Ucraina, l'azzardo delle grandi potenze
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Ucraina, l'azzardo delle grandi potenze

L’evoluzione o involuzione della crisi ha una sola certezza: nulla tornerà come prima sia all’interno del Paese sia nei rapporti tra Russia, Europa e Usa - Analisi  - Foto  - Reportage  - Video

per Lookout News

Diventa sempre più evidente col passare degli anni che l’Ucraina sia affetta da una forma degenerativa di strabismo. Purtroppo, non si tratta di “strabismo di Venere”, che la renderebbe più attraente ai nostri occhi e che in parte deve aver incantato l’Europa (che ha equivocato questo suo difetto, ritenendolo a torto un pregio). Si tratta, invece, se vogliamo fare dell’ironia, di “strabismo di Marte”, visti i venti di guerra che soffiano dal Mar Nero, in quel della Crimea occupata dai “fratelli russi”, come affermano entusiasti gli abitanti della regione da quando hanno visto arrivare i tank con la bandiera di Mosca.

Così, se da un lato l’Ucraina ha lo sguardo rivolto ad Ovest verso la Polonia e la Germania, e dunque a Bruxelles, contemporaneamente l’Ucraina rivolge i suoi occhi ad Est verso Mosca. Ma dove guarda realmente Kiev? Putin sulla questione ha ovviamente le idee più chiare di tutti e già da novembre ha iniziato a “comunicare” con Kiev, predisponendo il filo spinato lungo il confine russo ucraino - che prima di allora non era neanche segnato, a dimostrazione del legame e dell’amicizia tra i due Paesi - a voler significare che cambiare bandiera è una questione “spinosa”. 

L’Europa, invece, sembrerebbe aver tentato di avvicinare ancor più Kiev al mercato UE nell’ottica di un’espansione ad Est (ormai criticata anche in seno alla stessa Bruxelles) ma la solita lentezza che contraddistingue ogni euro-mossa non ha pagato. Così ne ha approfittato Mosca che, giocando al rialzo, in un solo pomeriggio ha messo sul tavolo ben 15 miliardi di aiuti e ventilato un inverno gelido per l’Ucraina, il cui riscaldamento dipende quasi esclusivamente dai gasdotti dell’Est russo, nell’ipotesi di avvicinamento all’Unione.

 - La posizione degli USA e l’indipendenza della Crimea

In tutto ciò, chi apparentemente ne gode di più sono a sorpresa gli Stati Uniti, così lontani eppur sempre così vicini. Può suonare strano, eppure Washington avrebbe un doppio vantaggio strategico nel vedere l’Ucraina spaccata in due: da una parte, può tornare protagonista nel cuore dell’Europa mitteleuropea e garantire protezione attraverso la NATO - di cui Kiev non fa parte, ma che ha più volte promesso d’iscriversi nelle liste d’attesa - all’autoproclamato nuovo governo di Kiev (magari anche aggiungendo qualche base missilistica in più in Europa orientale). 

Dall’altra, ha la possibilità di mettere in seria difficoltà Mosca, ribaltando la situazione che si era verificata in Siria, dove gli Stati Uniti avevano tutti contro per il paventato intervento militare. Intervento che Mosca ha in parte già effettuato e che prelude oggi a un referendum per l’autonomia o l’autodeterminazione quantomeno della Crimea.

Che la strategia americana nel contesto mitteleuropeo sia pressappoco questa lo ha confessato in un’intercettazione la vice del Segretario di Stato americano John Kerry, Victoria Nuland, quando al telefono con l’ambasciatore USA a Kiev diceva: “Fuck the UE”. Cioè, per lei – e dunque per il Dipartimento - l’Europa può andare a farsi fottere. Dunque, l’interventismo americano in Ucraina sembrerebbe una realtà, come in parte accadde nel 2004 con la Rivoluzione Arancione.

- Errori strategici delle grandi potenze

Tutto ciò, però, non corrisponde affatto all’attuale politica estera voluta da Obama e disegnata dal Dipartimento di Stato, insieme alla Difesa: che senso avrebbe oggi contribuire a destabilizzare un’area geografica così importante, proprio nel momento in cui gli USA hanno scelto la via del disimpegno militare - in Europa come in Medio Oriente - e della progressiva riduzione delle spese per la difesa (fino al 30%)? 

Tutto ciò appare sempre più come un pericoloso azzardo. In ogni caso, qualunque evoluzione – o involuzione – avrà nei prossimi giorni la situazione in Ucraina, un fatto può esser dato per certo: nulla tornerà come prima sia all’interno del Paese sia nei rapporti tra Russia, Europa e Stati Uniti d’America. 

Chi ha soffiato sul fuoco di piazza Maidan, forse non tarderà a pentirsene. “Esportare la democrazia” oggi, sostenendo un colpo di Stato popolare, vuol dire giocare col fuoco.

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Luciano Tirinnanzi