Continua la "caccia" a Berlusconi
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Continua la "caccia" a Berlusconi

La frase sull'olocausto ha riportato in auge la caccia al pericolo pubblico numero 1 dei soliti moralisti che non sbagliano mai (da 20 anni) - Gli ultimi sondaggi

Io c’ero il giorno in cui Berlusconi diede del “turisti della democrazia” agli eurodeputati che nell’aula del Parlamento di Strasburgo esibivano sugli scranni gli striscioni con le scritte “Il Padrino”.

C’ero quando gli urlavano “mafioso” dai banchi e nessuno a casa, in Italia, poteva sentire le ingiurie ma lui sì, era lì, era il presidente del Consiglio italiano e il presidente di turno dell’Unione europea, destinatario di quell’accusa infamante rivolta non personalmente a lui, ma agli italiani che lo avevano votato e che lui rappresentava. Fu un errore, è ovvio, rispondere agli insulti paragonando Schultz, il capo degli europarlamentari socialisti, il primo dei provocatori, ai kapò dei campi di concentramento. Ma era una battuta, non un insulto. Che toccava i nervi scoperti dei tedeschi, i loro sensi di colpa, una storica vergogna. Fuori luogo era la battuta. Fuori tempo. Inopportuna. Ingiusta e un po’ suicida. Ma battuta. Senza secondi fini. Senza implicazioni. Senza offesa.  

Sono vent’anni che Berlusconi viene messo in croce per le cose che dice fuori dai denti. Per i gesti che fa. Per i comportamenti troppo normali: le corna in una fotografia scherzando con un gruppo di ragazzi che passa di là e ride a vedere i ministri degli Esteri dell’Europa fianco a fianco, come adolescenti in gita. O per la battuta su Obama abbronzato, che subito gli viene rimproverata quale prova di intollerabile razzismo verso i neri, a lui che di razzista non ha nulla, nessuna preclusione verso chi ha pelle, lingua, religione diverse. Nessuno snobismo in Berlusconi come quello che invece contraddistingue tanti salotti della sinistra al caviale, quelli per intendersi che si preoccupano per la crisi a Kiev solo perché hanno la colf ucraina. 

Ma come? Norma Rangeri, la direttrice del “Manifesto”, a Piazzapulita si trasforma in gendarme, in donna d’ordine amica di magistrati e poliziotti e si scandalizza del condannato per frode fiscale Berlusconi che incensurato e plurisettantenne sconta la pena con (appena) qualche ora di affidamento ai servizi sociali. Lei forse lo vorrebbe in galera. Ex terroristi, manifestanti che danno fuoco ai fantocci dei militari italiani di Nassiriya o alla bandiera americana o a quella israeliana, black bloc che scardinano o che provano a sventrare i bancomat, loro sì vanno bene, vanno difesi, sono vittime della violenza dei celerini e del capitalismo. Berlusconi no. Lui è il pregiudicato, il criminale. Non è un leader politico reduce da vent’anni di amorevoli (si fa per dire) carezze della magistratura militante. No, deve star zitto, evitare le gaffe, piegare la testa. E non deve, non sia mai, puntare l’indice contro il capo dello Stato che non ha ritenuto di concedergli la grazia, a lui leader dell’opposizione. Non deve neanche proclamare la propria innocenza o definire ridicola la sentenza che lo ha condannato. Non può minacciare di togliere l’appoggio a Renzi sulle riforme. Né rivendicare le riforme che sostiene di aver fatto lui prima di Matteo, da quella costituzionale a quella fiscale. 

Nell’uniformità di voci dei leader europei proni allo strapotere dei Grandi della UE (Germania e Francia), Berlusconi ha cercato di rappresentare un punto di vista diverso, autonomo, quello di un’Italia che non abdica e che vuol contare. Giusto o sbagliato, non si è adeguato alle imposizioni degli storici partner. Ha minacciato il veto come nessun altro premier italiano prima di lui. E ha creato con alcuni leader (da Bush a Erdogan, da Putin a Gheddafi) un rapporto personale quale Prodi, D’Alema, Monti o Letta non si sono mai sognati. Ha ribaltato la nostra politica estera in Medio Oriente, archiviando il terzomondismo democristian-andreottiano a favore di un più coraggioso e convinto sostegno a Israele, e gettato ponti verso la Russia.

È fantastico vedere come pontifichino quelli che finora le hanno sbagliate tutte. E come “il pregiudicato” sia chiamato ogni volta a dare spiegazioni di battute che non hanno la banalità del male, ma la spontaneità dell’ovvio e comprensibile (a tutti). Che fatica dover assistere al moralismo di chi ha ragione da sempre perché frequenta i salotti, ha tanti amici, nessun nemico e gode di buona stampa. Ai fervorini di chi ha vinto senza mai combattere ma solo bazzicando la trincea politicamente, socialmente e culturalmente “corretta”.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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