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EPA/RUSSIAN DEFENCE MINISTRY PRESS
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Siria: la vera sfida per gli assetti della politica internazionale

Invece di compattarsi, Mosca, Washington e Bruxelles scavano solchi e distanze. Riducendo il decisionismo russo a un gesto avventato

La realtà nuda e cruda è che nessuno vuole combatter davvero in Siria, neppure la Russia. I raid aerei ordinati da Putin si sono rivelati insufficienti e infatti son dovute intervenire le navi da guerra con i loro missili a lungo raggio sparati dal Caspio.

Ma la catastrofica passata (ma non ancora metabolizzata) esperienza dell’occupazione russa dell’Afghanistan inibisce qualsiasi ulteriore decisione che porti all’invio e dislocamento di truppe di terra. Il risultato è che Putin ha fatto una scelta di campo coraggiosa (dalla parte del dittatore siriano Assad e l’Iran sciita contro il Califfato sunnita di Al Baghdadi), ma non fino al punto di voler vincere la guerra (rischiando la sconfitta). E così la Siria continua a essere terreno di scontro e rivalità fra potenze regionali e globali.

Da un lato la Russia cerca spazi in Medio Oriente (significativo un commento sul “Financial Times” a firma Roula Khalaf che affronta il dilemma se per i Paesi del Medio Oriente l’alleato migliore sia Obama), dall’altro prova a distrarre l’attenzione dall’Ucraina e ristringere rapporti con USA e Europa accreditandosi come protagonista e potenziale alleato contro i jihadisti. Per il momento, però, Putin ha ottenuto solo di spaventare un (ex?) alleato come il leader turco Tayyip Erdogan e la sua Turchia, pilastro della Nato e Paese strategico per qualsiasi assetto mediorientale.

Gli analisti sottolineano un particolare non trascurabile. Mentre lo scorso anno Erdogan era uno dei pochi leader “occidentali” a presenziare alla cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici invernali di Sochi in Russia, i rapporti tra Mosca e Ankara si sono profondamente incrinati proprio in conseguenza dell’appoggio militare russo al regime di Assad, che i turchi vogliono rovesciare. La Turchia, peraltro, è il secondo cliente della Russia quanto a gas naturale e la scorsa settimana Erdogan ha messo in guardia Putin dicendo che l’intervento in Siria potrebbe compromettere l’appalto a Mosca di un impianto nucleare in Turchia del non indifferente valore di 20 miliardi di dollari.

Inoltre, i Paesi del Golfo sono tutti idealmente sul piede di guerra per l’intervento russo a favore dei rivali sciiti iraniani. Deludente sarebbe stato il recente incontro con Putin, a Sochi, del principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed, e del vice-principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman.

Paradossalmente, l’intervento russo in Siria avrebbe dovuto, nei piani degli “strateghi” moscoviti, favorire il riavvicinamento della Russia agli Stati Uniti. Plasticamente, infatti, Mosca si ritrova a combattere sullo stesso lato della trincea (trincea si fa per dire) degli occidentali, cioè contro l’Isis. E invece, l’Europa e soprattutto gli Stati Uniti vedono nel protagonismo russo una minaccia e un gesto competitivo che approfondisce, invece di attenuare, il distacco provocato dal coinvolgimento russo nella guerra civile ucraina.

In sintesi: ancora una volta la Siria e il Medio Oriente rappresentano una sfida per gli assetti ed equilibri (o squilibri) della politica internazionale. E invece di compattare Mosca, Washington e Bruxelles (per quello che conta la UE), finiscono con lo scavare solchi, distanze, incomprensioni e favorire confusione, incertezza e instabilità. Riducendo il decisionismo russo a un gesto avventato e poco conclusivo, su scala non di molto superiore rispetto ai patetici raid propagandistici francesi.    

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