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Orientalismi

Ci sono tanti modi, mi sembra, di sentirsi superiori o diversi (e diversi vuol dire sempre superiori, se uno ha una mente sana e conseguente). Ergersi a gendarmi del mondo, disponendo la punizione di qualcuno per reati non ancora provati, insomma ciò che hanno fatto gli Stati Uniti d'America la scorsa settimana in Siria, è senz'altro una manifestazione evidente di quella particolare forma di superiorità autoproclamata che si chiama neocolonialismo o, più semplicemente, imperialismo. E molte delle critiche a questa decisione, ma anche molte voci che in generale hanno obiettato negli anni su questa o su altre decisioni politiche dell'Occidente, hanno giustamente puntato il dito su questo: sulla convinzione cioè di essere migliori e legittimati che è la prima e più importante molla di ogni intervento militare.

Ma a ben vedere, e di questo voglio parlare, tante voci critiche (non c'è necessità di portare esempi: si tratta anzi dell'argomento principale e più diffuso, che senz'altro tutti voi riconoscerete e in cui senz'altro tutti noi, incluso evidentemente l'autore di questo pezzo, siamo caduti) hanno utilizzato ragionamenti certamente difformi nella conclusione, e senz'altro condivisibili, ma stranamente simili per quanto riguarda i presupposti. Mi riferisco a tutta quella diffusissima polemica riguardo all'ipocrisia dell'Occidente o degli Stati Uniti in particolare: quel denunciare a ogni pié sospinto lo scandalo morale per cui sarebbe strano o inaccettabile che venga sostenuto, armato e finanziato in paesi lontani e ostili chi invece da noi è etichettato come terrorista, incarcerato, espulso, cacciato. Si dice: "Ma come si fa a combattere da noi le stesse organizzazioni, e frequentemente le stesse persone, che sosteniamo in Yemen o in Siria o che abbiamo sostenuto in Afghanistan?". Quando invece è perfettamente logico e normale che ai governanti di un paese occidentale stiano a cuore le vite dei cittadini e degli alleati di quel paese e non, tutto sommato, quelle di un certo numero di yemeniti, afghani, siriani, ecc.; ed è perfettamente logico che, quando si riconosce un paese come nemico, lo si voglia colpire o si lasci che sia colpito e indebolito, senza badare se a sferrare i colpi sono cavalieri senza macchia, tra l'altro rari, o delinquenti internazionali. Si tratta di scelte politiche del tutto normali e spiegabili, non certo nuove e non certo inventate da qualche complotto (neoliberale o putiniano, scegliete quello che più vi aggrada) negli ultimi tempi. Di sicuro anch'esse, come tutte le scelte politiche, hanno delle conseguenze: è abbastanza noto, ad esempio, come uno degli organizzatori degli attentati dell'11 settembre fosse stato arrestato in precedenza a Minneapolis, senza però che il suo computer e la sua abitazione potessero venir perquisiti e analizzati per l'opposizione della polizia federale, che sapeva del ruolo di costui come reclutatore di combattenti da spedire in Cecenia a muovere la guerra santa ai russi ma che non poteva sospettare ci fosse anche altro. In realtà, vivere senza una doppia morale è impossibile perfino per noi individui senza particolare rilevanza; a maggior ragione dev'esserlo dunque per Stati che hanno interazioni e responsabilità complesse.

Denunciare l'ipocrisia dell'Occidente significa infatti accettare più o meno implicitamente la superiorità morale e il maggior profilo etico dello stesso, che avrebbe dunque il dovere di restare fedele ai propri valori, buoni per definizione; o quantomeno significa supporre una benevolenza di fondo, nelle azioni dei "nostri" regimi, che se pure non ne cancellano gli indubbi errori purtuttavia li umanizzano, li rendono imparagonabili agli orrori commessi dal dittatore x o dal presidente y di un paese del Sud del mondo. In realtà però la questione non è etica, bensì giuridica e politica. Gli Stati Uniti non dovrebbero punire unilateralmente il responsabile di una strage di bambini non perché a loro volta hanno ucciso mezzo milione di bambini iracheni con l'embargo degli anni Novanta - di quello si occuperà auspicabilmente un altro tribunale a tempo debito - ma perché non ne hanno il diritto, in termini strettamente giuridici, e non dovrebbero averlo, in termini politici.

Sarebbe un ben paradossale e deludente risultato se la tensione morale che dovrebbe animarci tutti, la necessità di cancellare il male e l'ingiustizia che vediamo nel mondo, cagionassero soltanto la sparizione dal discorso pubblico e dalle azioni degli Stati dell'ipocrisia: deludente perché non è l'ipocrisia che causa quel male o quelle ingiustizie, e paradossale perché in un mondo sempre più relativista, e fieramente tale, andremmo a rendere illegale il relativismo proprio in uno dei contesti, la politica, in cui esso è più necessario ed utile. Può darsi sia allora necessario ricordare che, se l'obiettivo è l'eguaglianza e la pari dignità dell'umanità, ad esso si arriva solo garantendo e riconoscendo a tutti gli stessi diritti e le stesse facoltà; e non, invece, continuando a regalare a chi ha più potere l'attenuante di una superiorità morale che, di conseguenza, rende tutti gli errori goffaggini e tutti i crimini mancanze, e che di fatto impedisce un'onesta comparazione delle motivazioni, dei misfatti, degli obiettivi di tutti.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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