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Rudolph Giuliani, il sindaco di ferro che studia da segretario di Stato

L'ex procuratore ed ex mayor della tolleranza zero a New York è sempre stato un repubblicano atipico, poco amato dalla base più tradizionalista del Gop

L'uomo che ripulì New York dai mendicanti e dai piccoli delinquenti e che il Time incoronò Uomo dell'anno nel 2001 per la determinazione con la quale da sindaco cercò di alleviare le ferite di Manhattan dopo l'attentato alle Torri Gemelle  potrebbe essere il futuro segretario di Stato del nuovo governo di Donald Trump.

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Del suo passato, prima che ad aprile salisse sul carro del tycoon newyorchese (mentre gli altri pezzi grossi del partito gli toglievano il sostegno), molti conoscono soprattutto una parola - Tolleranza zero - che è diventata un brand globale,  simbolo di una politica che non fa sconti a nessuno, anche a costo di dare qualche licenza di troppo alla polizia: tolleranza zero contro i mendicanti, i lavavetri, i graffittari, i clandestini, ma anche contro i delinquenti e la violenza di strada a New York, una violenza che quando prese in mano la città, nel 1994, era  diventata endemica e che, quando lasciò l'incarico, nel 2001, era tornata a livelli fisiologici, per lo meno a Manhattan. Il suo grande successo, critiche per la brutalità della polizia a parte, è stato quello: aver riportare - come sindaco - l'ordine nella Grande Mela.

Ma Giuliani - origini italiane e un padre che fece fortuna con le case da gioco - è anche molto altro.

A livello politico è un liberalconservatore repubblicano, con posizioni liberali sull'aborto, sulla ricerca embrionale e sulle coppie di fatto, posizioni che gli sono costate nel 2008, quando si presentò alle primarie repubblicane, le critiche della base più tradizionalista del partito.

A livello biografico, invece, prima che diventasse sindaco, è stato un ex magistrato che si era occupato con successo, negli anni della presidenza Reagan, sin da giovane, della lotta alla droga e del contrasto alla corruzione della finanza, guadagnandosi l'appellativo di Procuratore di ferro di Ny, collaborando anche nelle indagini con Falcone e Borsellino.

Sindaco-sceriffo, procuratore di ferro, uomo duro e infaticabile, Giuliani.  Sconfitto alle primarie repubblicane nel 2008, riemerso nel 2016 durante le primarie, quando scelse - tra i pochi - di sostenere senza se e senza ma il tycoon newyorchese, abbandonato invece da tutto il ceto dirigente tradizionale del Partito.

Una scelta controcorrente, coraggiosa, per gli uni, opportunista per i suoi detrattori, una scelta che che ora gli potrebbe valere la nomina a segretario di Stato, un mestiere che dovrà reinventarsi, formandosi una competenza sulla politica estera e sulla diplomazia come già gli è capitato altre volte nella vita.

L'uomo ha sempre saputo ricominciare da capo, del resto. Come nel 1997, quando - mentre era sindaco di New York - decise di sfidare Hillary Clinton per la conquista del seggio senatoriale. A un certo punto si ritirò, spiegando che a sua priorità era diventata un'altra: sconfiggere il tumore che lo stava consumando e che avrebbe in effetti sconfitto qualche mese più tardi. È in quale periodo, che affronta davanti a tutti un altro evento traumatico per un dirigente di un partito ancorato ai valori tradizionalisti della base: il divorzio dalla moglie, la giornalista Donna Hanover, che non gli aveva perdonato un tradimento.

È in quel periodo che Giuliani va a vivere temporaneamente con due amici, causando malumori tra gli elettori conservatori e grande clamore presso l'opinione pubblica. Sui diritti civili, rispetto agli altri dirigenti del GOP, Giuliani è davvero un classico newyorchese, un liberal sostanzialmente tollerante, non un reazionario. Sulla sua politica estera sappiamo poco, come sappiamo poco del resto di che cosa intenda fare Trump in Medioriente. «Ritengo che l'Isis nel breve termine sia il pericolo maggiore e non perché è in Iraq e in Siria, ma perché l'Isis ha fatto qualcosa che Al Qaida non ha mai fatto, ovvero affermarsi e dilagare nel mondo» ha dichiarato Giuliani durante un convegno organizzato dal Wall Street Journal nei giorni scorsi. Una frase, per ora, che dice poco: avrebbe potuto pronunciarla anche Hillary Clinton.

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