Zanzara
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Zanzare, addio

Grazie al caldo anomalo stanno tornando. eliminarle è impossibile ma ci si può difendere: ecco come

Tra le grandi domande che accompagnano la nostra esistenza ce n’è una che, puntuale, si ripresenta nelle tiepidi sere d’estate: era proprio necessario che Dio, o l’evoluzione darwiniana per chi ha una visione laica dell’esistenza, creasse le zanzare? E, soprattutto, che ne mettesse in giro più di 3 mila specie diverse? Non tutte, è vero, specializzate nel succhiare il sangue dei mammiferi, a partire dal nostro. Ma quelle che lo fanno sono tra gli animali più pericolosi del pianeta.

Detto senza enfasi. Due-tre milligrammi di peso (che raddoppia dopo un pasto di sangue) bastano per spargere infezioni come la malaria, il dengue, la febbre del Nilo. Per un caso fortuito non portano a spasso l’Hiv, il virus non sopravvive nel loro stomaco, altrimenti l’epidemia di Aids avrebbe raggiunto proporzioni catastrofiche. E, anche senza tirare in ballo malattie gravi, queste micro vampire (sempre femmine, i maschi sono vegetariani) riescono a essere, per quasi cinque mesi all’anno, un’indebellabile iattura.

A bloccarne la riproduzione ci si prova da sempre. Disinfestazione in parchi e risaie, bonifiche con ovitrappole ed esche, prodotti antilarve nelle zone d’acqua stagnante, «bat box» per attirare i pipistrelli mangiazanzare, allevamenti di maschi sterilizzati.

Il primo ronzio ci conferma che nulla di tutto ciò è servito a granché. La zanzara, dopo aver pasteggiato su di noi, volerà via satolla per appisolarsi in una sorta di lunghissimo «coma da cibo», in cui digerisce il sangue e lo trasforma in uova. Per inciso: una zanzara punge in genere una volta sola, quello che succhia le basta per una covata. Se sentite un secondo ronzio, appartiene a una «collega» che è ancora a digiuno.

A segnare un punto contro questa secolare lotta sarà probabilmente un farmaco «anoressizzante» testato dagli scienziati della Rockfeller University guidati da Leslie Vosshal, neurobiologa che studia il sistema nervoso delle zanzare (esiste, a quanto pare, una specializzazione di questo tipo).
Pensate che un farmaco anti-fame sia esclusivamente a uso umano? All’inizio lo pensavano anche i ricercatori. «L’esperimento è nato come una specie di gioco» racconta Vosshal. «Eravamo convinti che la molecola uccidesse le zanzare, o non funzionasse affatto. Pareva una cosa un po’ stupida, a dir la verità».

Il composto, creato dall’industria farmaceutica per sopprimere l’appetito negli obesi, agisce su alcuni recettori che regolano il senso di sazietà. E questi recettori li hanno anche le zanzare, si chiamano neuropeptidi Y, ma non pretendiamo che ve lo ricordiate. In sintesi, i ricercatori hanno somministrato il farmaco diluito in una soluzione salina (e per ora denominato Composto 18) a esemplari di zanzara aedes aegypti, quella che causa una serie di malattie tropicali. Risultato: messe di fronte a un topolino anestetizzato, anziché pungerlo come un cuscino da spilli, non lo hanno degnato di uno sguardo.

L’idea, a questo punto, è utilizzare il farmaco in trappole per zanzare lasciate nei loro habitat, o inserendolo tramite ingegneria genetica nel seme dei maschi: accoppiandosi con le femmine, i maschi Ogm trasferirebbero le proprietà anoressizzanti della molecola.

Di recente, intorno al cervellino delle zanzare (contenuto in una testa grande quanto una capocchia di spillo) si sono moltiplicati gli studi. Per dare un’idea del genere di lavoro, gli scienziati del progetto Mosquitobrains passano le giornate a fotografare i microcervelli di dozzine di esemplari femmine, mappando con estenuante precisione i loro circa 100 mila neuroni. «Capire quali circuiti cerebrali guidano i comportamenti predatori servirà a creare nuovi sistemi per ridurne la diffusione e le malattie che trasmettono» spiegano i ricercatori sul sito Mosquitobrains.org.
Nell’attesa che la neurobiologia, le mappe neuronali e l’ingegneria genetica ci vengano in aiuto, prepariamoci alle prossime incursioni. Nelle nostre città, di zanzare ce ne sono ormai tre specie: la culex pipiens (quella nostrana), la zanzara tigre e la coreana, l’ultima arrivata. Tutte appassionate di sangue umano.
«Siamo i loro pasti preferiti: prede grandi, onnivore, numerose, senza pelliccia e quindi facili da pungere» dice Gianumberto Accinelli, entomologo (e autore di diversi libri, l’ultimo è Altri fili invisibili della natura, Lapis edizioni). «Soprattutto per la zanzara tigre, arrivata qui negli anni 90, le città sono perfette. In natura depone le uova in piccole zone di acqua, noci di cocco, tronchi d’albero... Negli ambienti urbani, di luoghi così ne trova migliaia: sottovasi, bottigliette buttate via, vaschette di plastica, tombini».

Sul perché le zanzare preferiscono alcune persone rispetto ad altre, molto si è capito, negli ultimi tempi. Il sangue dolce? No, quello non c’entra per niente. Anche perché le femmine per produrre le uova hanno bisogno di proteine, non di zuccheri. E comunque non percepiscono la glicemia nel sangue. Amano invece l’odore dell’alcol (chi beve birra è più vulnerabile), l’acido lattico e il sudore (prendono di mira chi corre); pungono soprattutto i piedi e le caviglie perché hanno i capillari in superficie. E quel terribile prurito non è dato dal pungiglione, ma dall’anestetico che utilizzano prima di colpire.

Se il caldo persiste, tra poco le vampire metropolitane saranno tra noi. Tutte e tre le specie. E ci terranno compagnia, infischiandose delle disinfestazioni, più o meno efficaci, fino all’autunno inoltrato. Che è poi, ci avremmo scommesso, il periodo prediletto della solita zanzara tigre. «È la stagione del fotoperiodo 12-12» spiega l’entomologo. «Ossia 12 ore di luce e 12 di buio, come quello dei tropici, da dove proviene».
Pericolose perché portano malattie, insopportabili perché non fanno dormire, fastidiose perché ci regalano giorni di inelegante prurito. E dunque, a che diavolo servono le zanzare? Accinelli, che in un articolo precedente su ragni, formiche e vespe aveva avuto una parola buona per tutti, non si smentisce. «D’accordo, a noi non servono. Ma nel Nord America e nel Nord Europa sono indispensabili per molti uccelli migratori: arrivano in quei luoghi, pieni d’estate di nuvole di zanzare perché c’è caldo e tanta acqua, trovano un’abbondante fonte di cibo e nidificano. Se scomparissero le zanzare crollerebbero interi ecosistemi».

Alle prime punture di stagione, cercheremo di pensare alla marzaiola americana, al passero dalla coda bianca, persino allo smergo monaco. Sopportarle sarà più facile.
Forse.
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Daniela Mattalia