"L’arresto di Totò Riina? Uno specchietto per le allodole"
ANSA/GIORGIO BENVENUTI
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"L’arresto di Totò Riina? Uno specchietto per le allodole"

Chi lo dice? Il pm dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia

Totò Riina in questi ultimi anni sembra loquace. Parla in codice con tutti: detenuti, europarlamentari, agenti della polizia penitenziaria, magistrati. Minaccia, nega, ritratta, lancia anatemi e prega Dio. Eppure è in una cella d’isolamento dal 15 gennaio 1993, giorno del suo arresto. Ma è sempre lui, il capo dei capi a comandare l’organizzazione criminale con quell’alfabeto del male. Oggi la notizia delle sue intimidazioni, consegnate come sfogo a un detenuto dal carcere di Opera, nei confronti del pm Antonio Di Matteo, magistrato di punta dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia, destano scalpore e allarme. La maledizione del boss, "Di Matteo deve morire, e con lui tutti i pm della trattativa", fa attivare il codice rosso di tutte le istituzioni, perché Riina è il capo dei Capi e non va mai sottovalutato. 

Eppure c’è caos, disordine e corto circuito istituzionale e giudiziario.  Si rimane disorientati per esempio ad ascoltare le parole di un magistrato, che ha un alto onore e un doveroso senso di responsabilità istituzionale, quando intervenendo sul tema della legalità, a Corleone, patria dei boss Riina, Provenzano e Bagarella, proprio nel giorno della ricorrenza della cattura del boss di Cosa nostra, dichiara che "l’arresto di Riina, è lo specchietto per le allodole". Sono parole dette a gennaio scorso dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi, successore di Antonio Ingroia, al processo sulla trattativa Stato-mafia che si sta celebrando in corte d’Assise a Palermo, durante il tour della legalità dal titolo "Totò Riina, venti anni dopo". Teresi in quell’assise dichiarava anche che "l’arresto di Riina fa parte di quell’accordo probabilmente dello Stato-mafia che vuole trovare un momento, ancora una volta un equilibrio di convivenza, fra due poteri che agiscono sullo stesso territorio". 

Parole che sanno di corto circuito istituzionale e giudiziario, proprio nella terra dei boss. A chi giovano queste parole? Non sarebbe meglio una coesione istituzionale assoluta, da parte dello Stato, quando si parla dell’arresto di boss che hanno reciso la vita ai giudici Falcone, Borsellino e agli agenti di scorta? Riina ancora proclama dal carcere il suo alfabeto del male mentre lo Stato dichiara che il suo arresto "è uno specchietto per le allodole".  

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Anna Germoni