Ucraina, fine del primo tempo
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Ucraina, fine del primo tempo

Con la fuga di Yanukovich la parola passa ora al parlamento ucraino. Ma le vere decisioni saranno prese da Russia e Unione Europea. Pena il rischio di focolai secessionisti

per LookOut News

Se Vladimir Putin temeva che a rovinargli la festa dei Giochi olimpici potesse essere il terrorismo ceceno, si è dovuto presto ricredere. A guastare le sue Olimpiadi ci ha pensato invece l’Ucraina, precipitata in una crisi politica che sta rapidamente mutando in una vera e propria perdita d’identità. Si può essere filo-russi e filo-europei a un tempo? È questa la domanda cui i leader coinvolti nel dossier ucraino dovranno fornire risposta. Un dossier che da parte di Mosca era stato congelato fino allo spegnimento della fiaccola olimpica, ma che adesso il presidente dovrà rapidamente riprendere in mano.

Che la situazione sia grave lo certificano le molteplici telefonate del cancelliere tedesco, Angela Merkel, allo stesso Putin, per chiarire le posizioni ufficiali UE e concordare una possibile exit strategy. L’uomo forte del Cremlino sinora ha ben incarnato quell’atteggiamento di eco sovietica che vuole l’Ucraina come un territorio satellite di Mosca (con alterne fortune).

La Merkel, invece - che ben conosce cosa significhi vivere in un Paese diviso e che vuoi o non vuoi incarna la figura di primo rappresentante dell’Unione - ha capito subito come la situazione fosse irrimediabilmente mutata e ha puntualizzato che l’obiettivo principale adesso è il mantenimento dell’unità nazionale ucraina.

La spaccatura nel Paese e la Crimea inquieta

Alcuni segnali inquietanti provengono dalle regioni orientali, dove è forte il senso di appartenenza a Mosca. A cominciare dalla Crimea: a Kerch, il 23 febbraio, durante una manifestazione delle forze pro-russe, la folla ha chiesto l'uscita della Crimea dall'Ucraina e la polizia non è riuscita a fermare i manifestanti, che hanno issato la bandiera russa sull'edificio del Palazzo Comunale. E a Kharkiv, altra roccaforte russa, alcuni leader regionali già mettono in discussione la legittimità del parlamento di Kiev, pur manifestando contrarietà a una divisione del Paese.

La Crimea, regione della Russia fino al 1954, fu regalata da Krushchev all’Ucraina, ma il rapporto profondo con Mosca non è mai cessato. Tale legame è di ordine etnico (la maggioranza della popolazione è costituita da russi) ma anche geopolitico: la regione è il punto di accesso al Mar Nero e qui ha sede la più importante base navale russa, quella di Sebastopoli. Ogni leader russo che si rispetti sa perfettamente che non è ammissibile rischiare il proprio avamposto strategico per il controllo delle rotte verso il Mediterraneo.

Se dunque l’Ucraina europea - quella di Kiev, Ternopil e altre regioni occidentali - è la medesima che si trova ora in parlamento a ri-affermare la propria vicinanza all’Unione e a voler trattare per il mercato comune, l’Est si sente ormai in crisi d’identità e preferisce una soluzione conservatrice, riponendo ancora la propria fiducia e la propria sicurezza nella madre Russia.

Il pericolo paventato dalla Merkel è insomma reale: una spaccatura del Paese, impreparato a una svolta tanto rapida degli eventi, già minaccia le prossime elezioni (convocate per maggio) e soprattutto non chiarisce l’orizzonte economico che determinerà le sorti del Paese di qui in avanti.

Anche Vladimir Putin concorda che l’unità ucraina è una priorità per il Paese: egli sa bene che una spaccatura alle porte della Russia aprirebbe a scenari imprevisti e darebbe l’esempio negativo ad altri Paesi satellite, stimolando le spinte secessioniste delle già inquiete province del Caucaso. Ma uscire dall’orbita russa, o peggio mettere in discussione la Russia stessa, è un rischio che Putin non può correre.

Russia-Ue: che cosa si può fare?

Il Cremlino è chiaramente infelice della svolta degli eventi. Se il 2013 è stato un anno magico per Mosca, il 2014 inizia invece sotto i peggiori auspici. Il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov - che ha prontamente condannato i “gruppi estremisti illegali” di piazza Maidan a Kiev - sottolinea adesso che è la disastrosa condizione economica ucraina a preoccupare di più.  E annuncia che la Russia, in questo clima d’incertezza politica, ha sospeso la prima rata del prestito di 15 miliardi di dollari, offerto all'Ucraina a novembre scorso per allontanare il pericolo di un accordo con la UE (ovvero proprio il casus belli che ha determinato le rivolte di piazza a Kiev, dopo che la firma con l’UE sembrava certa).

Ma l’Unione Europea, che pur si dice pronta a offrire un concreto aiuto finanziario all’Ucraina non appena sarà eletto un nuovo governo democratico, finora non ha strumenti concreti per controbilanciare il prestito russo.

In attesa del secondo tempo

Una settimana fa scrivemmo che piazza Maidan a Kiev sarebbe potuta essere smantellata soltanto in due casi: con la repressione o con le dimissioni del presidente Yanukovich. Essendosi verificata la seconda ipotesi, anche se si è trattato piuttosto di una fuga indecorosa, ora la cittadinanza può finalmente tentare di darsi un nuovo assetto. Ma se già si parla di libertà ritrovata e di tramonto della tirannia, ciò che si osserva all’orizzonte è piuttosto la fine di un primo tempo, cui seguirà inevitabilmente un secondo momento, altrettanto determinante per mettere fine al caos in cui è precipitato il Paese. Se, infatti, la parabola dell’ex presidente Yanukovich può dirsi definitivamente conclusa, c’è un intero Paese che non sa più dove guardare e che rischia di diventare strabico.

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Luciano Tirinnanzi