Smarriti d'Italia. L'immigrazione che divide
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Smarriti d'Italia. L'immigrazione che divide

Viaggio intorno alla caserma Montello di Milano scelta dal Viminale per ospitare 300 migranti. Barricate e brindisi. Anatomia delle contraddizioni nazionali. La rettifica dei titolari di due bar milanesi

In calce a questo articolo di Carmelo Caruso - uscito prima sul settimanale Panorama e successivamente sul sito (il 7 novembre 2016) -  pubblichiamo una RETTIFICA AI SENSI DELL’ART. 8 DELLA LEGGE 47 DEL 1948, a nome di Patrizia Garau, titolare dell’esercizio commerciale “Art & Hair” di Milano, via Tolentino e di Franco Becce, titolare del “Bar Garibaldi Cafè” di via Tolentino di Milano

Chi sono i più smarriti: i residenti del ‘Comitato No Profughi’, che vogliono scacciare 300 migranti con gli sbarramenti e le mani nude, o i residenti del ‘Comitato Zona 8 Solidale’, che festeggiano il loro ingresso dietro il filo uncinato e le grate di piombo della caserma Montello di Milano?

«La verità è che sono entrambi segni dello stesso spaesamento. Una è la ferocia che smonta aggredendo e l’altra l’euforia che accoglie semplificando» mi dice Gino Ruozzi, professore d’italiano in pensione che abita in via Cenisio nella strada che conduce a questa imprendibile caserma, 70.000 mila metri quadrati la superfice, una vera fortezza dal 1915 da quando è stata costruita per ospitare i reparti di cavalleria e che oggi il ministero dell’Interno ha deciso di convertire a dormitorio per migranti.

Di sicuro è da agosto, prima che la stampa se ne accorgesse e le televisioni si precipitassero a raccontarle, che qui nel municipio 8, dove Milano è più Milano d’altrove, le barricate da idee gassose si sono fatte azioni solide così come i brindisi di accoglienza da divertito sabotaggio sono infine diventati pure loro azione di contrasto. Lo chiamano infatti “l’esperimento” sia i residenti eccitati che vogliono disperdere i migranti il più lontano possibile sia gli abitanti esaltati che invece vogliono concentrarli tutti dentro la caserma convinti forse così di addomesticarli.

Da mesi il comune s’interroga su dove dirottare i 3800 profughi che la città è vero assorbe e abbraccia ma che tuttavia non riesce a controllare e distribuire. I milanesi non sono impauriti dall’immigrazione che ormai sanno incontenibile ma dalla vaghezza della gestione da parte dello Stato che pure il sindaco Giuseppe Sala ha indicato come improcrastinabile e ineludibile «problematica da gestire». A Milano i centri di accoglienza straordinaria sono 10, oltre l’hub di via Sammartini che è la camera da letto della stazione centrale dove ogni notte i volontari della fondazione Arca si superano. Il 13 ottobre proprio in quei locali hanno dormito in 668. «Bastava il respiro a riscaldarli eppure ne rimanevano altri 51 accucciati in via Vittorio Pisani e altri sotto il ponte della Martesana perché sono sempre i portici e le volte gli ultimi ripari. La verità è che l’accoglienza in Italia prima ancora dei prefetti la fanno gli architetti» racconta un volontario.

Insomma, è davvero stata scelta per necessità questa caserma Montello che domina e si impone su piazza Firenze, lambisce via Mac Mahon dove la Gilda dello scrittore Giovanni Testori si prostituiva, ma solo per «risentire ancora il gusto di quella bocca, di quelle morsicate, di quei pizzicotti, di quella stretta, di quell’amore fatto senza carità e senza rispetto per niente», e dove il tram taglia ancora la città che subito dopo diventa periferia a Villapizzone, vita meno cara e desideri più contenuti.

Zona 8 è il quartiere Ghisolfa, circolo di anarchici in passato, squarci di grasso e meccanica negli anni del fabbricone dell’Alfa Romeo, ma anche neorealismo e cinema per Luchino Visconti che qui venne a girarci alcune scene di “Rocco e i suoi fratelli”.

E forse ha dunque ragione Giovanna, una donna minuta ma sanguigna, che abita in via Bullona, quando dice che piazza Caneva, via Piero della Francesca sono Milano ma sono anche paese perchè la vita è regolata e il «passato con i suoi ricordi ancora ci protegge». C’è un pezzo di Goro - la piccola comunità in provincia di Ferrara che ha rifiutato 12 donne e 8 bambini - anche qui dove la ricchezza e la serenità economica si sono riversate ma dove gli uomini sono anch’essi invecchiati, pensione e bastoni, e assomigliano un po’ a quei pescatori che pensano che il tavolo del loro ostello sia un intero mondo e la violenza di strada più spaventosa della morte stessa.

«E come fai a spiegare che al posto dei militari che partono arrivano 300 migranti che vogliono sbranare il tempo, prenderselo di corsa mentre noi camminiamo sempre più lenti» riconosce Agata, pugliese, che lavora al bar Garibaldi di fronte al parco Tolentino, («che è il nostro piccolo Central Park. Panche conservata ed erba tagliata»), solo 100 metri dal portone di ferro e dall’Alt che segna la zona militare della Montello.

 Anche Agata ha firmato per impedire il trasferimento. La sua è una delle 6000 mila firme raccolte per proteggere una caserma che già il cronista anonimo del Corriere della Sera descriveva nel 1915 come baluardo meneghino, «tutta cintata e di dimensione retta e vasta come una piazza d’arme», e che fino a oggi è stata appartamento per 1000 militari dell’esercito. La caserma, raccontano in prefettura, se la sono scambiata il ministero della Difesa, degli Interni e l’università Cattolica - nel linguaggio ministeriale la chiamano permuta - scatenando un’altra specie di emigrazione che porterà i militari della Montello a spostarsi alla caserma Santa Barbara, la polizia della Caserma “Garibaldi” a lasciare i locali di via Sant’Ambrogio che saranno così consegnati all’ateneo. A sua volta l’università si è impegnata a ristrutturare la caserma Montello.

Come si comprende l’immigrazione ne produce sempre un’ulteriore, confonde e disordina. Eppure nessuno avrebbe mai immaginato che il quartiere si sarebbe aperto su questa caserma «che in ogni caso e comunque andrà a finire ci ha già spaccati come una mela e ci fa contendere da squilibrati di destra e di sinistra pronti a volerci cambiare. C’è chi vuole fare di noi degli spietati giustizieri del centro storico e chi dei fumatori d’oppio jamaicani» confida Lucia, una studentessa inquieta che crede che la fiducia quanto la paura solo quando sono in equilibrio possono generare armonia.

Zona 8 ha iniziato a essere la terra di rapina sia degli imprenditori di ansie quanto degli impasticcati del pensiero semplice. Da settimane sono arrivati i militanti di Casa Pound che hanno riempito le strade di numeri (i giorni che mancavano all’arrivo dei migranti) sia i centri sociali che sono venuti ad annusare che sbuffi ventilassero. Pierfrancesco Majorino che è assessore al Welfare del comune di Milano sa che sono entrambi pericolosi: «Perché sono il primo a ritenere che questo sistema per gestire l’immigrazione sia sconclusionato e che le paure hanno diritto d’asilo quanto gli entusiasmi».

La caserma è stata individuata per 14 mesi dal Viminale e dal comune e affidata con una bando di gara alla Fondazione Fratelli San Francesco per 729 mila euro che comprendono assistenza sanitaria, lezioni di italiano per stranieri e l’ingresso libero ma regolato dalle 7 di mattina alle ore 22. «Siamo fondazione dal 1999 ma sappiamo fare accoglienza dal 1400. Solo a Milano gestiamo 3 case di accoglienza e poi il poliambulatorio medico di via della Moscova» dicono i francescani che in silenzio hanno avuto le chiavi della caserma per ritinteggiare le stanze e allestire i letti. Il comune, prima di scegliere la Montello, aveva pensato al punto base di Expo a Rho Fiera, 500 posti già pronti che la Regione non ha voluto concedere ma neppure il sindaco Pietro Romano che non è né di Forza Italia né di Fratelli d’Italia ma bensì del Pd. «Sarebbe bastato obbligarlo. Non poteva opporre il suo veto. La Regione non l’ha fatto perché era evidente che volesse far saltare l’accoglienza in città» risponde Majorino. L’immigrazione divide anche voi del Pd? «Non solo. Ci sono comuni che fanno troppo poco e comuni come Milano che troppo devono caricarsi. Manca una strategia e questo favorisce sempre l’approssimazione. Vinceremo la scommessa di questa caserma soltanto se rispetteremo i tempi. 14 mesi e non un giorno di più. 300 migranti e non altri da aggiungere. Tuttavia penso che, per una volta, la vera notizia non sono i comitati contro i migranti ma i comitati che invece li vogliono».

Majorino sa che è una notizia anche la cattura di giovedì scorso. La Digos ha infatti individuato 10 uomini, tra questi un sudamericano, che il 4 settembre armati di taniche di benzina a via Mulas, in fondo a via Padova che è già terra senza nome, hanno incendiato pagliericci, stracci e piccoli tesori di immigrati e clochard a palazzo Adriano, un edificio abbandonato. Erano così storditi e goffi questi improvvisati boia che hanno fatto di tutto per farsi riprendere dalle telecamere di videosorveglianza e quindi anche dagli ispettori che li hanno così distinti. Appena ammanettati hanno dichiarato che l’idea gli è venuta seduti al bancone del loro bar dopo l’ennesimo scippo di una donna a opera di stranieri che come si immagina la furia non fa suddividere in comunitari e richiedenti asilo ma solo aggregare in nemici.

 Sono saldatori, camionisti, fruttivendoli e tra di loro c’è pure un funzionario pubblico. È bastato uno scippo a mutarli da uomini a bestie. Anche Patty, che in via Tolentino tutti conoscono come “Patty la parrucchiera”, teme che possa perdere la ragione pure lei «perché gli uomini sono alla fine contraddizioni di carne e basta davvero nulla: un furto, i gradini sporchi, una parola malata a farci imbruttire. Prima impazziscono i luoghi e un attimo dopo le persone».

 Patty si è iscritta a uno dei comitati che non vogliono i migranti alla caserma Montello. I più decisi sono tre: “Comitato e degrado di Zona 8”, “Comitato Milano sicura”, “Comitato Una Mac Mahon migliore”. Da metà agosto, da quando si è sparsa la notizia del trasferimento, donne come Patty hanno iniziato a picchettare, a incontrarsi con i ragazzoni di Casa Pound e con i professionisti della protesta come la Lega Nord che coordina ma non ha raccolto le firme che Patty giura sono di iniziativa spontanea. «In 6000 abbiamo firmato ma siamo molti di più. Oggi essere scettici sui migranti genera omertà. Dire che si è solidali fa tendenza come i tagli dei capelli. Anche tra le mie clienti c’è chi ha iniziato a guardarmi storto perché mi sono esposta in televisione e rilascio interviste. Alcune le sto cominciando a perdere. Il quartiere è popolare ma è di sinistra. Il tempo mi darà ragione: più che Goro sarà Capalbio».

Patty i migranti non li vuole perché dice che con i migranti i numeri sono sempre tappeti elastici e saltano: «Saranno 300 ma so per certo che la caserma ne può ospitare 5000 mila». È la stessa idea di Riccardo De Corato che è il capogruppo in regione di Fdi, già vicesindaco, ma che i milanesi ormai riconoscono perché più presente dei vigili e più veloce di una lepre quando montano l’insicurezza e lo sbigottimento. Dal 12° piano del Pirellone, dove hanno sede gli uffici del suo partito, De Corato ogni giorno fotografa i migranti della stazione Centrale che sotto la mela dell’artista Michelangelo Pistoletto hanno il loro parlamento: stabiliscono partenze e incrociano le loro lingue. «Mi accusano di essere fascista e razzista. Ma quando dico che c’è più Lampedusa a Milano non invento nulla. In 3 anni sono transitati da Milano 130 mila migranti. Nessuno lo dice ma proprio in via Tolentino, i carabinieri del Comando della Stazione Porta Sempione sono stati sfrattati dal palazzo. È troppo facile dire che io e Matteo Salvini siamo gli amministratori delegati della paura».

Però entrambi vi siete precipitati alla caserma Montello… «Perché ce lo hanno chiesto. Sono tutti razzisti?», si chiede De Corato. A preparare i lavori di protesta Salvini è venuto giorno 27 ottobre capeggiando una manifestazione. Anche i tunisini come Maresma che si ritrovano al Punto Snai di via Caracciolo lo chiamano ormai con i vezzeggiativi «Zio Salvi». Eppure Zona 8 non solo non è un quartiere leghista ma è una municipalità amministrata dal centrosinistra, ed è popolare da sempre spiega Luca Paladini che sta sull’altra sponda del fiume «quella di chi i migranti li vuole portare in giro per queste vie. Quelli della bicchierata insomma. È vero invece che siamo schiacciati dal municipio 7 e 9 che sono amministrati dalla destra e che qui vorrebbe introdursi e spargere la caccia».

 Ma è possibile considerare un ricettacolo di destra la chiesa san Giuseppe della Pace in via fratelli Salvioni che governa Padre Vittorio De Paoli e che la domenica è affollatissima e calda? Anche questo prete che chiamano «Don V» si è indurito con i giornalisti che qui hanno cominciato a fare le dirette televisive o forse semplicemente prova a proteggere i suoi fedeli, quelli che per non sbagliare si affidano sempre a Dio, proprio come don Paolo Paccagnella che a Goro li ha assolti a mezzo stampa. «Accoglienza ne pratichiamo già abbastanza. Oggi sono 70 tossicodipendenti che abbiamo ricevuto in chiesa. Mi sembra che bastino» dice cassando Don Vittorio prima di chiudersi in sacrestia che è a suo modo anche questa una caserma.

Milano finora non ha sbagliato nulla. Ha funzionato la macchina guidata dal prefetto Alessandro Marangoni e dal suo capo di gabinetto, Anna Pavone, che fino a oggi ha gestito la redistribuzione dei migranti. «E anche il comune ha fatto la sua parte ma adesso sta al senso di responsabilità dell’Interno» avverte Majorino che sa per primo come il malessere possa essere un altro sisma italiano: tutti credono di prevederlo ma nessuno in realtà riesce ad arginarlo. A Milano, i funzionari della polizia riconoscono che da settimane ogni giorno sono in aumento i residenti che sognano Goro: «La vera sfida non è scongiurare le prossime Goro ma sminarle con una politica di collocamenti davvero nazionali. Pensare ai centri di accoglienza non più come caserme da adattare ma ad ospedali da costruire».

Anche Sarah Guglielmotto, che da madre si è scoperta leader, organizzatrice di comitati contro i profughi alla Montello, per i caloriferi nella scuola di via Varesina, contro i latinos nel parco Testori, dice che i pescatori di Goro sono eroi ma «io i migranti, credetemi, me li porterei pure a casa se solo conoscessi le loro intenzioni, se solo non sentissi i vetri ogni notte infrangersi in via re Marcello». E invece esce da casa con la pistola al peperoncino che tiene in borsa e trema, arrossisce solo all’idea della barricata definitiva, della carica contro la polizia. Era una timida e l’immigrazione ne ha fatto una spavalda. A Sarah non la atterriscono questi 300 migranti ma l’algebra, l’idea del mare sopra la Ghisolfa che spiega Bruno Pischedda, docente di letteratura italiana all’università Statale di Milano e studioso della geografia letteraria della città, «è stata per gli scrittori milanesi la frontiera degli inurbati, degli uomini a metà che la storia non risparmia a fa delirare. Ieri la lotta di classe oggi l’immigrazione». Pischedda dice che a volte si è chiesto con chi starebbero scrittori come Giovanni Testori e Pierpaolo Pasolini che nelle borgate come la Ghisolfa venivano a cercare l’identità che si stava estinguendo. «In una parola: erano i populisti di ieri. Spesso mi viene da credere che anche loro difenderebbero la caserma Montello…».

Sicuramente questa caserma è diventata già linea Italia e vallo per Sarah che attorno a questo bastione si è sempre fatta rapire dall’imponenza e dalla solidità, proprio quelle qualità che prima la rassicuravano ma che oggi la frastornano e la schiacciano. Sarah si chiede da dove arriveranno? Chi saranno? Quando partiranno? «Vede, proprio di fronte all’ingresso della caserma? È rimasta l’unica cabina telefonica di tutta la Ghisolfa. A volte mi sento io più straniera dei migranti. Sperduta e superata. Proprio come quella cabina…».



------------RETTIFICA AI SENSI DELL’ART. 8 DELLA LEGGE 47 DEL 1948 ---------------

Scriviamo la presente in nome e per conto di Patrizia Garau, titolare dell’esercizio commerciale “Art & Hair” sito in Milano, via Tolentino e di Franco Becce, titolare del “Bar Garibaldi Cafè” di via Tolentino, che sottoscrivono la presente per adesione ed accettazione al contenuto, i quali hanno conferito mandato allo scrivete studio per chiedere l’immediata rettifica dei contenuti dell’articolo intitolato “Smarriti d’Italia. L’immigrazione che divide” pubblicato il 7 novembre 2016 sul sito www.panorama.it ed a firma Carmelo Caruso.

Ed invero, nell’articolo sopra citato, sono riportate dichiarazioni inveritiere e tendenziose, che vengono attribuite ai nostri Assistiti e che i predetti dichiarano di non avere mai proferito né riferito al Vostro giornalista il quale invece, nel riportare le conseguenze della decisione del Comune di Milano di accogliere i profughi nella Caserma di Montello sita in Milano Via Caracciolo, artatamente ha ricondotto ai medesimi, con ciò comportando problemi e conseguenze spiacevoli ai suddetti negozianti altresì rendendoli facilmente identificabili nella zona.

Entrando nel merito del corpo dell’articolo, quanto alla signora Garau (n.d.r. titolare dell’unico negozio di parrucchiere di Via Tolentino) secondo il Vostro giornalista “….Anche Patty, che in via Tolentino tutti conoscono come “Patty la parrucchiera”, teme che possa perdere la ragione pure lei «perché gli uomini sono alla fine contraddizioni di carne e basta davvero nulla: un furto, i gradini sporchi, una parola malata a farci imbruttire. Prima impazziscono i luoghi e un attimo dopo le persone». Patty si è iscritta a uno dei comitati che non vogliono i migranti alla caserma Montello. I più decisi sono tre: “Comitato e degrado di Zona 8”, “Comitato Milano sicura”, “Comitato Una Mac Mahon migliore”. Da metà agosto, da quando si è sparsa la notizia del trasferimento, donne come Patty hanno iniziato a picchettare, a incontrarsi con i ragazzoni di Casa Pound e con i professionisti della protesta come la Lega Nord che coordina ma non ha raccolto le firme che Patty giura sono di iniziativa spontanea. «In 6000 abbiamo firmato ma siamo molti di più. Oggi essere scettici sui migranti genera omertà. Dire che si è solidali fa tendenza come i tagli dei capelli. Anche tra le mie clienti c’è chi ha iniziato a guardarmi storto perché mi sono esposta in televisione e rilascio interviste. Alcune le sto cominciando a perdere. Il quartiere è popolare ma è di sinistra. Il tempo mi darà ragione: più che Goro sarà Capalbio»…..”
Questo frammento del citato brano giornalistico, che riportiamo nella sua completezza ed interezza, è innanzitutto idoneo ad identificare esattamente la Signora Garau, titolare appunto dell’unico salone di bellezza di via Tolentino (n.d.r che annovera solo 3 esercizi commerciali con vetrine su strada) e ad essa vengono attribuite frasi assolutamente mai pronunciate dalle quali la nostra Cliente si dissocia; la stessa, inoltre, viene accostata a correnti politiche ed ideologie (n.d.r. appartenenza ed amicizie con “i ragazzoni” di Casa Pound e “con i professionisti della protesta” come la Lega Nord) con le quali la signora Garau dichiara di non intrattenere alcun rapporto.
Quanto al “Bar Garibaldi Cafè” valgono tutte le considerazioni già sopra espresse, sia per quanto concerne le dichiarazioni riportate dal Vostro Carmelo Caruso – rilasciate da una precedente collaboratrice del bar oltretutto in assenza del proprietario e dallo stesso mai autorizzate - sia per quanto riguarda le conseguenze spiacevoli per l’unico bar di Via Tolentino, reso appunto ancor più identificabile dopo l’articolo in oggetto.
Come infatti racconta Carmelo Caruso “……E come fai a spiegare che al posto dei militari che partono arrivano 300 migranti che vogliono sbranare il tempo, prenderselo di corsa mentre noi camminiamo sempre più lenti… riconosce Agata, pugliese, che lavora al bar Garibaldi di fronte al parco Tolentino…..”
E’ evidente che le affermazioni attribuite alla sig.ra Agata, oltre che infondate, sono particolarmente esecrabili in quanto evidenziano una presunta intolleranza del personale del locale nei confronti dei migranti accolti nella caserma di Montello: mai il Bar Tolentino, in persona nel suo legale rappresentante unitamente alla ex collaboratrice sopra citata, si sono espressi con tale terminologia e facendosi portatori di tali ideologie, nei confronti degli ospiti della Caserma.

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Carmelo Caruso