“Ballo, canto e faccio quello che mi pare!”
Con questo scatto di gioia irriverente, Raffaella Carrà ha insegnato a un’intera nazione che la televisione può trasformarsi in una festa collettiva, un palcoscenico di libertà capace di illuminare anche le stanze più buie. Celebrare la sua figura significa ricordare non soltanto la straordinaria artista, ma anche l’icona di stile e modernità che ha rivoluzionato il costume della nostra epoca.
Nata a Bologna il 18 giugno 1943, Raffaella Maria Roberta Pelloni approda giovanissima al mondo dello spettacolo: bambina prodigio, fra tournée teatrali e prime comparsate cinematografiche, intuisce presto che il suo talento più grande risiede nel trasmettere emozioni, nel far vibrare uno schermo. Ma sarà negli Studi Rai di Via Teulada che, nel 1965, la vera Raffaella prende forma. Con la sua voce squillante e quei movimenti pronti a conquistare il cuore degli italiani, esordisce in programmi modestissimi di varietà e, in men che non si dica, fa impazzire il pubblico con il suo sorriso contagioso.
La musica colonna sonora di generazioni
Non erano solo tormentoni, i suoi brani erano e sono dichiarazioni di indipendenza in musica. Con il Tuca Tuca, scritto da Gianni Boncompagni e Franco Bracardi, Raffaella Carrà trasformò un semplice passo di danza in un gesto politico, tra ironia e provocazione. Andato in onda per la prima volta nel 1971, il balletto fece scandalo per quel contatto leggero ma diretto tra corpi – allora considerato “troppo audace” – ma fu proprio quella sua sfacciata naturalezza a conquistare il pubblico. Da Tanti Auguri (“com’è bello far l’amore da Trieste in giù”) a A far l’amore comincia tu, passando per Pedro e Rumore, le sue canzoni avevano tutte la stessa cifra: un mix esplosivo di ritmo, sensualità giocosa e messaggi in codice che liberavano, senza prediche, la voglia di essere sé stessi. Non cantava per scandalizzare, ma per smontare con il sorriso i tabù di un’Italia che si affacciava timidamente alla modernità. Ed è proprio con la musica che Raffaella ha scolpito la sua libertà: orecchiabile, ballabile, indimenticabile.
Icona televisiva
Negli anni Settanta, il fenomeno Carrà esplode: da “Canzonissima” a “Formula Due”, i suoi show disegnano un nuovo linguaggio televisivo. La regia diventa danza, le quinte si aprono a giochi di luce e colore, la platea non resta più statica ma si anima, partecipa, diventa co-protagonista dello spettacolo. Il famigerato “Tuca Tuca” non è semplicemente un ballo: è una scintilla di trasgressione in un’Italia di mezzi toni. Quel gesto – all’apparenza ingenuo, ma carico di elettricità – scuote le regole del pudore e restituisce al corpo il diritto di esprimersi, di divertirsi, di godere di sé senza colpe.
Maestra di stile
È però nella moda che Raffaella innalza il suo trono di stile. Platino in testa e labbra rosso fuoco, le sue scelte cromatiche diventano un marchio di fabbrica. Dai minidress strassati ai giubbotti borchiati, dai caftani etnici ai completi tuta in jersey lurex, ogni look è studiato per esaltare il ritmo e la sensualità del corpo in movimento. Collaborazioni con i migliori costumisti dell’epoca – da Beppe Modenese a Corrado Colabucci – trasformano il suo armadio in un laboratorio di sperimentazione continua. E quando, negli anni Ottanta, sfila in passerella per celebri maison spagnole, conferma la poliedricità del suo fascino internazionale.
A Milano come a Madrid, le vetrine dei negozi riflettono il suo volto: la frangia perfettamente pettinata, i pantaloncini corti abbinati a stivali alti, gli orecchini pendenti che danzano ad ogni suo cenno. Giovani stilisti la citano come musa ispiratrice, mentre le riviste di moda dedicano servizi fotografici interamente dedicati ai suoi outfit, studiandone dettagli e accostamenti. Carrà non crea solo abiti: costruisce un immaginario collettivo, suggerisce codici di seduzione ironica e moderna, invita le donne a rivendicare la propria femminilità come un gioco di potere e libertà.
Voce del popolo
Nel decennio successivo, Raffaella non si limita a portare la moda in televisione, ma sfrutta il mezzo per veicolare un messaggio sociale. Parla di diritti, di uguaglianza, di rispetto: lo fa con leggerezza, con semplicità, con quel sorriso che sdrammatizza ogni tensione. In un’epoca in cui la comunicazione su temi scottanti era ancora ancorata a retoriche istituzionali, lei toglie la maschera dell’austerità e invita il pubblico a confrontarsi attraverso il ritmo e la danza, restituendo al varietà la sua funzione originaria di specchio ironico e provocatorio della società.
All’apice della carriera, negli anni Novanta, la vediamo esplorare nuovi orizzonti: programmi in Spagna e in America Latina, dove la sua voce si fa bilingue e la sua figura assume contorni quasi mitologici. Dalla Plaza de Toros di Madrid alle reti televisive di Buenos Aires, l’onda Carrà travolge pubblico e critica, esportando un modello di intrattenimento che fonde dolcezza mediterranea e pragmatismo d’avanguardia.
Anche dopo il suo ultimo saluto nel luglio 2021, l’eredità di Raffaella resta più viva che mai. Le università italiane analizzano i suoi show nei corsi di comunicazione; i giovani di ogni angolo del pianeta si esercitano su TikTok polka e passi iconici; DJ e producer sampleggiano le sue voci per remix inediti. E ogni volta che parte un suo brano, i club si trasformano in un omaggio festoso, un ritrovo generazionale in cui passato e futuro si intrecciano in un unico, travolgente ballo.
Ancora oggi, indossiamo idealmente uno dei suoi body luccicanti e ci lasciamo trascinare dal ritmo: non perché vogliamo imitare un mito, ma perché, seguendo lei, la Raffa Nazionale, impariamo che l’arte più rivoluzionaria è la gioia condivisa. Raffaella Carrà non è stata solo una stella della televisione: è stata una costellazione intera. E continua a brillare, ogni volta che qualcuno “osa fare quello che gli pare”.












