Uno schiaffo e non sei più un buon padre
News

Uno schiaffo e non sei più un buon padre

La vicenda di Gianpiero B. ha scosso le cronache. Panorama gli ha chiesto di raccontare la sua verità.

Uno schiaffo, dato nel dicembre 2009, al figlio di 6 anni che non voleva fare i compiti. Per quel gesto un operaio toscano cinquantenne ha subito un’accusa di maltrattamenti in famiglia, quattro anni di processo e il 21 ottobre scorso è stato condannato a 1 mese di carcere per abuso di mezzi di correzione e alla sospensione della patria potestà per 2 mesi (dopo 6 mesi già «scontati» nel marzo 2010). La vicenda di Gianpiero B. ha scosso le cronache. Panorama gli ha chiesto di raccontare la sua verità.

Tornassi indietro, lo schiaffo che ho dato a mio figlio lo darei a me. Colpa dello stress, della pressione che avevo fuori e dentro casa. Colpa mia... Bisogna staccare la spina, ma è così difficile a volte. Mancavano pochi giorni al Natale del 2009. Ero tornato dal lavoro, stanco morto. In casa eravamo io e il bambino. Mia moglie sarebbe tornata solo alle 20, per cena. Stavo preparando io da mangiare.

Sul tavolo, mio figlio stava facendo i compiti. Allora frequentava la prima elementare. Doveva scrivere e poi leggere una parola, più volte. Non ricordo che parola fosse, ma non gli riusciva. Io lo incoraggiavo, mentre continuavo a preparare la tavola. E insieme pensavo ai miei problemi. A mia moglie, al nostro matrimonio che dopo nove anni non andava più tanto bene. Ma anche al mutuo, che avevamo appena acceso per comprarci quella casa, 70 metri quadrati un po’ fuori città. E al lavoro, perché mi ero appena licenziato dalla ditta per mettermi in proprio, e le preoccupazioni non mancavano. E    intanto, a lui, quella parola proprio non gli riusciva di scriverla. E frignava. Come fa un bambino quando non riesce a fare una cosa.

Intendiamoci, era un angelo. Molto tranquillo e riservato. La mia felicità era rincasare la sera e vederlo. Eppure lo sgridai. Lui si mise a piangere, per quella stupida parola che non riusciva a scrivere. «Allora, se devi piangere, piangi per qualcosa!». Un istante dopo mi sarei messo a piangere io. Ho le mani pesanti, facevo il saldatore. Mi è partito quello schiaffo. Così. A mano aperta. L’ho preso soltanto con la punta delle dita, non gli ho fatto nemmeno cadere gli occhiali. Ma gli ho fatto male. Forse più dentro che sulla guancia. Ha cominciato a singhiozzare che quasi non respirava. Gli ho chiesto scusa, abbiamo parlato, gli ho detto che mi dispiaceva. Si è calmato e ha ricominciato a scrivere.

Quando è arrivata mia moglie le abbiamo raccontato quello che era successo. Lei non ha nemmeno mangiato, ha preso il bambino ed è andata da sua madre. «Babbo, la mamma mi vuole portare via». «Stai tranquillo, che vai dalla nonna». Sono le ultime parole che abbiamo potuto scambiarci per molto tempo. Ma quella sera non volevo aumentare la tensione, e li lasciai andare. Non potevo sapere. La mattina dopo sono arrivati i carabinieri. La madre aveva portato il bambino al pronto soccorso e gli avevano dato una prognosi di alcuni giorni per la tumefazione al volto.

Avevo già tre figli grandi, dal precedente matrimonio, due maschi e una femmina. E mai avevo alzato le mani su di loro. Anche col piccolino era la prima volta. Certo, c’era stato qualche sculaccione, ma è sempre bastato alzare la voce, quando c’era bisogno. Eppure, per quello schiaffo... Assistenti sociali, tribunali, processi. Mi accusavano di maltrattamenti su minori e percosse, poi per fortuna, grazie anche alla testimonianza della mia ex moglie, sono stato condannato «soltanto» per abuso di mezzi di correzione. È stata lei a dire ai giudici che non avevo mai alzato le mani su mio figlio, né su nessun altro.
Ai genitori vorrei dire di non fare lo sbaglio che ho fatto io. Con i figli bisogna avere tanta pazienza, anche se te la fanno scappare ogni cinque minuti. A 6 anni un bambino non ha colpe, e se è maleducato è solo colpa di chi non gli ha insegnato l’educazione.

Per questo dico che qualche sculaccione, secondo me, va bene. Ma mai in faccia. Mio padre solo una volta mi tirò dietro uno scarpone, ed ero appena tornato dal militare. Mia madre, invece, quando ero piccolo, me le dava un giorno sì e uno no. Ero il fratello maggiore e mi prendevo anche quelle per gli altri.

I tempi però sono cambiati e non solo penso sia sbagliato picchiare i figli, ma c’è da aver paura, perché oggi tuo figlio magari chiama il Telefono azzurro... Oggi con mio figlio ho un rapporto bellissimo. Con mia moglie ci siamo separati, io sono andato a vivere in Umbria e, purtroppo, per motivi economici, posso vederlo solo ogni 15 giorni. Ma ci piace stare insieme. So che lui, se mia suocera non parla proprio benissimo di me, si arrabbia e mi difende. Passiamo delle bellissime giornate nella mia campagna, gli faccio provare gli attrezzi agricoli, parliamo tanto. Ma non siamo mai più tornati sull’argomento, su quello schiaffo. Non vogliamo sciupare i nostri bei momenti. (testo raccolto da Giorgio Sturlese Tosi)

Leggi Panorama Online

I più letti

avatar-icon

Panorama