Rompicapo 2013, che parlamento sarà
ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Rompicapo 2013, che parlamento sarà

Un patchwork, un gioco a incastri, imprevedibile. La partita politica in vista delle elezioni è ancora aperta. E il risultato incertissimo

Ormai è un rompicapo, ma anche un incubo. Uno si sveglia la mattina e nei fumi del sonno che si vanno diradando cerca di immaginare il prossimo Parlamento. Camera e Senato. Specialmente il Senato. Sul Senato cadde Prodi nel 2008 avendo una maggioranza virtuale sorretta dal voto dei senatori a vita. Ricordo la minuscola (mai più di 40 chili per tutta la vita, una dieta soltanto di brodini vegetali e pesce al forno senza condimento) Rita Levi Montalcini appena scomparsa a 103 anni, costringersi a venire in aula per votare, assistita dagli inservienti. E poi i voti si di Scalfaro, di Andreotti, e quello misterioso dei rappresentanti degli italiani all’estero che uscivano da seggi di cui si denunciavano brogli, irregolarità, schede sudamericane. Che succederà stavolta? E come voteranno gli italiani all’estero? Forse i cervelli in fuga voteranno Monti ma il nerbo seguiterà a votare Berlusconi. Tutto è magmatico e misterioso, imprevedibile.

Certo, alla Camera grazie al Porcellum Bersani potrebbe avere la maggioranza  assoluta, ma il voto italiano si presenterebbe, si presenterà, come un patchwork, una di quelle coperte ottenute cucendo insieme pezze di diversi colori e avanzi di indumenti dismessi. Seguitiamo a fari i conti: Berlusconi riguadagna in salita ma ormai siamo in prossimità della par condicio e il suo martello pneumatico dovrà rallentare. Gli accreditano almeno il venti per cento. Ma a patto che trovi l’intesa con la Lega. La Lega nicchia, fa spallucce alla candidatura di Berlusconi e finge d voler correre da sola, ma sembra improbabile che voglia giocarsi in un colpo solo Lombardia, Veneto e Piemonte, oltre a raccogliere un risultato nazionale modesto. La logica dice che Maroni farà un tira e molla e poi salterà fuori “la quadra” ammettendo che il leader sarà Berlusconi.

Ma è soltanto uno dei tanti problemi ancora da risolvere. La Lombardia, che è l’Ohio italiano (come è già stato detto) sarà la chiave di volta del sistema e dell’esito elettorale. In seconda posizione il Veneto. La partita si gioca per lo più su questi territori, è una partita nordica. E Maroni sulla questione nordica spinge sull’acceleratore reclamando la permanenza del 75 per cento delle entrate nelle regioni del Nord e specialmente della Lombardia.

Nel quartier generale berlusconiano si stanno approntando i ritocchi alle liste regionali di Lombardia e Lazio prima di passare alle liste di Camera e Senato, ma siamo ancora agli inizi, mancano alcuni giorni allo sprint finale mentre i giornali si divertono a scommettere su chi resterà fuori e si fanno i nomi di Buttiglione dell’Udc e di Bocchino del Fli. Tutto ciò riguarda però più i dettagli che il quadro generale.

Il quadro generale indica la fine del bipolarismo. In  altre parole, l’arrivo di Monti sulla scena politica premia Casini, Fini e Montezemolo (il quale ultimo si chiama personalmente fuori) e riduce il potere dei due partiti maggiori, Pd e Pdl, che non avranno più il potere assoluto di comando e dovranno stringere alleanze. Il Pd di Bersani per governare dovrà fare un accordo che gli dia la maggioranza al Senato e questo accordo dipenderà, a bocce ferme, dalla forza che avrà acquistato nelle urne la lista Monti. Il centro casiniano e montiano sarà l’ago della bilancia ma il suo potere contrattuale dipenderà dalla reale forza del movimento di Beppe Grillo. Quest’ultimo sta cercando di recuperare i punti persi per il modo sgraziato e dittatoriale con cui ha gestito le sue questioni interne e lo fa rincarando la dose dei suoi insulti: ha diffuso comunicati e interventi in cui i politici tutti vengono chiamati “facce di merda” e fa un uso largo e sfrenato di parole forti che riscuotano il consenso di pancia della parte più sbandata ed emotiva di un parco elettorale in cui vince ancora il partito dell’astensione.

E questa è tuttora una questione che i sondaggisti non possono sciogliere: al momento del voto quanti saranno coloro che passeranno dall’astensione al voto attivo? Quanti decideranno di andare alle urne dopo averle disertate? La risposta a questo quesito dipenderà dal livello dello scontro delle ultime ore perché sarà alla vigilia del voto che verranno sparati i fuochi d’artificio più deflagranti ed emotivi.

Dunque, il risultato di Monti è incerto anche se si può collocare intorno al 20 per cento. Quello di Berlusconi è incerto ma potrebbe superare il 20 per cento. Quello di Grillo è incerto ma potrebbe superare il 20 per cento. Tutti questi condizionali d’obbligo e tutti questi 20 per cento dicono che la situazione è ancora non definita.

E dal magma però alla fine uscirà fuori l’identikit di una legislatura che avrà due prospettive: morire suicidandosi per mancanza di un forte accordo fra sinistra e centro, oppure aprirsi alle necessità del nuovo secolo e procedere a una fase costituente affrontando le riforme costituzionali che da anni fanno la spola tra Parlamento e chiacchiere da salotto, ma che non arrivano mai a destinazione. Una fase costituente sarà necessaria perché chiunque governi si troverà di fronte agli stessi problemi indicati più volte da Berlusconi: inadeguatezza dei poteri del premier ed eccesso di poteri discrezionali del Presidente della Repubblica cui spetta il privilegio non formale di nominare personalmente i ministri, sia pure su indicazione del Presidente del Consiglio incaricato.

Un nodo importante in questo senso sarà quello dell’elezione del successore di Napolitano. La candidatura di Monti, ora che ha deciso di correre come primo ministro, sembra tramontata e in pole position nel campo democratico c’è sempre Romano Prodi che aspetta pazientemente in panchina. Dunque chi governerà l’Italia avrà la necessità, per portare a termine la legislatura, di metter mano alle riforme costituzionali fra cui la riduzione dei parlamentari, che piace tanto ai populismo di destra e di sinistra.

Siamo dunque ancora spettatori di una situazione in fluido movimento in cui molte cose possono succedere, anche se è difficile che si capovolgano i pronostici. Berlusconi lavora alacremente come un ingegnere esperto di sondaggi, aggregazioni e comunicazione di massa. Può riuscire ancora una volta a sorprendere e riconvocare una parte larga del suo antico popolo, che vive rifugiato nelle montagne dell’astensione  e della frustrazione. Lui è un forte motivatore ed è l’unico che sa parlare la lingua del suo elettorato. Dunque, dal suo nuovo Pdl potrebbe uscire la sorpresa del 24 e 25 febbraio.

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Paolo Guzzanti