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MIKHAIL KLIMENTYEV/AFP/Getty Images
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Se il Russiagate non è il vero problema dell'America

Sia Trump sia Sanders lo definiscono un non-problema. Perché dietro c'è poca Russia e molta America, quella che dalla scuola alla sanità perde colpi

C’è un argomento sul quale l’elettorato di Donald Trump e quello di Bernie Sanders la pensano allo stesso modo, ed è il Russiagate. Per entrambi, infatti, è una bufala. L’espressione è rozza, ma rende bene l’idea.

Bisognerebbe però cercare di capire perché lo zoccolo duro dello spirito acritico e di bocca buona del trumpismo convoli a nozze con l’iper-criticismo e l’irriducibile senso critico della sinistra americana.

I punti deboli

Perché, col vizio tipico degli attivisti che vanno a leggersi i punti e virgola dei documenti ufficiali, a molti gauchiste a stelle e strisce non è sfuggito questo: nell’Assessment (valutazione) ufficiale del gennaio 2017 sul Russiagate non c’è assolutamente scritto quello che i media ci hanno finora venduto, e cioè che i russi avrebbero manipolato le elezioni presidenziali del 2017.

Innanzitutto i media parlano sempre di Comunità dell’Intelligence, ma omettono di dire che l’Assessment in questione è il frutto di 3 di esse e non di tutte e 17, tante sono appunto le agenzie che fanno parte della Comunità. E se per CIA e FBI l’ingerenza russa (vedere per credere a pag. 13 di questo documento) è classificata come "High confidence" (tradotto: supposizione diffusa ma che può benissimo non essere vera) per la NSA parliamo addirittura di "Moderate confidence" cioè una supposizione non supportata da prove sufficienti.

Ha ragione Trump allora, quando denuncia un piano di fake news ordito dai Media per gettare fango sulla sua presidenza? Certo è un fatto che tutta la crema del giornalismo americano, dal New York Times alla CNN, abbia fatto del Russiagate un cavallo di battaglia assoluto, se non il principale dell’opposizione a Trump. Peccato però che manchi la prova regina e che manchi il movente.

Il movente del Russiagate: come 50 anni fa

Tuttavia, se guardiamo alla storia americana, il movente si trova eccome. Molto probabilmente è la paura della Russia che negli anni Cinquanta si chiamava maccartismo e oggi si chiama appunto Russiagate.

Come oltre mezzo secolo fa ci sono titoli di giornale a raffica, e ci sono commissioni governative al lavoro, e come allora non mancano procuratori speciali, indagini e arresti. Eppure, e sono in molti a chiederselo, perché l’FBI non ha mai sequestrato il server dei Democratici clintoniani che i russi avrebbero hackerato dando il via alla prima fase dello scandalo?

C’è il sospetto che lo spauracchio antirusso, noto anche come "Putin Hysteria", abbia contagiato non solo l’americano medio (che apprezza Trump) ma anche quello più sofisticato che s’informa sui grandi network e si crede più avveduto della maggioranza silenziosa e qualunquista sedotta nelle urne dal MAGA (make America great again).

Cosa dicono i sondaggi su Putin

I sondaggi dicono che per la maggioranza dell’opinione pubblica americana la Russia è criticabile e pericolosa perché è un sistema oligarchico. Ma ugualmente pochi americani sembrano sapere che negli Stati Uniti non più di 15 grandi multinazionali detengono le redini del potere economico. In tema di oligarchia, in altre parole, Washington non prende lezioni da nessuno.

Quindi Putin è diventato il nemico pubblico numero uno, ma senza prove reali. Dobbiamo ammettere che nel Russigate ci sono tante cose, ma c’è davvero poca Russia. C’è invece molta America, la stessa che deve sorbirsi Trump mentre si proclama come il nuovo Harry Truman, del quale la sua amministrazione avrebbe battuto il record di leggi emanate nel primo anno.

Non male per uno che dovrebbe fare dello small government un dogma di fede, se non fosse che al fact check già pubblicato in rete, l’asserzione di Trump crolla miseramente.

Russia: capro espiatorio per tutti

Ma il punto cruciale rimane un altro. Mentre Trump si autocelebra, i fondamentali della società americana, infrastrutture, sistema scolastico, sistema sanitario, sono in gravissima crisi.

Cosa c’entra la Russia in tuto questo? È una domanda amara, perché fa percepire Trump e i suoi nemici giurati, i Media, molto meno antagonisti di quanto non vogliano accreditarsi nella schermaglia quotidiana del soap opera russa.

Ciascuno ha quindi nella Russia il capro espiatorio per la propria battaglia di logoramento: Trump ha tempo davanti a sé, così i Media, non sappiamo però quanto ne abbia l’America alla quale Pechino sta portando via il primato economico mondiale e Putin quello della leadership diplomatica.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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