vaccino astrazeneca
(J Tallis, Getty Images)
Salute

Il vaccino contro il Covid di AstraZeneca funziona meglio (e costa meno)

Mentre la pioggia torrenziale dei primi giorni di dicembre dell'anno Covid bagna lo Science Park di Pomezia, dentro i laboratori di IRBM, eccellenza italiana della biotecnologia molecolare, un'equipe di circa 40 scienziati sui 200 totali (due terzi donne, età media sotto i 40 anni) lavora senza sosta alla piattaforma tecnologica del vaccino. Quello Oxford-Astrazeneca, l'«europeo», con un cuore italiano.


Nelle scorse settimane, gli studi su questo vaccino hanno indicato un'efficacia del 62 per cento somministrando a distanza di alcuni giorni due dosi complete, e un'efficacia sorprendentemente più elevata, del 90 per cento, con una dose iniziale dimezzata seguita da una intera. Il che ha fatto scalpore, suscitato dubbi e polemiche, e ha indotto a proseguire la sperimentazione.

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(Irbm)


Nella stanza del presidente, sotto lo sguardo vigile del pastore tedesco Box, Piero Di Lorenzo e Carlo Toniatti si preparano a rispondere alle domande che racchiudono le speranze di tutti noi. O quantomeno, di chi crede nella scienza. Di Lorenzo, 70 anni, è presidente e ad di IRBM: proprio a lui, due anni fa è riuscito il colpaccio di far tornare in Italia Toniatti, che a Houston dirigeva la ricerca sul cancro nella grande clinica oncologica MD Anderson; e che ora è il direttore scientifico di questo gioiello della biotecnologia.

Oggi, hanno alle spalle 10 mesi di lavoro 24 ore su 24, di pressione, notti insonni, aspettative. Di produzione e controlli sul vaccino, ma anche di polemiche, di attacchi, di piani da fare e rifare. E accettano di parlare con Panorama proprio nei giorni in cui il vaccino Oxford ha ottenuto - primo fra tutti quelli in preparazione nel mondo- l'approvazione di una rivista scientifica prestigiosa come Lancet: un comitato di scienziati indipendenti, analizzando i dati, ha confermato l'efficacia media del 70 per cento, che però aumenta rimodulando il dosaggio.

Come ha aggiunto Richard Horton, direttore di Lancet, ha sugli un vantaggio notevole: «È l'unico, al momento, potenzialmente in grado di vaccinare il pianeta in modo più rapido ed efficace». I motivi? Il costo più economico (4 dollari per dose), una maggiore facilità di produzione e l'assenza di speciali temperature per lo stoccaggio (non ha bisogno di -70 gradi per essere conservato ndr) significano che questo vaccino è l'unico potenzialmente in grado di eradicare il Sars-CoV-2 in milioni di persone dei paesi emergenti».

Partiamo subito dai problemi: AstraZeneca ha ammesso di aver sbagliato dose su un gruppo di volontari nei test: aggiungendo anche che il vaccino con dose sbagliata rivela un'efficacia del 90 per cento contro il 60 per cento di quello con dose giusta. Come può succedere una cosa del genere?

Toniatti. Può accadere, è insito nella ricerca che possa esserci un errore. La storia della medicina è costellata di sbagli: senza un errore non avremmo la penicillina né gli antibiotici. C'è stato un problema nel protocollo, e si è scoperto che la mezza dose era più efficace della dose intera. I giornali hanno subito scritto che lo sbaglio avrebbe invalidato la sperimentazione, ma non è così. E stato subito variato il protocollo presentato all'agenzia regolatoria. Nessun problema.

Questo inconveniente ne ritarda l'arrivo sul mercato?

Di Lorenzo. Intanto chiariamo il fatto che stiamo parlando di una oscillazione della molecola in un range molto ampio: accade spesso, gli scienziati lo sanno e non si stupiscono. Detto questo, il processo non si è bloccato. Siccome la ricerca che ha dato la dose ottimale con efficacia del 90 per cento è stata fatta solo in Inghilterra e non negli Stati Uniti, la Fda potrebbe chiedere di ripetere questo segmento anche negli States. Potrebbero quindi separarsi le due autorizzazioni - Ema in Europa e Fda in America - ed esserci uno sfasamento temporale tra le due approvazioni.

Tornando indietro nel tempo: quando e come avete saputo che avreste lavorato al vaccino?

Di Lorenzo. A inizio gennaio i cinesi hanno postato su internet il sequenziamento del gene della proteina spike, il target del vaccino, e gli scienziati dello Jenner Institute dell'Università di Oxford, che misero a punto il vaccino anti-Mers e quindi conoscevano già bene la famiglia dei coronavirus, in due settimane hanno sintetizzato il gene della proteina spike. A quel punto ci hanno chiamati per mettere a disposizione la nostra esperienza rispetto alla piattaforma dell'adenovirus.

Siamo a gennaio, quindi un mese prima del «paziente 1» italiano.

Di Lorenzo. Sì, questo succedeva intorno al 20 gennaio. Gli amici e colleghi di Oxford ci conoscono da 10 anni, lavoriamo con loro anche su altri vaccini. Nei laboratori di Advent, per esempio, abbiamo messo a punto quello anti Ebola. Ci hanno contattati per chiederci di fare squadra con loro, quando ancora non si sapeva se poi effettivamente il vaccino sarebbe servito o se questa epidemia sarebbe finita prima. E noi abbiamo iniziato a caratterizzare l'adenovirus per renderlo idoneo a fare da vettore per il vaccino. Loro hanno fatto la parte iniziale, noi siamo intervenuti in un secondo tempo, dopodiché abbiamo prodotto tutte le dosi sperimentali. Alla fine è partito il processo pre-clinico.

State continuando a produrre dosi?

Di Lorenzo. No, ci stiamo occupando di fare i test sulle dosi prodotte all'estero, sia in Inghilterra che, man mano, in altri posti. Possiamo dire che adesso stiamo facendo il «controllo qualità». Perché il vaccino deve essere uguale, da qualsiasi laboratorio del mondo provenga. Dopodiché tutte le dosi prodotte arriveranno ad Anagni, all'azienda Catalent, che provvederà a metterle nelle fiale.

Come funziona il vaccino Oxford?

Toniatti. All'interno dell'adenovirus, un virus del raffreddore depotenziato affinché non si possa replicare nell'organismo, viene inserito il gene della spike, a sua volta sintetizzata. Iniettato il vaccino tramite il cavallo di Troia/adenovirus, la proteina viene riconosciuta come estranea e il sistema immunitario reagisce come reagirebbe a qualsiasi intrusione: sviluppando non solo gli anticorpi, ma anche la componente di memoria che permetterà al nostro sistema immunitario -qualora dovessimo reincontrare il virus- di reagire molto più rapidamente e in maniera più efficace. Possiamo dire che nel momento in cui si fa il vaccino, l'organismo già riconosce il nemico e si attrezza per difendersi: in quel momento gli anticorpi non servono perché quello iniettato è un nemico finto, ma serviranno quando si presenterà il vero avversario.

Avete utilizzato un adenovirus umano?

Toniatti. No, abbiamo usato l'adenovirus dello scimpanzé, perché serviva un virus che il sistema immunitario umano non avesse mai conosciuto. Per capirci: se io oggi facessi un saggio su me stesso, scoprirei che in passato sono già venuto in contatto con qualche adenovirus del raffreddore. Il virus dello scimpanzé, invece, l'essere umano non l'ha mai incontrato: vuol dire che il nostro sistema immunitario non è mai stato stimolato da questo adenovirus, e proprio grazie a questo meccanismo il vaccino sarà più efficace.

Avete mai pensato che non si riuscisse a mettere a punto il vaccino anti-Covid?

Toniatti. La preoccupazione era più che altro la produzione su larga scala. Qualunque scienziato che abbia esperienza nel campo sa che il problema, per i vaccini, non è tanto realizzarli, ormai c'è sufficiente expertise quanto i soldi per produrli e il tempo che servirà, occorrono miliardi. Quando è intervenuta AstraZeneca mi sono tranquillizzato, hanno portato organizzazione, denaro, e ora sappiamo che il vaccino verrà prodotto in miliardi di dosi e costerà poco.I tempi così veloci di messa a punto del vaccino vengono spesso citati - dai tanti complottisti e no-vax- per screditarli.

A cosa è dovuta tale velocità?

Toniatti. A una serie di cose. Innanzitutto non dimentichiamo che abbiamo già affrontato sia la Sars nel 2003 che la Mers nel 2013. Per la Sars i vaccini erano già stati testati su modelli animali. Per la Mers, che arriva dieci anni dopo con una mortalità altissima, il gruppo di Oxford aveva iniziato una fase 1 di sperimentazione clinica, esprimendo la proteina spike. Avevamo quindi già modelli sperimentati, che ci dicevano che spike era un bersaglio ottimale: questo ci ha fatto risparmiare mesi, se non anni. Avessimo dovuto iniziare da zero, avremmo impiegato mesi solo per capire quale fosse il target del vaccino.

Altre fasi accelerate?

Di Lorenzo. Data l'emergenza mondiale, il nulla osta per cercare i volontari, da parte dell'autorità, è arrivato ancora prima della fine della sperimentazione pre-clinica. Per reclutare i volontari per il vaccino contro Ebola c'erano voluti un anno e due mesi: per questo vaccino, un pomeriggio. Così abbiamo risparmiato anni.

Il vaccino dovrebbe essere obbligatorio?

Toniatti. Non spetta alla scienza dirlo. Ma credo che per alcune categorie, sì, dovrebbe esserlo. All'MD di Houston, dove c'erano migliaia di pazienti oncologici e quindi immunodepressi, non era obbligatorio il vaccino contro l'influenza. Ma ai medici che si vaccinavano veniva applicato sul badge un bollino di un certo colore, e chi non si immunizzava l'aveva di un colore diverso. A quel punto erano i pazienti a non voler essere visitati dai medici non vaccinati.

Se lei dovesse scegliere se andare in un ristorante dove tutti in sala sono vaccinati, e o in uno dove camerieri e cuochi non lo sono, cosa sceglierebbe?

Toniatti. Quello più sicuro. Ecco, la risposta sta lì.

Siete mai riusciti, per un giorno, a non parlare del vaccino in questi ultimi mesi?

Di Lorenzo. Mai.

Al netto delle vittime e del dramma che tutti stiamo vivendo, questa è la sfida della vita, per uno scienziato?

Toniatti. Lo è, ma facendo gli scongiuri perché potrebbero verificarsene altre. Purtroppo i tempi tra le pandemie si stanno accorciando: Sars nel 2003, Mers nel 2013, Covid nel 2019. La grande scommessa è cercare di lavorare in anticipo, perché ci sarà sicuramente un altro salto di specie, in futuro: potrà essere un altro coronavirus, o un virus dell'influenza. E se noi, oggi, avessimo già avuto un farmaco attivo contro i coronavirus avremmo salvato migliaia di persone. Quindi quella è la partita di domani: farsi trovare pronti per il Covid-30, o per qualsiasi altra pandemia ci possa colpire.

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Maddalena Bonaccorso