L’attrice sarà al cinema con Asteroid City, destinato a diventare l’ennesimo cult movie di Wes Anderson, con un cast stellare (Tom Hanks e Scarlett Johansson). Ma presto la vedremo anche in altri titoli top, come il film Maestro con Bradley Cooper e la serie dei record Stranger Things, dove torna per l’ultima stagione. A Panorama racconta com’è cresciuta tra un set e l’altro con papà Ethan Hawke (L’attimo fuggente, Prima dell’Alba) e la madre Uma Thurman (Kill Bill, Pulp Fiction). E ricorda: «Pensare che mi mettevano in guardia sul fare questo lavoro».
Non è mai facile per i figli d’arte affrancarsi dal cono d’ombra di un padre o una madre famosi mentre ne seguono le orme. Pensate allora alle difficoltà affrontate da Maya Hawke, 24 anni, chiamata a sfidare al contempo il fascino intellettuale di suo padre Ethan, protagonista di cult come L’attimo fuggente, Prima dell’alba e Training Day, e la bellezza glaciale, l’eleganza e il carisma di sua madre Uma Thurman, indimenticabile in film come Le relazioni pericolose, Pulp Fiction e Kill Bill. Eppure questa ragazza dagli occhi grandi e luminosi e dal viso punteggiato di efelidi, piano piano sta riuscendo a far parlare di sé, grazie a una serie impressionante di progetti: interpreta la figlia di Leonard Bernstein in Maestro (film in concorso alla mostra del cinema di Venezia) di Bradley Cooper, che ne è anche protagonista, poi tornerà nel ruolo di Robin Buckley per l’ultima stagione di Stranger Things e infine reciterà nel film Wildcat del padre Ethan Hakwe, nel ruolo della scrittrice Flannery O’Connor. La prima occasione di vederla all’opera però è il prossimo 14 settembre nel corale Asteroid City di Wes Anderson, dove è una maestra che porta una scolaresca nella cittadina sperduta del titolo, per l’assegnazione di un premio scientifico, e in cui recita al fianco di star come Tom Hanks, Scarlett Johansson e molte altre ancora. «La cosa incredibile», racconta a Panorama l’attrice, «è che, nonostante nel film ci siano attori i cui nomi e le carriere potrebbero intimidire chiunque, Wes crea un’atmosfera a metà tra una scampagnata di famiglia e una compagnia teatrale in tournée, e pretende che ogni giorno finite le riprese tutti familiarizzino con tutti, non solo a pranzo o a cena, ma persino con attività creative come cantare insieme. Io ho cercato di unirmi a loro con la mia chitarra e la mia voce (Hawke ha pubblicato due album da solista, Blush nel 2020 e Moss nel 2022, ndr).
Come si è immedesimata nel personaggio di June?
Ho pensato ai miei insegnanti di quando ero piccola ma, non avendo molta interazione, con i ragazzini sul set mi sono sentita quasi una sorella più grande o una baby sitter per loro, più che una maestra di vita.
Com’è lavorare con Anderson? I suoi film sono così esteticamente perfetti e i suoi dialoghi così ricchi e ritmati… chiede grande precisione nella recitazione?
La mia preparazione è diversa per ogni progetto. E mi è capitato di recente un film in cui avevo lunghi monologhi ed ero talmente preoccupata di non ricordare le battute alla perfezione che le ho imparate come fossero parole di una canzone. Ma questo non è stato il caso di Asteroid City. Wes ama gli attori e desidera che brillino di luce propria al punto che lascia molto spazio per l’improvvisazione, se necessaria per la scena, cosa che non ci si aspetterebbe da lui. Per esempio nel film ho una scena di ballo e sono negata a danzare, così gli ho chiesto se potevo prendere lezioni. Mi ha detto: non preoccuparti, faremo delle prove. In realtà non abbiamo fatto nessuna prova e abbiamo improvvisato. Ho capito che voleva far apparire June un po’ a disagio e gli piaceva come mi muovevo, anche se i miei passi non erano perfetti ma un po’ goffi.
I suoi genitori sono due veterani dello spettacolo. Le hanno dato consigli circa la parte mondana di questo mestiere?
Per lo più i miei genitori mi hanno tenuto al riparo dall’attenzione della gente. Non mi hanno mai portato sui «red carpet» e infatti non ero consapevole che sfilare davanti al pubblico facesse parte della loro vita. Invece sono stata spesso presente sui set e ho assistito alla parte creativa del loro lavoro, anche se in realtà la maggior parte del tempo lo abbiamo condiviso a casa. Che per me per molto tempo è stata un rifugio.
Perché?
Forse perché fin da piccolissima ho viaggiato molto con i miei, trascinata ai quattro angoli del pianeta. Mi ricordo ancora che quando ho compiuto quattro anni ero in Cina. Naturalmente era fantastico visitare tanti posti, ma forse per reazione ogni volta non vedevo l’ora di tornare a casa a New York, nella mia cameretta, che era come il mio nido e dove avevo tantissime collezioni, come se volessi portare tutto il mondo lì dentro. Avevo insetti, animali di vetro, dipinti di tanti luoghi diversi. Quando poi sono cresciuta e ho iniziato a sentire l’esigenza di uscire e vedere cosa c’era là fuori ho iniziato esplorando Central Park.
Ma i suoi l’hanno incoraggiata o scoraggiata a diventare attrice?
Hanno sempre desiderato che prima andassi a scuola e che poi facessi una scelta consapevole su quel che desideravo fare della mia esistenza. E quando a un certo punto ho deciso di recitare mi hanno sostenuto in ogni modo. Senza dimenticarsi però di mettermi in guardia.
Da che cosa?
L’industria del cinema da fuori può apparire così glamour con i party, il tappeto rosso, i grandi festival internazionali, le paillette. Ma non è tutto oro ciò che luccica. La strada di un attore è lastricata di cadute, rifiuti, momenti di insicurezza tremendi. Per cui per percorrerla bisogna essere consapevoli di voler affrontare anche momenti in cui non trovi uno straccio di ruolo e resti disoccupato. È accaduto anche a me di provare quel senso di solitudine che questo business a tratti può comunicarti. Per esempio durante l’adolescenza mi vedevo circondata da persone bellissime e mi chiedevo: sarò mai in grado di essere alla loro altezza? Volevo essere Kate Moss, ma di lei ce n’è solo una.
Con chi le piacerebbe lavorare?
Con autori bravi che scrivono copioni eccellenti. Registi come Wes Anderson o Quentin Tarantino. Vederlo lavorare, anche se solo per una settimana, sul set di C’era una volta a Hollywood (Maya aveva una piccola parte, ndr) è uno di quei privilegi che ho avuto e che spero capiti di nuovo.