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L'America di Trump, i rischi per l'Europa

La questione russa, l’isolazionismo, l’eccitazione dei populisti, la NATO e il caos nel Mediterraneo. L’UE sopravviverà al neopresidente?

Per Lookout news

Diciamo subito una cosa. L’elezione di Donald Trump ha messo l’Unione Europea con le spalle al muro. Il suo motto “America first” inchioda, infatti, le cancellerie europee alle proprie responsabilità e le pone di fronte a una serie di scelte non più rinviabili.

Decostruendo l’assistenzialismo americano in materia di difesa e sicurezza e rompendo non poche consuetudini diplomatiche, Trump ha mandato un messaggio chiaro a Bruxelles: d’ora in avanti, Washington D.C. agirà all’insegna del “più onore e meno oneri”.

Che, tradotto, significa rinegoziare molti degli accordi - economici ma non solo - sui quali il Vecchio Continente si era adagiato, vivacchiando all’ombra della superpotenza e, in alcuni casi, appaltando persino la propria politica estera (è il caso dell’Italia).

La questione della sicurezza
Un esempio di ciò di cui parla Trump? Il bilancio delle spese militari sostenute dalla NATO.

L’America, come noto, è di gran lunga il maggior contribuente e sponsor dell’Alleanza Atlantica: solo nel 2015, ha dovuto contribuire alle spese militari e di gestione per un totale di 649 miliardi di dollari, a fronte dei 58 miliardi del Regno Unito (che, per inciso, saluta l’UE in aperto dissenso proprio con le sue politiche), dei 42 della Francia, dei 37 della Germania e dei 17 miliardi di dollari dell’Italia.

Tutto ciò, promette Donald Trump, non durerà ancora a lungo. I governi d’Europa si dovranno abituare all’idea di finanziare di più le “truppe occidentali” se vogliono difendere, ad esempio, la Polonia da un’eventuale invasione russa.

Già, perché secondo il neo-presidente, Mosca non rappresenta più un pericolo per il nostro continente, ma un paese non alleato con il quale si può però discutere e stringere accordi. L’ordine di scuderia per il Pentagono è semplice: il vero nemico degli americani non si chiama più Russia, ma Cina. 

Questo non significa che il 45esimo presidente voglia mandare alle ortiche l’Alleanza Atlantica o che auspichi la costituzione di un esercito europeo alternativo alla NATO. Niente di tutto ciò: la questione, per adesso, appare meramente di stampo economico, e più precisamente di bilancio. Nel 2015 gli alleati europei nella NATO hanno speso complessivamente per la difesa militare comune 253 miliardi di dollari, contro gli oltre 600 degli Stati Uniti. Pertanto, Washington si aspetta che d’ora in poi ogni paese contribuisca con almeno il 2 o 3% del proprio Pil annuo, quota che nessuno sinora ha voluto coprire. 

Niente di strano che, per Trump, ogni questione si riduca a entrate e uscite. Abituato a pensare da imprenditore, infatti, ritiene che ciò che angoscia maggiormente il popolo americano “è il debito da 19 trilioni di dollari accumulato dal presidente Obama, che presto salirà a 21 trilioni. Questo è il vero problema economico degli Stati Uniti”. Di conseguenza, è indispensabile ridimensionare le spese, a cominciare proprio dal budget generosamente concesso alla difesa dell’Europa.

Il ragionamento, dal suo punto di vista, fila: se riesco ad accordarmi con Vladimir Putin - è il suo pensiero semplificato - non c’è ragione di continuare ad ammassare mezzi e uomini ai confini orientali europei. E, seguendo questo schema, si può trovare un accordo anche sulla Siria. 

La questione politica
Lo sgretolamento politico dell’Europa, invece, “è un dato di fatto, non una mia opinione” ha ammesso candidamente Donald Trump. E dipende esclusivamente “dagli errori commessi dalle sue leadership inadeguate”.

Ecco perché l’ex tycoon ha salutato con entusiasmo la Brexit e ha voluto simbolicamente incontrare per prima tra i leader europei proprio la premier britannica Theresa May, con la quale condivide l’idea di “essere di nuovo al comando insieme”, secondo le parole della stessa May.

Questa sfumatura è stata colta anche a Berlino, dove Angela Merkel non vede l’ora di guidare la nuova Europa, elezioni permettendo (in Germania a settembre si vota il rinnovo del parlamento), consapevole del fatto di essere l’unica personalità politica europea riconosciuta - essendo in sella da dodici anni - e l’unica in grado d’interloquire contemporaneamente con Putin e con i presidenti americani.

Per la Cancelliera riposizionarsi non è poi così tragico: secondo lei, la Germania è adattabile e di certo più vicina a Mosca di qualsiasi altro paese europeo. Certo, dovremo capire che in futuro l'America potrà essere meno disponibile per noi”, come ha affermato il suo ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier. Ma, fondamentalmente, basterà mantenere “un rapporto transatlantico che funzioni”, perché questo “è il fondamento dell’Occidente”.

Il messaggio di Trump è stato colto anche in Francia, dove la corsa alle presidenziali del prossimo aprile sta per entrare nel vivo. “Il mondo di ieri non esiste più” ha sostenuto il candidato indipendente francese all’Eliseo, Emmanuel Macron, già ministro dell’Economia.

Mentre il repubblicano Francois Fillon, che a destra compete contro il Front National, ritiene che l’America si stia “ritirando” e che di conseguenza “l’Europa dev’essere unita e spendere di più per le armi”. Inutile sottolineare l’entusiasmo di Marine Le Pen che - convinta d’importare l’imprevisto successo di Trump a Parigi - soffia sul populismo premendo un po’ confusamente per un ritorno all’Europa delle nazioni.

E l’Italia?È irrilevante”, come ha sottolineato in maniera sin troppo caustica lo stesso Donald Trump. In effetti, Roma appare più di altri paesi in crisi di leadership e d’identità. Ragion per cui è la più esposta alle derive populiste, ai danni economici che potrebbero derivare dal mancato rinnovo di buoni accordi economici e alla solitudine in cui, dopo l’UE, anche l’America l’ha condannata.

E ciò vale specialmente per il Mediterraneo. Solo il dialogo con Mosca, oggi come oggi, potrebbe risollevare le sorti di una politica estera italiana impalpabile e a ricasco di Washington che Roma ha condotto ciecamente negli ultimi vent’anni anni.

Ben lo sanno in Israele cosa significhi essere abbandonati dagli Stati Uniti, una lezione che anche noi dovremmo imparare e farne tesoro se non vogliamo commettere errori fatali per le future relazioni internazionali: si veda il caso della Libia, dove l’Italia si è schierata dalla parte sbagliata della storia. 

Conclusioni
L’Europa, dunque, deve prendere in mano il proprio destino. È questa l’unica conclusione cui si può giungere, a pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Per gli Stati Uniti l’Unione Europea, qualsiasi cosa essa significhi, è diventata rispetto all’Asia e all’America stessa una preoccupazione del tutto secondaria, così come lo sono la sua difesa e la sua prosperità.

Al contrario, un’Europa debole è nel pieno interesse americano, che in questo modo avrà un competitor in meno, ma comunque legato a sé. Il pericolo, semmai, viene da Est: la Russia può fare dell’Unione una terra di conquista politica ed economica, e scippare a paesi come l’Italia la leadership nel Mediterraneo.

 Ma, in definitiva, il rischio per l’Europa con Donald Trump alla Casa Bianca consiste più semplicemente nel fatto che, per la prima volta dal 1992, questo ci costringe a dover fare i conti con ciò che Maastricht e l’allargamento dell’Unione hanno significato e, per la prima volta dal 2002, ci obbliga a dover rivalutare seriamente la politica economica basata esclusivamente su burocrazia e moneta unica.

L’elezione di Trump ci ha brutalmente risvegliati e messi di fronte a uno specchio, ma l’immagine che vediamo riflessa potrebbe non piacerci più. Chiedere alla Grecia, per capirlo.

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Luciano Tirinnanzi