamo contrari a priori, purché non diventi uno spazio riservato alla preghiera mascherato da centro culturale».

In provincia di Brescia la mappa regionale conta 24 centri islamici, di fatto luoghi di culto. Secondo uno studio di Michele Groppi, docente associato all’Accademia della difesa del Regno Unito, «sebbene a Roma e Milano risieda un numero maggiore di cittadini islamici in rapporto al numero dei propri abitanti, è Brescia la realtà più musulmana d’Italia»: 70.000 persone da 30 Paesi diversi, il 6% della popolazione. Il 21 settembre, il locale Centro culturale di via Corsica aderiva alla Giornata europea contro l’islamofobia, sostenendo che l’Italia è ai primi posti della classifica come «parole d’odio» nei confronti dei musulmani.

Groppi, che studia sul territorio le «sacche» musulmane d’Italia spiega a Panorama che «i miei dati non comprendono gli irregolari, che pure frequentano i luoghi di culto. Un centro islamico di Verona che tradizionalmente era a prevalenza maghrebina si è trasformato quest’anno con una maggioranza di africani da Niger, Mali e Gambia, quasi tutti migranti arrivati da poco».

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