400 libri a quattro scuole di Genova

Ecco le lettere degli studenti che hanno vinto il concorso di Panorama d'Italia "100 libri per la scuola"

L'iniziativa “100 libri per una scuola” promossa da Panoramad'Italia riparte da Genova. Molteplici e di qualità sono state le mail pervenute dalle scuole superiori della città i cui studenti delle quarte e quinte classi hanno risposto alla domanda: "Qual è il tuo libro preferito e perchè vorresti lasciarlo in eredità alla tua scuola?".

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Il progetto di Panorama d'Italia volto ad avvicinare i giovani al mondo della lettura, nella città ligure ha premiato con 400 libri quattro studenti di quattro Istituti. Di seguito, i testi dei vincitori che ricevono i libri e un attestato di riconoscimento dal direttore di Panorama Giorgio Mulè.

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Silvia Santoro
Classe VB - Istituto superiore Italo Calvino di Genova-Sestri Ponente
“Prima di riuscire a condividere il proprio mondo con qualcun altro dobbiamo conoscere noi stessi.” Per quanto mi riguarda in questa frase è racchiuso il concetto principale del libro di Coelho “L’Alchimista”. Ed è proprio la necessità di conoscere sè stesso, di seguire i propri sogni, che spinge il giovane protagonista, Santiago, ad intraprendere un viaggio che non riguarda solo lo spazio percorso fisicamente, ma anche quello nella sua interiorità, alla scoperta del suo io più nascosto.

Santiago impara che non è il traguardo ciò che conta, ma le esperienze vissute lungo la strada per raggiungerlo. Il tema fondamentale di questo romanzo è la ricerca della felicità ad ogni costo attraverso peripezie e molteplici esperienze di vita che portano alla realizzazione personale.

 Il giovane Santiago, spinto dal desiderio di seguire un suo sogno ricorrente, decide di abbandonare la vita da pastore per iniziare un’avventura che lo vede superare una serie di difficoltà sia fisiche sia economiche per raggiungere il proprio scopo. Alla fine scopre che tutto ciò di cui ha sempre avuto bisogno era a due passi dalla città da cui tutto è cominciato, ma non lo avrebbe mai trovato se non avesse intrapreso l’intero percorso.

L’intero libro rappresenta un’allegoria della crescita di ciascuno di noi; il viaggio, i problemi, gli amori perduti, non sono altro che la metafora della vita con tutte le difficoltà che devono essere affrontate per raggiungere la consapevolezza interiore e la maturità.

Il romanzo ci insegna a riflettere sull’essenza della vita stessa e sulla possibilità che la chiave per il raggiungimento della felicità sia dentro di noi e il percorso per trovarla sia nella nostra coscienza. In altre parole, è inutile viaggiare per tutto il mondo alla ricerca di un posto in cui ci si può sentire in pace, se prima questa non si trova all’interno della nostra anima.

Secondo il romanzo il segreto per poter essere felici sta nell’inseguire i propri sogni, poiché in questi risiede il nostro subconscio che ci mostra i nostri desideri più profondi, che a mente sveglia non si manifestano. Personalmente ho trovato questo libro molto illuminante perché mi ha portato a riflettere sul senso della vita rapportato nello specifico all’adolescenza, periodo in cui si forma la propria personalità, il carattere e ci si rafforza in modo tale da prepararsi ad intraprendere quel viaggio interiore che Coelho descrive così intensamente nelle pagine del suo racconto. 

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Alessia Podeschi
Classe VF - Istituto Istruzione superiore Eugenio Montale
Il romanzo “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di Alessandro D’Avenia, è ambientato nei giorni nostri e la storia si svolge durante l’anno scolastico, per concludersi all’inizio di quello successivo. Questo titolo è stato scelto perché il bianco è l’assenza, tutto ciò che nella vita del protagonista riguarda la privazione e la perdita, il rosso invece è il colore dell’amore, della passione, del sangue; rosso è il colore dei capelli di Beatrice.

Ottima l’identificazione dello scrittore con gli adolescenti, da cui deriva una scrittura scorrevole, semplice ma diretta. Il modo di esprimersi di chi racconta la storia è tipico di un ragazzo di sedici anni, travolgente, ironico, irrispettoso verso gli adulti ma allo stesso tempo curioso e profondo come solo una giovane mente sa essere. I periodi sono brevi ma intensi con espressioni dure, a volte parolacce, e i pensieri sono quelli di un adolescente: amici, motorino, ragazze. A volte nel monologo s’insinuano, come ricordi che sorgono dal nulla, i consigli dei genitori o degli insegnanti, come se ci fosse una vocina che ogni tanto fa capolino. Chi racconta la storia è Leo.

Durante questo lungo monologo questo ragazzo ci spiega, col modo di esprimersi degli adolescenti, ora ironico, ora scanzonato, cosa succede nella vita di un giovane quando entrano il dolore e la sofferenza e neppure gli adulti hanno una spiegazione per la morte di una ragazza che doveva ancora iniziare a vivere. Il nuovo professore supplente di storia e filosofia è diverso dagli altri: una luce gli brilla negli occhi quando spiega, quando sprona gli studenti a vivere intensamente, a cercare il proprio sogno; insegna ai suoi allievi che gli uomini non sono come gli animali, sono liberi, possono scegliere, possono sognare e realizzare i loro desideri. E anche se durante il cammino si prendono delle bastonate non bisogna avere paura di sognare. Perché la storia è stata realizzata proprio da uomini che non hanno avuto paura di realizzare i loro progetti ma che hanno osato.

I sogni però si rivelano a poco a poco, spesso in maniera diversa da come li avevamo progettati. L’importante è continuare a crederci, senza sprecare tempo inutilmente ma perseguendo i propri obiettivi. Ho letto volentieri questo libro in primo luogo perché affronta un tema delicato, come una grave malattia che spezza una giovane vita, in maniera piacevole, servendosi di una scrittura semplice e scorrevole, e immergendosi nella realtà di oggi. Ma la cosa che colpisce maggiormente di questo libro è che non si ferma nel momento in cui Beatrice muore ma va avanti, come la vita. Perché la vita è così preziosa da non doverne sprecare neppure un istante.

Anche quando soffriamo per una perdita dobbiamo continuare a vivere. Perché solo così facendo anche la persona che non c’è più continuerà a vivere attraverso di noi. Un altro aspetto che ho apprezzato molto è il consiglio dato ai giovani di lottare, di credere nei propri sogni e portarli avanti, senza farsi frenare dalle paure e dai timori. Perché solo chi osa vince, sia nella vita sia nell’amore.

Perché la vita non è mai banale e non va sprecata perché alla fine ci riserva sempre delle sorprese, a volte belle, altre volte un po’ meno. Vorrei lasciare alla scuola questo libro perché anche gli altri studenti possano capire grazie a questo romanzo che nella vita non c’è nulla di semplice, bisogna lottare per avere quello che si vuole ma che siamo liberi, possiamo sognare e realizzare i nostri sogni credendoci realmente e lottando per raggiungerli e che non bisogna arrendersi mai, neppure di fronte alle difficoltà, piccole o grandi che esse siano. ”Perché la vita è così preziosa da non doverne sprecare neppure un istante” .

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Sarah Picabo Latta
Classe VF - Liceo scientifico Enrico Fermi di Genova
“Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà” è il libro che Luis Sepulveda ha scritto per sdebitarsi con il suo popolo d’origine, i Mapuche, cioè “Gente della Terra”, e in particolare con i suoi parenti nel sud del Cile che erano soliti raccontargli storie nella loro lingua, il mapudungun. Questo racconto narra della vita di un cane, Aufman (che significa leale e fedele) e del suo rapporto con la natura e con gli uomini. E’ proprio il pastore tedesco a narrare in primis un battuta di caccia alla ricerca di un indio fuggitivo, intervallata da ricordi del suo passato. Aufman è appena un cucciolo di pastore tedesco quando, smarrito, si ritrova a vivere nelle ruka, le case mapuche, in mezzo alla Gente della Terra.

Qui diventa da subito parte integrante della comunità e in particolare “fratello” del coetaneo cucciolo di uomo Aukaman. I due crescono insieme felici, imparando dal nonno del bambino e vecchio saggio dei mapuche l’importanza della gratitudine nei confronti della natura. Le loro strade si separano quando invadono il loro territorio degli stranieri, che con grandi e terrificanti macchine scacciano la Gente della Terra e si impadroniscono anche del cane. Questi uomini non hanno alcun rispetto per la natura e Aufman perde la sua libertà cominciando una vita in cattività e sofferenza. Il destino e la natura vogliono che sia proprio durante la caccia che Aufman riscopra l’odore di farina, di latte e di miele, di tutto quello che ha perduto, e che riesca a ritrovarlo.

Il racconto tratta del rapporto con la natura, tema caro all’autore, e la descrive con particolare sensibilità. Ma il rispetto e la gratitudine che bisognerebbe riservare alla natura ormai si sono persi e vengono superati dalla volontà umana di prevalere su di essa.

Mi piacerebbe che questo libro facesse parte della biblioteca nel mio liceo perchè la storia è semplice, ma nonostante ciò non mancano spunti morali; scritta con un linguaggio chiaro, è ricca di termini in mapudungun, lingua dei Mapuche, popolo sud-cileno conosciuto pochissimo in Europa. Questi termini specifici in lingua danno un tocco di intimità al racconto, essendo parte della storia personale dell’autore, e lo arricchiscono.

La grande attenzione al sentimento della gratitudine, allo stile di vita mapuche, mi ha colpito molto, così come il costante tema del ricordo dei sapori del passato attraverso semplici elementi della natura, come per esempio un soffio di vento.

E’ palpabile la volontà dell’autore di descrivere al meglio la Gente della Terra, nella loro unicità e nel loro modo di essere, persino facendo esprimere queste loro caratteristiche attraverso i comportamenti di un cane... Straordinario.

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Eugenia Leoni
Classe 5A - Liceo scientifico Luigi Lanfranconi
“1984” di George Orwell non è stata una scelta che mi è stata imposta da un professore oppure dai miei genitori, perché diventasse un libro determinante per la mia formazione culturale . È stata una mia esigenza personale, il frutto di un impulso interiore che spingeva già da tempo. Così un giorno l’ho comprato e nell’arco di una settimana l’ho letto, tutto d’un fiato.

Credo sia stato il libro migliore che io abbia mai letto e mi farebbe piacere che ne fossero conservate una o più copie nella biblioteca della mia scuola. Perché desidero che ogni studente che attraverserà questi corridoi dopo di me possa avere la stessa opportunità per aprire gli occhi e la mente su una realtà che non sempre è come ci viene proposta.

Ritengo che sia un libro di fondamentale importanza perché in una società come quella odierna è più che necessario un risveglio delle coscienze, un maggiore interesse ai fatti di attualità e soprattutto un pensiero critico rispetto alle notizie che ogni giorno vengono trasmesse dai mass media.

George Orwell aveva scritto questo capolavoro nel 1948, e per il titolo aveva invertito le ultime due cifre dell’anno di pubblicazione, catapultando così l’intera vicenda in un’epoca futura.

Il panorama è quello di un mondo dominato dal Grande Fratello, che osserva gli individui in ogni singolo momento della loro quotidianità, e non solo, perché li manipola nei loro pensieri e nelle loro opinioni.

È esattamente quello che sta accadendo oggi: viviamo in una società dove siamo costantemente controllati, manipolati, mantenuti in uno stato di paura costante attraverso guerre fittizie dove non si capisce chi sia il nemico e chi sia invece il presunto difensore, per ottenere il nostro silenzioso consenso ad ogni azione che viene intrapresa.

Leggere questo libro mi ha reso consapevole dell’esistenza di tutto ciò che mi era celato, mi ha posto davanti ad un’altra prospettiva della realtà, che mi ha spinto ad interrogarmi su dove sia la verità e dove sia la menzogna. Mi ha dato il coraggio e la forza di esprimere la mia opinione senza avere più timore delle critiche altrui. Mi ha spinto a non restare nel mutismo consenziente della massa, legittimando in questo modo azioni e provvedimenti disumani e disonesti,  perché tacere significa essere complici, essere colpevoli.

Quello che desidero è che ogni studente non rimanga racchiuso in quell’alone di disinteresse nei confronti del mondo in cui vive, che si preoccupi di cambiare la società e renderla migliore, che abbia il coraggio di non soggiacere alla volontà di chi ha più possibilità di parlare.

Spero vivamente che il mio messaggio non rimanga inosservato, e soprattutto che i miei coetanei non siano così sciocchi e ciechi da non farsi un’opinione e da vendere il loro appoggio ai peggiori offerenti. 


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Silvia Morara
Premizione 100 libri per una scuola: Silvia Santoro, classe VBII dell'Istituto  superiore “Italo Calvino” di Genova-Sestri Ponente e Alessia Podeschi (VF) dell'Istituto Istruzione superiore Eugenio Montale con il direttore di Panorama Giorgio Mulè

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