Carlo Verdone
ANSA/CLAUDIO ONORATI
Panorama D'Italia

Lettera aperta di Carlo Verdone alla sua Roma

L'attore alla sua città: "Ti sei presentata a me in diverse forme, abbattendo ogni logicità spazio-temporale: giovane e seducente, austera e impassibile, esuberante e spensierata, feroce e volgare"

Devo ammetterlo, ogni volta che penso a te o parlo di te provo diverse sensazioni. Mi sento confuso come se avessi vissuto tante vite... fedifrago come se avessi amato tante donne... vittima di un oscuro complotto tramato dal tempo contro la mia memoria. ammetterlo, ogni volta che pensoa teo parlo di te provo diverse sensazioni. Mi sento confuso come se avessi vissuto tante vite... fedifrago come se avessi amato tante donne... vittima di un oscuro complotto tramato dal tempo contro la mia memoria.

Ti ho sempre visto con trucchie colori diversi, ti ho ascoltato attraverso mille suoni, ti ho respirato in tutte le tue fragranze. Ti sei presentata a me in diverse forme, abbattendo ogni logicità spazio-temporale: giovane e seducente, austera e impassibile, esuberantee spensierata, ferocee volgare, anzianae amorevole, sfregiata e sofferente, spudorata e anche un po' mignotta.

Sei stata la magia di un ragazzino di sei anni che, insieme al fratellino, amava portare cibo ai gatti randagi. Ma non quelli stanziali nelle vicinanze di casa, bensì quelli che si aggiravano nella magnificenza dei Fori Imperiali. E chi se ne fregava di sapere che quelle rovine erano i resti della tua antica civiltà, l'importante era sfamare il simpatico gatto ciccione o il suo povero compagno spelacchiato e senza un occhio. Riuscivo però, irrazionalmente, a rilevare le differenze dei tuoi stili architettonici: da un lato spuntava il classico romano, dall'altro il barocco, da un altro ancora il fascista. Ogni volta che mi soffermavo dinanzi al teatro di Marcello percepivo il tuo passato grandioso che avrei poi studiato a scuola.

Eri il suono festoso del mio Gianicolo in estate, quello delle cicale, dell'acqua che sgorgava fresca dalle fontanelle, dei campanellini che tintinnavano sui collari degli asinelli che sostenevano affaticati il peso di noi bambini. Il luogo dove correre liberamente a perdifiato, fino a crollare stanchi sui gradini ai piedi della grandissima statua di un signorea cavallo, un eroe che guardava impavido verso l'orizzonte. L'orizzonte del cielo dove sciami di storni disegnavano stupefacenti figure in autunno. E infilare la monetina dentro il cannocchiale vicino alla balaustra panoramica, nella speranza di beccare uno dei miei fuori dal terrazzino della mia casa a Lungotevere dei Vallati. Cosa che ogni tanto capitava, con un po' di fortuna e perizia di puntamento.

Non puoi immaginare quanto mi mancano i tuoi rumori, quando ancora non erano frastuono. Per esempio quelli dei tram. La Circolare nera, antiquata e stridente, diretta verso piazzale Flaminio, Porta Pia, piazza Cavour, e la Circolare rossa, più moderna (che ho sempre paragonato a un trenino Märklin), che portava alle Belle Arti, Villa Borghese, via Ottaviano. E poi le chiese che circondavano casa mia: Santa Maria in Monticelli, San Carlo ai Catinari, Sant'Andrea della Valle, San Salvatore in Onda. Il momento dei vespri era un susseguirsi di campane, cominciava una e poi si accodavano le altre, fuori sincrono, festose e nel contempo tenui come i colori del crepuscolo autunnale. Quelle chiese erano piene di fedeli che partecipavano alla messa. Anziani che, prima della celebrazione, andavano a pregare silenziosamente presso la statua del santo custode della loro sorte, ma vi erano anche tanti ragazzi, da soli o in coppia, e bambini che frequentavano i corsi di catechismo.

Un mio amico poeta, acuto osservatore di ogni tua pulsazione, ha scritto: "Oggi le chiese sono vuote e le consolari piene di zoccole". Di questo me ne accorgo, da pessimo praticante quale sono, durante le rare messe domenicali o quelle in suffragio dei miei genitori nella basilica di Santa Maria sopra Minerva, che trovo sempre vuota... tranne i soliti turisti di passaggio che scattano distrattamente qualche foto e otto di noi raccolti in una cappella laterale. È il sintomo di quanto sia appassito il senso di fiducia della gente non solo nella vita, nelle istituzioni, in sé stessi, ma anche in Dio.

Quando ero ragazzino ti stavi ancora curando le ferite della guerra, ma eri piena di speranza, di amor proprio e vogliosa di riscatto. I tuoi figli laboriosi si erano accollati con orgoglio l'onere di rinnovare il tuo splendore. C'era tanta educazione, tanta dignità. Chi possedeva un'auto era considerato importante, chi aveva una motocicletta era invece fortunato... ma si era felici anche con una bicicletta o con un biglietto del tram, perché ci si sapeva accontentare. Ricordo ancora benissimo la cura con cui i commercianti trattavano i loro negozie i loro clienti: le insegne tirate a lucido, le vetrine pulite e un "buongiorno" sempre pronto ad accogliere coloro che andavano a spendere.

C'erano poi gli impiegati in paziente attesa alle fermate degli autobus e i forzutissimi "omini in tuta" che prima caricavano sulle spalle i sacconi della spazzatura e poi li scaraventavano nei camion. Li chiamavano immondezzari, per me erano paragonabili a Nembo Kid. Penso al tuo fiume. Il tuo sangue. Oggi così inquinato e bistrattato che io stesso, in un mio film, ironicamente ipotizzai di asfaltare per farne una strada ad alto scorrimento. Allora quelle acque non erano melmose come oggie ci si poteva fare il bagno. Trascorrere le afose giornate estive lungo le tue sponde, sui barconi adibitia stabilimenti balneari, conferiva uno status di "romano vero". Da un lato la borghesia che si riversava sul mitico stabilimento di Er Ciriola (rilanciato nel 1956 da Dino Risi in Poveri ma belli ), dall'altro il popolo senza un soldo che si accontentava di prendere il sole disteso sulla sabbia, con i ragazzacci intenti a infastidire i bagnanti dei ceti più agiati. Nonostante le differenze sociali, erano però tutti accomunati dalla fierezza di essere "fiumaroli": devoti e amanti del fiume nostrum.

Ho parlato dei tuoi rumori, dei tuoi suoni, della tua vitalità, ma ci sono anche i tuoi silenzi. Quelli che "ascoltavo" ogni volta che accompagnavo mamma a trovare i suoi cari al cimitero del Verano. Nonostante fosse ritenuto un luogo triste, ci andavo volentieri perché m'ispirava tanta serenità. Siccome mia madre acquistava un sacco di fiori, all'ingresso si consumavano puntualmente le contrattazioni con i venditori. Sentire i fiorai era un po' come leggerei sonetti vernacolari del Belli, per quella profonda saggezza che emergeva anche attraverso una semplice battuta. Durante il percorso per la non vicina tomba, sentivo soloi passi sul selciatoe le voci, rispettose nei toni, delle persone che incedevano attraversoi vialetti. Adoravo cambiare l'acqua ai fiori. Gettavo i resti rinsecchiti in un contenitore, poi prendevo i vasetti di rame, andavo alla fontanella poco distante, li sciacquavo, li riempivo e poi disponevo con cura i fiori freschi. Anche in quel luogo così "paritario" emergeva però una certa diversità. Vi erano loculi sempre ben curatie altri completamente dimenticati e mia madre m'invitava a mettere un fiore nei vasetti di questi ultimi. Il mio preferito era quello di un bambino molto piccolo (forse vittima dei bombardamenti) che mi suscitava una grande tenerezza. Gli lasciavo sempre la rosa più bella. In quel lasso di tempo ascoltavo le cicale che, coadiuvate dal gorgoglio delle fontanee dal fruscio delle foglie, eseguivano un'armonia soave. Era la colonna sonora del Verano.

Ho iniziato a scoprire la tua gloriosa storia con il gioco. Una domenica d'estate del 1957, papà svegliò mio fratello Luca e me annunciando trionfante: "Ragazzi, oggi vi porto a fare i tiri in porta in un luogo spettacolare dove, tanti secoli fa, gli antichi romani correvano sulle bighe!". Ci portò in un assolato Circo Massimo e faceva un caldo terrificante che avrebbe ammazzato pure Ben Hur. Dopo aver delimitato la porta con degli stracci, nostro padre si mise nel mezzo a fare il portiere, mentre noi dovevamo passarci la palla e cercare di fare gol. La cosa sorprendente fu che lui, in pantaloncini e canottiera, s'impegnava davvero, correva e si buttava a terra nella polvere e nel pietrisco come se fosse Luciano Panetti! Da quel giorno ci appassionammo al calcio e ogni domenica pregavamo per ritornare in quel posto a giocare.

Un'altra scoperta la facemmo nei primissimi anni Sessanta, quando Luca ed io cercavamo di dare un senso a quei tanti quadri "strani" appesi dentro casa. Alle nostre domande su cosa significassero, papà rispose: "È giunto il momento di portarvi in un posto dove capirete meglio i quadri che abbiamo". E così ci portò alla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea, prima passando per il fascino di Villa Borghese, poi per il rigore dell'Accademia di Romania. Sala dopo sala ci spiegò, con parole semplici, l'evoluzione dell'arte dal Figurativo all'Astrattismo, tra Macchiaioli, Futurismo, Scuola romana. Fu talmente bravo da farci diventare dei piccoli critici che già sapevano distinguere le opere di valore da quelle insignificanti.

Grazie alla mia tata Angelica ho incontrato la tua periferia... ed era bella perché ancora non esistevano quei palazzi anonimi, quegli orribili alveari costruiti negli anni Settanta. Un pomeriggio di primavera Icca (il nomignolo di Angelica), per accontentare un mio capriccioso desiderio, mi portò in Vespa a trovare i suoi parenti alla Tomba di Nerone, ai margini della Cassia. Scoprii un microcosmo umano dapprima sconosciuto, una enorme baraccopoli dove ogni famiglia aveva il suo orticello e le sue galline. La vita si svolgeva prevalentemente all'aperto, la gente comunicava con cordialitàe c'era un'atmosfera serena, nonostante la povertà che allora non capivo. Certo, col passare del tempo mi sono reso conto che c'erano pure tipi sguaiati in sella a motorini truccati, ladri di appartamenti, scippatori e farabutti che andavano al Monte di Pietà a impegnare preziosi rubati. Ma esistevano anche tante persone oneste che avevano banchetti di frutta a Campo de' Fiori o ai mercati generali. Era uno scenario delicato, poetico, doloroso, che soltanto Pasolini è riuscito a cogliere nella sua essenza.

Cosa devo fare adesso, dopo aver rovistato nel cassetto del passato con gli occhi chiusi e il cuore aperto? Solo affrontare il presente. Il mio sguardo di bambino ha ceduto al tuo sortilegio, la maturità di giovanotto ha distolto da te la mia attenzione perché ero intento a divertirmi, l'età adulta mi ha reso estremamente obiettivo e critico. Non potrò mai avercela con te, ma sono incazzato nero con coloro che ti hanno trattato male in questi ultimi trent'anni. Anche amareggiato per come sia cambiata la società rispetto ai tempi in cui muovevo i miei primi passi nella televisione e poi nel cinema.

Mi duole dirlo, ma la gente non ti guarda, non ti abita più con entusiasmo e allegria. Non che si debba ridere per forza, ma non c'è più la predisposizione al sorriso. Tantissime persone hanno il broncio, guardano a terra, sono sfuggenti, non dialogano più e si limitano a parlare al telefono con quegli auricolari bluetooth talmente invisibili che le fanno sembrare matte. Siamo ridotti a una moltitudine di nevrotici che hanno perso fiducia nella vita. Ma non potrebbe essere altrimenti, visto che viviamo in un'era in cui la distanza tra i benestanti e i poveri, che a fatica riescono a sopravvivere, è diventata enorme. In più, ci sono diverse forme di depressione e frustrazione causate dal non poter accedere ai beni di consumo più in voga. A peggiorare il quadro c'è l'assenza di quella socializzazione, così vivae spontanea negli anni Sessanta, in cui ci si aggregava e si condivideva la cultura in tutte le sue forme: cinema, teatro, musica, arte. Nelle strade si sentiva spesso l'inconfondibile "tum-tum-pa" di una batteria arrivare da uno scantinato, circolavano tanti volantini in cui si pubblicizzavano spettacoli teatrali, concerti importanti, rassegne di cinema d'autore o dibattiti politici studenteschi. Oggi, la massima espressione di condivisione sonoi post sui social network. Le relazioni durano poco, le famiglie si disgregano e ci si sposa con i computer, i tablete gli smartphone illudendosi di sopperire alla mancanza un buon amico. Ci si vanta di avere "tantissimi amici" per il numero esorbitante di contatti su Facebook e di like ricevuti ma, nella sostanza, la situazione non è altro che il moderno equivalente di quei quattro numeri di telefono contenuti nell'agendina del bullo di Un sacco bello. Si tratta sempre di solitudine.

Fino a quarant'anni fa, mi bastava andare al bar Mariani, in via dei Pettinari, un teatro dove comprendere gli umori e i cambiamenti delle persone, coglierne i tic, i pregi, i difetti e trasformarli in fonte d'ispirazione. Oggi manca la creatività, si copiano i modelli più beceri, ci si è incafoniti nella maniera peggiore, soprattutto nell'omologazione. Tutti sono uguali a tutti: nel taglio di capelli, nei tatuaggi, nei vestiti, nelle automobili, negli oggetti, negli atteggiamenti, nel linguaggio. Anche la mitomania non è più sana e spassosa come una volta. Negli anni del liceo potevi trovare il compagno di classe che giurava di avere una relazione con Romina Power, oppure un'amica che confessava di essersi portataa letto Brian Jones dei Rolling Stones. Da adulto, invece, il sacerdote amico sedicente di Fellini o il pittore che si spacciava come discendente di una nobile famiglia veneziana, nonché esperto di lingua tedesca. Ti ci potevi divertire con quelle persone, a metterle in difficoltà chiedendo di raccontare nuovamente le loro storie che - puntualmente cambiavano in piccoli ma eclatanti dettagli. Adesso la mitomania è un morbo che si diffonde soprattutto attraverso internet. Basta pubblicare una foto scattata casualmente con Ronaldo per dire che sei un suo grande amico. Non c'è più invenzione.

In qualsiasi luogo vada io oggi la gente non si esibisce più nel raccontarsi. Mi pongono tante domande, ma quando faccio altrettanto anch'io mi arrivano risposte smozzicate. Sento parlare soprattutto di politica ambiguae caciarona, ma anche di emergenze, che sono poi quelle di tutta la nazione: le pensioni da fame, la disoccupazione e il precariato, la chiusura delle fabbriche, la criminalità, l'inquinamento e il crollo dei valori.

Su quest'ultimo punto, devo a malincuore constatare che pure il tuo popolo si è adeguato. Il ricambio generazionale non ha giocato a favore perché vedo troppa superficialità, mancanza di rispetto, indifferenza.

Otto anni fa, mentre facevo sopralluoghi su una spiaggia del litorale (non ricordo se Anzio o Ladispoli), mi accorsi con tristezza che il mare aveva restituito sulla riva il corpo di un uomo. Qualcuno aveva già pietosamente provveduto a ricoprirlo di fogli di giornale, ma la cosa più agghiacciante fu che i bagnanti si scansarono di qualche metro, continuando però a giocare coi racchettoni e col pallone. Qualcuno, indignato, invitò al rispetto di quell'essere umano, ma nessuno gli diede retta. C'era un cadavere adagiato sulla battigia, ma la vita dei presenti scorreva tranquilla, come se nulla fosse.

Qualche tempo fa, verso ora di pranzo, suonò il campanello di casa, la cameriera aprì e mi ritrovai nell'ingresso un gruppetto di operai - che stava lavorando nel condominio - il cui "capo" aveva già iniziato con sfrontatezza le riprese col cellulare esordendo con: "Eccoce dal grande Carlo Verdone che cià fatto entrare in casa sua... ammazza che bella!". Dapprima rimasi impietrito, poi con calma li invitai a uscire. "A Carle', adesso ce fai un bel saluto a tutti noi che te amiamo! E pure a mi' moglie, alla zia, alla nonna, alla nipotina..." proseguì mentre gli altri colleghi, gironzolavano alle mie spalle. Con sempre più faticosa cortesia, chiesi di interrompere e cancellare il filmato e li feci accomodare fuori. Mentre andavano via qualcuno ebbe pure da ridire sul mio comportamento, perché l'idea comune è che un personaggio famoso deve essere l'amico alla portata di tutti, catturabile a proprio piacimento. E se poi, in casi come questo, finisci per incazzarti e mandare tutti a quel paese vieni pure bollato come uno stronzo!

Vogliamo parlare del tuo vecchio cimitero? Il mio incanto di bambino è da decenni infranto da persone che, tra un loculoe l'altro, parlano ad alta voce al cellulare, agitandosi per questioni di soldi o di condominio... ma oggi mi è difficile anche pregare in intimità per i defunti. Pochi mesi fa ero in raccoglimento davanti alla tomba dei miei, avevo anche lasciato il solito fiore al bambino i cui resti, temo, finiranno presto nell'ossario perché la lapide è ridotta malissimo. Stavo per andare via quando alle mie spalle scoppia un applauso, mi volto e vedo un signore ben vestito, con un cappello bianco, che aveva appena finito di riprendermi con lo smartphone. Prima che potessi dire qualcosa, lui fece: "Verdone, le chiedo scusa, ma è stato così bello vedere pregare un personaggio importante come lei. La gente crede che gli attori sono tutti insensibili, ma lei è la dimostrazione che nonè così...". Allargai le braccia e andai via senza ribattere perché, tuttavia, quell'uomo aveva detto una cosa gentile, anche se preceduta da un atto che è lo specchio della grave patologia di cui soffre buona parte dell'umanità. Però, sempre meglio questo che un cafone che ti afferra con violenza il braccio con cui mantienii fiori strillandoti: "A Carle', nun ce poi manca' in un selfie mio!".

Nei miei film ho sempre valorizzato ogni tuo angolo, evitando quell'iconografia turistica vista e stravista. Ho sempre sostenuto che la tua essenza si trova in quei luoghi meno riconoscibili e più appartati, ma oggi evito accuratamente di filmare nel centro, soprattutto dopo l'umiliazione ricevuta sul set de Il mio miglior nemico. In quella circostanza ho provato perfino la sconfortante sensazione che non fossi più bene accetto dalla gente. Era prevista una fondamentale scena all'alba che dovevo necessariamente girare in quel momento, perché al tramonto sarebbe stato impossibile per il traffico. Alle tre di notte iniziammo a preparare il set alle Mura Aureliane, alle cinque eravamo pronti con gli attori in auto, in attesa del ciak. Alle prime luci ordinai l'azione e, sotto lo sguardo attonito di tutti, un motociclista - incurante dello stop di un vigile di sorveglianza - superò la nostra vettura urlando: "Ancora a gioca' co' 'sto cinema? Ma annate a lavora'... Vaffanculooo!". E scomparve sfrecciando via. Disorientato, prima mi chiesi se quell'uomo stesse andando al lavoroo rientrando da una notte di bagordi, poi realizzai con delusione che per tanti quello del cinema è soltanto un banale passatempo.

Sono atti prevaricatori e arroganti come questo che mi spingono, appena possibile, a disintossicarmi, a rifugiarmi nella quiete della mia casa in campagna tra le colline Sabine. Lontano da te.

"Ho trovato una città di mattoni, ve la restituisco di marmo", rifletto spesso su questa citazione di Cesare Augusto, oggi così attuale e densa di significato per coloro che, come me, si chiedono come ti restituiremo domani ai posteri.

Forse sbandata, abbandonata a te stessa, perché nessuno si prende cura di te... nemmeno i tuoi figli più giovani, irriguardosie vittime di un'educazione superficialeo mai ricevuta.

L'importante è scovare un buco dove parcheggiare l'auto, anche in terza fila o a ridosso di un palazzo storico, trovare un prato da trasformare in discarica o un marciapiede dove far espletare i bisogni al proprio cane senza rimuovere i resti, provare l'ebbrezza di lanciare in strada, da un veicolo in corsa, bottiglie e rifiuti di ogni genere. E ci sono ancora quelli che manifestano il "talento artistico" sfregiando con la pittura spray i tuoi già esausti muri... comparandoti a un cesso di stazione. Vogliamo poi mettere il gusto di fare un bagno refrigerante nelle fontane monumentali, magari dopo aver cavalcato e mutilato le loro sculture? Tanto il prezzo da pagare è accettabile. Dopo essere stato prelevato dal vigile, il teppista trascorrerà un paio d'ore in commissariato, si beccherà una denuncia e una multa che non pagherà mai. Se poi è fortunato arriverà anche la glorificazione, perché nel frattempo qualche idiota avrà già provveduto a diffondere su YouTube il video dell'impresa, che diverrà subito esempio negativo da emulare.

La legge che dovrebbe tutelarti appare complice dell'illegalità, nel suo essere sempre pronta a perdonare atti scellerati come questi. Per non dire di quegli amministratori- tuoi fervidi paladini solo a parole - che ti hanno ridotto a una città sporca, senza adeguata illuminazione, piena di buchee voragini (in una delle quali, venticinque anni fa mi ruppi la schiena cadendoci con la moto), disorganizzata, inospitale, senza manutenzione, iper-burocratica al punto tale che ci sono voluti tre anni per rimuovere la carcassa di uno scooter abbandonato per strada. Nessuno che abbia capito l'importanza della tua periferia e di quanto sia fondamentale ricominciare proprio da lì, restituendo quella dignità sottratta e martoriata da troppi anni di speculazione. Ci vogliono cinema, teatri, centri culturali, punti di aggregazione sociale, biblioteche, adeguati collegamenti di trasporto, scuole attrezzate, aree verdi dovei bambini possono giocare. Bisogna attuare un proficuo interscambio tra due differenti realtà urbane che, invece di avvicinarsi, si allontanano. Tutti progetti destinati a restare confinati dentro squallide promesse da campagna elettorale.

Sei corpo agonizzante e pieno di metastasi di cui un'intera classe politica (tranne poche eccezioni) ha abusato a suo piacimento perché spinta da un solo proposito: accumulare voti a qualunque costo... perfino quello di perdere l'indispensabile autorevolezza.

Dinanzi a questo deserto etico penso ai sacerdoti del bello come Papa Giulio II, i Colonna, i Chigi, che per affermare la loro potenza hanno fatto di te il più grande museo del pianeta. Penso alla sensibilità e allo stupore con cui ti hanno vissuto e descritto intellettuali come Fellini, Pasolini, Flaiano, Amidei, Scola... Provenivano tutti da altre regioni, ma grazie a loro abbiamo capito di vivere in un luogo speciale che avevamo erroneamente metabolizzato come "ordinario".

Desidero la risalita di una rinnovata coscienza civica che porti a un attaccamento, a un rispetto viscerale per il patrimonio collettivo che abbiamoe non soltanto per la maglia giallorossa. Vorrei avvertire nuovamente quel senso di fierezza e appartenenza che riunisce in una sola emozione ogni tuo respiro, ogni tuo quartiere, ogni tua parte. Vorrei ritrovare quell'indulgenza nei confronti delle persone, della vita e del destino che era un po' la base della filosofia sorniona di Sora Lella. Magari anche un pizzico di quell'antico mondo, forse un po' folcloristico, ma fatto di generosità, poesia e semplicità. Va bene pure "e 'sticazzi", un'espressione che aggrega presunzione, sfrontatezza e "chissenefrega", ma rappresenta almeno un verace modus vivendi radicato nel nostro dna. Anche la sana svogliatezza che, all'occorrenza, si tramuta in quella folle eccitazione che spinge a lottare strenuamente per tutto ciò che è giusto... senza rinunciare a quel pizzico d'innata codardia.

La tua storia, le opere dei tanti artisti che hanno scelto te come luogo deputato del loro straordinario talento, la "grande bellezza" che ti appartiene di diritto, non vanno soltanto ammirate o celebrate, ma salvaguardate. L'immortalità può esistere, ma dipende unicamente da noi e dalla nostra buona volontà.

Sai cosa vorrei fare in questo momento? Dopo questo sfogo? Rubare un pezzo di te e nasconderlo. Ma sarebbe impossibile. Allora mi rassereno rievocando un luogo dove nessuno mai potrà metterci piede, perché protetto dal lucchetto inviolabile della memoria: il grande terrazzo sul tetto della mia casa sopra i portici. Era un'area proibita a tutti i condomini, tranne che all'amministratore. Quel divieto invitava però alla trasgressione e così, con il mio vicino di casa Giovanni, trovai il sistema di aprire la porta, scavalcare i muretti e accedere in quello spazio dove realmente si poteva toccare il cielo con un dito.

L'appuntamento era sempre per il tramonto. Seduti a gambe incrociate, sigarette alla mano, stavamo lì per un'ora, in silenzio, a guardare lo spettacolo del sole che moriva alle tue spalle. Secondo dopo secondo la luminosità si affievoliva, cedendo il ruolo alle luci artificiali delle strade e delle case. Poi subentrava il faro del Gianicolo che alternava, con effetti psichedelici, bagliori di colore bianco, rosso e verde. Infine le ultime acrobazie degli uccelli, i sempre più flebili rumori delle auto e il rosso di un cielo che sprofondava lentamente... e con lui due ragazzi sedicenni che fumavano le loro Nazionali sfuse e senza filtro, avvinti da quella indescrivibile bellezza che eri e che sei ancora oggi, mia adorata Roma. 


(Articolo pubblicato sul n° 40 di Panorama in edicola dal 20 settembre 2018 con il titolo "La mia Roma")

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